Milano il 14 aprile 2014, aggiornato il 22 luglio 2023
Nel 1919 a Sesto San Giovanni nasceva l’industria di metalmeccanica leggera Magneti Marelli (il nome completo era Fabbrica Italiana Magneti Marelli o F.I.M.M.).
Si trattava di una joint venture tra la Ercole Marelli , attiva dal 1891 e che dal 1905 possedeva già uno stabilimento a Sesto, e la Fiat.
Quest’ultima si limitò al sostegno finanziario e a fornire un mercato per i prodotti Magneti Marelli (i magneti, da cui l’azienda prese il nome, sono generatori elettrici impiegati per i motori a scoppio).
La Ercole Marelli già produceva magneti durante la prima guerra mondiale e, favorita dal conflitto, decise aprire un nuovo stabilimento inaugurato nell’ottobre 1919 sotto la guida del genero del fondatore Ercole, Bruno Antonio Quintavalle (nella foto).
n.b.: Bruno Antonio era stato assunto alla Ercole Marelli prima della prima guerra mondiale ma la sua carriera iniziò quando, ufficiale di cavalleria convalescente da una ferita alla testa riportata in combattimento, incontrò la figlia maggiore di Ercole Marelli, Paola, che lavorava come infermiera.
Alla fine della guerra, nel 1919, venne promosso direttore del reparto magneti e poi direttore della nuova fabbrica che sarebbe diventata la Magneti Marelli.
I rapporti tra le famiglie Marelli, Quintavalle e Caprotti si evincono dall’albero genealogico che segue
il fratello di Bruno Antonio, Umberto Quintavalle (nella foto) era il mio bisnonno da parte di madre.
I due fratelli Quintavalle, nonostante avessero solo una quota simbolica dell’azienda, ne furono i gestori, con un grado di autonomia elevatissimo, dal 1922, anno della morte di Ercole Marelli, fino alla morte nel 1959 per Umberto, e al 1967 per Bruno Antonio perchè quello fu l’anno della cessione dell’azienda alla Fiat.
Bruno Antonio, dopo esserne stato amministratore delegato ne rimase comunque presidente onorario fin o alla morte nel 1974 mentre Umberto ne era stato prima consigliere e poi vice presidente, anche lui fino alla morte.
I due fratelli erano preparati e si completavano : Bruno Antonio aveva studiato economia e ingegneria, mentre Umberto era ingegnere.
A quest’ultimo furono delegati gli acquisti di tecnologie più avanzate e le visite di impianti americani.
I Quintavalle basarono la loro gestione su due punti cardinali, che potrebbero sembrare, ad un primo approccio, contraddittori:
1) l’appoggio del Duce in persona, Benito Mussolini visitò più volte le fabbriche che gestivano come se fossero loro.
2) un taylorismo pragmatico che fece della Magneti Marelli un’azienda unica, per metodi e risultati.
un esempio di taylorismo: la catena di Henry Ford.
Nella realtà negli anni venti il fascismo fu affascinato dai metodi americani di lavoro che furono diffuse tramite l’Enios (Ente nazionale italiano per l’organizzazione scientifica del lavoro).
Fu solo negli anno ’30 che il fascismo divenne autarchico e che i due fratelli divennero più freddi verso il PNF.
Umberto era stato un fascista della prima ora: già nel 1919 partecipava a spedizioni punitive , come fondatore e comandante della squadra d’azione fascista “Lupi”.
Bruno Antonio prese la tessera del partito nel 1924. Il governo fascista gli conferì tutta una serie di riconoscimenti, nominandolo grand’ufficilae della Corona d’Italia nel 1936 e conte nel 1938.
Grazie al partito la Magneti ottenne vantaggiose commesse statali e i due fratelli usufruirono di un’ampia libertà di manovra nei confronti delle maestranze, che – ovviamente – mai scioperarono.
La vicinanza con il partito permise loro anche di introdurre metodi di produzione sperimentali.
Infatti già nel 1925 la produzione superava di 25 volte quella iniziale.
Nel 1929 veniva inaugurato il secondo stabilimento, soprannominato il B, per fare batterie per accumulatori. Negli anni ’30 si aggiunsero gli altri stabilimenti, il C a Sesto San Giovanni per le lavorazioni metallurgiche e il D a Crescenzago per la fabbricazione di isolanti.
La produzione venne ampliata per arrivare a varie forme di equipaggiamenti elettrici per auto, areoplani e treni, apparecchi radioriceventi ed equipaggiamenti militari. E la forza lavoro passò da 200 persone nel 1919 a 7000 operai nel 1938.
Nel 1939 venne costruito lo stabilimento N, destinato a diventare il principale centro di produzione.
Fin dall’apertura, il primo stabilimento (detto A) fu strutturato secondo criteri razionali. Diviso in più reparti, ognuno dei quali forniva uno o più pezzi per la produzione del magnete.
Seguendo le teorie di Taylor e di Ford , gli operai erano specializzati e i reparti non erano disposti attorno ad un tipo di lavorazione ma attorno alla produzione di un pezzo, che richiedeva varie macchine per il suo completamento.
Come già al Lingotto, nel primo impianto Magneti Marelli tutto scorreva verso l’alto. Buona parte dei magazzini e dei laboratori di ricerca (*) erano nei seminterrati, la prima lavorazione avveniva al piano terra e i reparti di lavorazione e montaggio si trovavano ai piani superiori.
(*) è interessante segnalare che nel 1938 Enrico Fermi venne messo a capo di tutta la ricerca della Magneti Marelli. Non durò a lungo perchè dovette lasciare l’Italia per sfuggire alla leggi razziali.
Gli spostamenti ascendenti erano garantiti da un sistema di trasporto interno sofisticato, basato sull’impiego di sistemi sopraelevati e a gravità che avevano un ritmo lento e fisso.
Nel 1925 la Magneti Marelli era l’unica azienda italiana, con la Fiat, ad avere linee di montaggio meccanizzate sul modello fordista.
Alla vigilia della seconda guerra mondiale lo spostamento fisico dei materiali dei semilavorati e dei prodotti in Magneti Marelli era quasi completemente mecanizzato, permettendo così di accelerare i tempi di produzione e abbassare i costi di manodopera e le scorte.
E non a caso Perry R. Wilson ha definito la Magneti Marelli “fabbrica modello”
L’altra fonte che ho utilizzato è : Lavoro e società nella Milano del Novecento, di Germano Maifreda, Geoffrey Pizzorni e Ferruccio Ricciardi. A cura di Roberto Romano, Franco Angeli 2006.
Ma quello che, secondo me, dimostra appieno la storia dei fratelli Quintavalle – della quale, ovviamente, ho dato qui solo un breve scorcio – è che il capitalismo familiare può funzionare, se la famiglia si appassiona al lavoro, ha visione, forti capacità e resta unita almeno formalmente, nell’interesse dell’azienda.
La mia bisnonna, Adele Portaluppi in Quintavalle, con sua figlia Luisa Quintavalle che era mia nonna. La bisnonna Adele, che ho conosciuto era sorella del famoso architetto Piero Portaluppi (foto in fondo).
Umberto e Adele Quintavalle,poco prima della morte di Umberto in un incidente in montagna
Ferruccio Quintavalle (1873-1953) , padre di Bruno Antonio e Umberto…
Sotto Piero Portaluppi, nel 1938
Sotto: due articoli – tratti dall’archivio di mia madre Giorgina Venosta ,conservato ad Albiate – sulla morte ed i funerali di Umberto Quintavalle, avvenuta a 72 anni, cadendo in un burrone durante una gita in Valsesia, sotto agli occhi della moglie Adele Portaluppi.
Grazie a Eleonora Sàita