Redatto il 19 giugno 2019, aggiornato il 1° ottobre 2023
La nonna Marianne Caprotti era francese e sono cresciuto con il mito della cucina di quel paese e dei suoi chef stellati, primo tra tutti Paul Bocuse.
Poi c’erano Maxim’s, La Tour d’Argent, La Perouse etc..
Seguo la ristorazione, seppur da lontano, e sono molto felice che i nostri principali chef stellati italiani abbiano messo a segno, l’anno scorso (2018 per chi legge), dei fatturati molto importanti:
i fratelli Alajmo 14, 1 milioni, Cracco 13 milioni, Bartolini 9.
La media della top ten fà + 20% ma mancano Cannavacciuolo e Bottura e quindi è meno significativa.
Ma il punto, per me, è perchè – in un’epoca di forte contaminazione – i grandi chef italiani non diffondano la loro cultura con dei prodotti equivalenti a quelli dei francesi
In Francia i prodotti dei grandi ristoranti sono ovunque.
Nei negozi di souvenir e perfino nella grande distribuzione (il che mi sembra esagerato).
Costituiscono uno strumento di diffusione della cultura alimentare francese, anche nell’ottica dell’esportazione del “Made in France” e di un sistema Paese che va dall’agricoltura alla distribuzione, passando da una ristorazione di alto livello.
Cari chef italiani perchè non lo fate anche voi?
In Francia non ci sono solo i prodotti dei ristoranti come Maxim’s ma anche di gastronomie come Fauchon o saloni da tè come Angelina.
In Italia ho visto solo i prodotti di Peck che avevo inserito in Esselunga a metà degli anni ’80 e i prodotti di Cipriani (tagliolini e aperitivo Bellini) , un timido tentativo con prodotti Moreno Cedroni , dei fratelli Alajmo e di Ciccio Sultano.
Un business artigianale, marginale, al contrario di quello orchestrato dai francesi che hanno dato a questi prodotti il nome di epicerie fine, per la quale – da noi – non esiste una definizione (non è gastronomia, come da traduzione che si trova in rete , perchè in francese la gastronomia si chiama traiteur).
E questo mercato – del lusso alimentare accessibile – vale più di 5 miliardi di €.
Sotto: prodotti di Fauchon sugli scaffali di Monoprix (che appartiene alla catena della Grande Distribuzione, Casino), a Parigi, qualche settimana fa (nel 2019 per chi legge).
La lettura di LE CONFETTURE DI FRUTTA DI NIKO ROMITO A 12 EURO AL VASETTO (giugno 2023) e della quasi totalità dei commenti sotto all’articolo, mi ha fatto capire come gli italiani, ancora oggi, non abbiano capito che il settore del cibo di lusso (epicerie fine) potrebbe essere importante per il suo fatturato ma soprattutto per l’immagine del nostro Paese.
Tra l’altro avrebbe anche il pregio di poter finalmente premiare e distinguere dal resto sella massa chi fa al meglio il suo lavoro e chi invece, come nel caso di questa bottiglia di olio (*), lo fa molto male, facendosi pagare cifre non correlate alla sua offerta.
(*) il ristoratore di Venezia non solo “spaccia” olio discutibile a tavola ma lo vende anche da asporto. Grazie a Guido Barendson