Dai supermercati ai superstore, ovvero come costruire fatturato aggiuntivo con il non food, in un’azienda di alimentaristi
Prima versione elaborata con il dottor Gaetano Puglisi e pubblicata il 22 luglio 2010
La prima necessità di una catena di supermercati è quella di attrarre quanto più clienti possibile, poi di mantenerli/aumentarli e, successivamente, di incrementarne la spesa media.
Chi conosce la distribuzione sa perfettamente che una buona location è alla base del successo dell’impresa e Esselunga si è costruita fin dagli esordi la fama di non aver mai sbagliato una posizione.
Esselunga ha scelto le sue location in zone ad alta concentrazione abitativa, spesso prevedendone lo sviluppo demografico, su spazi ben accessibili e con una potenziale clientela sicuramente coerente agli assortimenti prettamente alimentari che venivano proposti a metà degli anni ‘80.
Poggiandosi su tali fondamenta, l’obiettivo primario, una volta costruito il punto di vendita, diventava l’ampliamento della spesa media dei clienti, considerando anche che, all’epoca il nostro competitor numero 1 era l’ipermercato, dotato di grande capacità attrattiva grazie ad un assortimento molto più ampio rispetto ai supermercati tradizionali di Esselunga e alla sua posizione in centri commerciali (1).
In questo contesto, alla fine degli anni ’80, passavo due anni negli USA presso la catena Dominick’s, che vantava una quota di mercato del 30% dell’area di Chicago dove fatturava circa 2 miliardi di $.
Con più di 15 milioni di abitanti l’area cittadina era ricca e dinamica e la Dominick’s, stimolata dalla concorrenza della American Stores (operante nell’area di Chicago con il marchio Jewel, leader a livello nazionale con 22 miliardi di $ di ricavi) e dalla recente costruzione di un ipermercato Auchan (2), vi aveva sviluppato dei bellissimi superstore, format allora totalmente inesistente nel panorama distributivo europeo.
Alla Dominick’s, ero stato portato da Charles Fitzmorris, fornitore di informatica di Esselunga e della stessa Dominick’s appartenente alla famiglia di origini siciliane che faceva a capo a Dominick Di Matteo jr.
Appena sbarcato negli USA lavorai come operaio e cassiere per un anno in vari superstore (il n° 76 e il 304, ad esempio) cogliendo il potenziale del non food e dello one stop shopping, ovverossia della spesa sotto lo stesso tetto.
Da questa esperienza partì il progetto che portò allo sviluppo dei superstore di Esselunga.
Infatti all’epoca, se Bernardo Caprotti aveva avuto la geniale intuizione di costruire nel tempo superfici sempre più grandi – il primo super oltre i 2’000 mq. di vendita era stato aperto ad Alessandria su disegni di Ignazio Gardella nel 1988- l’azienda non sapeva letteralmente “cosa mettere” in questi nuovi spazi poiché l’assortimento alimentare non era ulteriormente estendibile.
Bernardo Caprotti aveva già escluso, prima che partissi per gli USA, l’entrata di Esselunga nel mondo degli ipermercati mentre accolse di buon grado la mia proposta di “modello americano” del superstore, che vide di persona venendomi a trovare a Chicago. In un’azienda di alimentaristi il non food dei superstore era molto meno invasivo e soprattutto permetteva di mantenere una sola struttura centrale gestionale, mentre gli iper avrebbero probabilmente costretto Esselunga ad avere due strutture distinte di acquisti e di vendita : una per i super e l’altra per gli iper. Nei primi vigeva una forte centralizzazione mentre nei secondi, direttori e capi reparto dei vari ipermercati decidevano cosa comprare e come venderlo. La scelta del superstore non era solo più coerente con la filosofia operativa di Esselunga ma permetteva anche di evitare grossi incrementi di costi.
(1) Esselunga costruì il suo primo centro commerciale a Marlia (LU) su impulso di Giovanni Maggioni solo nel 1991. Prima di allora i supermercati del gruppo si presentavano stand alone sulle varie piazze in cui operavano.
(2) Novità quasi assoluta per il mercato americano dove Auchan costruirà solo un altro iper in Texas.
Forte dell’esperienza americana, costruii, con l’aiuto dell’ingegner Giancarlo Pelarin (l’ordine del giorno di seguito è suo e sancisce la nascita del progetto non food in Esselunga) e di alcuni buyer, tra cui cito volentieri Alberto Bianchi, il progetto del settore non alimentare in Esselunga basandolo sulle categorie dei superstore americani.
Le categorie erano quindi:
cura della persona, vitamine (e integratori alimentari), prodotti di bellezza, calze, cura del bambino, libri, cartoline e cancelleria, giocattoli, sviluppo foto, casalinghi, farmacia (con tanto di farmacista), cosmetici, video e stagionali.
L’inserimento dei liquori nel non food era abbastanza naturale per gli USA perché il settore necessitava di un magazzino a parte e di licenze speciali per la vendita.
Ovviamente in Esselunga il settore venne lasciato in drogheria, come rimasero nel food gli integratori. per ulteriori approfondimenti sulle categorie inserite vedi anche Non food: focus sulle categorie. Dai supermercati ai superstore – parte 6.
Va precisato che questo progetto venne accettato dalla dirigenza di Esselunga solo perché non c’erano alternative: l’azienda era decisamente vocata all’alimentare e tutte le attenzioni dei vertici e della dirigenza erano sempre state concentrate sul food.
Parecchi manager, magari in buona fede, remarono contro il non alimentare che all’epoca appariva come un corpo estraneo alle logiche di Esselunga. Il settore non food era così bistrattato che fui costretto ad inserirvi, seguendo anche l’impostazione americana, tutta la profumeria (Health and Beauty Care o Health and Beauty Aids = IGIENE, CURA E BELLEZZA).
All’inizio non solo non vendevamo cosmetici e profumi ma sugli scaffali dei supermercati avevamo a malapena dentifricio e shampoo perchè ogni direttore aveva poco spazio- non c’erano ancora i superstore-, faceva di testa sua e privilegiava instintivamente il food (drogheria confezionata e freschi)
Il comparto prese dagli USA anche il proprio nome e venne chiamato GENERAL MERCHANDISE che in italiano potrebbe essere tradotto in merci varie, abbreviato in azienda con la sigla GEM o GM.
Di fronte alle resistenze del personale di Esselunga c’erano due armi che potevo cercare di usare al meglio per avere successo con il progetto: i numeri e la formazione.
Mi spiego meglio:
1) Con i “numeri” potevo dimostrare che il “mio” non food, oltre a vendere bene, portava redditività e quindi meritava ulteriori spazi. Non dimentichiamoci che i primi superstore stavano aprendo o erano in costruzione ma che la maggioranza dei punti di vendita aveva una superficie inferiore ai 1’500 mq.
2) Una volta ottenuti i “numeri”, dovevo spiegare a capi reparto, direttori, ispettori, etc come si poteva migliorare il risultato già ottenuto. Per questo bisognava coinvolgere ed addestrare personale già operante nei vecchi super o i nuovi assunti nei super più grandi.
Andando per gradi e approcciando il punto 1) si può aggiungere che il non food ebbe come risultato la creazione del primo nucleo di quello che sarà poi l’ufficio marketing di Esselunga, ovverossia l’Ufficio Allocazione Spazi (abbreviato in UAS) che attraverso il SISTEMA DPP (3).
applicato su larga scala in Esselunga a prodotti ma anche categorie e fornitori, ottenne due risultati fondamentali:
- a) fin dai primi anni ’90, uno strumento di monitoraggio dei costi e della profittabilità di tutti i prodotti (ad esclusione dei freschi a peso variabile) che ancora oggi altre aziende della GD non hanno e quindi un grande vantaggio competitivo operativo e commerciale per l’azienda di Limito.
(3) la Dominick’s lo utilizzava già da tempo e in Esselunga la prima presentazione era già stata fatta da Unilever nel 1987 ma l’azienda adottò ufficialmente il sistema solo quando il sottoscritto fece il primo planogram, nel 1991. Anche su questo cammino trovai delle resistenze e l’ultimo settore della drogheria fu “messo a planogram” solo nel 2001.
- b) di far capire che il non food o GEM era molto profittevole e generava tra il 25 ed il 30% dell’EBIT, molto di più della drogheria (pasta, vino, olio, conserve, etc) che nel conto economico per reparti andava sostanzialmente in pareggio.
Il comparto più ricco era quello dei latticini che generava tra il 65 e il 75% dell’EBIT, a seconda degli anni.
Gli altri comparti dei freschi (carne, pesce, pane e frutta e verdura) avevano risultati altalenanti, intorno al pareggio.
Sul punto 2) si può dire che , dal 1992 in poi, istituivo con ispettori, direttori e capi reparto riunioni e premi per la miglior gestione del settore.
In seguito questo sistema verrà adottato anche per tutti i settori food.
Un metodo che esisteva già era quello delle valutazioni e dei premi variabili, solo che veniva usato solo nelle vendite, per i direttori (operai e cassiere, per contratto, non potevano essere premiati). Venne esteso, modernizzandolo, a tutti (ad esempio i buyer).
Per quanto riguarda la valorizzazione in pubblico dei singoli operatori o dei vari negozi non avremo mai una Honor Roll (o lista d’onore) come alla Dominick’s.
Nb: Express Lines era il giornale interno della Dominick’s
ma il personale meritevole riceverà agli inizi degli anni 2000 delle lettere d’encomio, v. sotto.
I risultati economici furono fondamentali per lo sviluppo del non food che conquistò così molti spazi anche nei piccoli punti di vendita della catena.
Questo non significa che i prodotti food venissero tralasciati, tutt’altro: ho personalmente favorito l’entrata in Esselunga della pasta Rana.
dei sacchetti di caffè Lavazza (all’epoca c’erano solo i barattoli molto più costosi!), del cornetto Algida (Unilever) , del prosciutto cotto Gran Biscotto Rovagnati e di moltissimi articoli della Barilla, con cui feci pace, a metà anni ’90, con la collaborazione di Manuel Gonzalez Valdeolivas (biglietto sotto), dopo tanti anni di guerra commerciale.
Ma con il sistema del “modello DPP” si sapeva quel che succedeva a livello operativo (4) e si poteva elaborare una strategia commerciale.
Si conosceva la redditività delle singole categorie e si veniva a sapere che l’acqua minerale o i detersivi facevano perdere soldi mentre il vino era una delle categorie più redditizie con la profumeria (intesa come igiene, cura e bellezza) o con le pile .
Le tre charts seguenti sono tratte da una presentazione fatta dal sottoscritto ai direttori di Esselunga il 2 marzo 1996.
Le prime due mostrano le 20 categorie più redditizie della filiale di Milano di Esselunga, quelle che portavano l’85% del risultato netto (“cumulata ris. netto” dell’ultima colonna) tra food e non food, escludendo i freschi.
L’ultima mostra invece i settori che portavano più perdite in lire e in % sul loro fatturato. Il fatto che pasta, acqua, birra e olio facessero perdere soldi all’azienda fu uno schock per la vecchia guardia di Esselunga.
(4) prima del sistema DPP in Esselunga non vi era controllo sugli inserimenti di articoli nuovi che potevano essere spediti ai negozi a piacimento dei buyer, anche tutti i giorni. Di fatto molte referenze non erano presenti a scaffale semplicemente perché non ci stavano, soprattutto nelle superfici più piccole. Ovviamente tra gli articoli assenti nei punti di vendita spiccavano gli item non food, profumeria inclusa.
Le regole portate dalla Dominick’s che trovate di seguito cambieranno radicalmente il modo di operare dell’azienda.
A questi “paletti” aggiunsi il fatto che
1) si potesse spedire per comodità di ricevimento dei direttori, gli articoli nuovi una volta sola alla settimana.
2) la divisione dei negozi Esselunga in cluster (gruppi), sia per gli assortimenti che per le promozioni (prima tutti i super ricevevano tutti gli articoli ma i più piccoli – es.l’Esselunga di Regina Giovanna – spesso non sapevano dove metterli e non era raro che li rispedissero in sede creando grande confusione!)
Non è un caso che gli spazi di alcuni prodotti di marca come Dash, Coca – Cola (5) o Nutella siano sempre stati ridotti all’osso in Esselunga. Spesso i prodotti delle “grandi marche” avevano una profittabilità molto bassa.
(5) per la vicenda Coca-Cola VEDI ARTICOLO
A Procter, gestita da Tony Belloni (AD) e da Cesare Righelli (Dir. Comm.) nei primi anni ’90 dimezzai l’assortimento.
e chi raccattò i cocci e dovette ricostruire il rapporto con Esselunga non ebbe vita facile: non riuscì mai a reinserire l’assortimento precedentemente presente sugli scaffali dell’azienda di Pioltello!
Non è neanche casuale lo sviluppo di enoteche, di angoli per l’olio extra vergine di qualità superiore, di banchi di salumi e formaggi preaffettati e già confezionati davanti alla gastronomia o il maggior spazio dato a surgelati , cioccolata e caramelle: si trattava di prodotti con redditività molto elevate.
Ma torniamo al non food : il reparto GEM nasce ufficialmente nel 1991 anche se io ci lavoravo alacremente da metà agosto 1988, quando entrai alla Dominick’s.
Ricordo chiaramente di aver mandato a mio padre da Chicago la media di 1 pagina e mezza via fax al giorno, sabati e domeniche comprese, per convincerlo della bontà del progetto.
La Dominick’s aveva un assortimento non food pari a 24’000 referenze, Esselunga ne aveva probabilmente qualche centinaio (parliamo di prodotti per cura della persona e bellezza, qualche articolo per la pulizia della casa e di casalinghi).
All’assortimento di Esselunga pari a 6’500 referenze circa ne vennero aggiunte più di 20’000 per arrivare a 27’000 articoli gestiti nell’arco di un anno.
Se si pensa che Ikea ne gestisce 42’500 (vedi “Ikea, mito o realtà” di J. Stenebo, febbraio 2010) si intravede la dimensione di questo fenomeno che in Esselunga costituì una piccola rivoluzione!
Piccola nota finale. Di seguito si vede la formazione dell’organico del negozio Omni 304. Lì partecipai all’apertura e feci un’esperienza lavorativa di qualche mese:
M., Drug = Non food, (drug : farmaceutico e parafarmaceutico), nell’Omni c’era una farmacia.
Back-up = secondo
Bakery: panetteria
Deli: Gastronomia
Per lo sviluppo del reparto non food v. Dai supermercati ai Superstore 2
Per gli approfondimenti sul metodo adottato v. anche Dai Supermercati ai Superstore 3
L’apertura dei primi superstore di Esselunga divenne una tappa storica per gli addetti ai lavori della GD, come Daniele Tirelli, anche se nella realtà il primo superstore è stato aperto nel 1989, in via di novoli a Firenze: