Terreno arato ad Albiate
Prima stesura del 7 novembre 2015, ultimo aggiornamento dell’11 dicembre 2015
L’allevamento di bestiame dà sostentamento a un miliardo di persone
Fonte: ONU, padiglione Zero di Expo 2015
Ma la carne fà male:
si stima che mangiarla trasformata , per esempio sotto forma di insaccati, porti a 34’000 morti all’anno
mangiare troppa carne rossa causerebbe ulteriori 50’000 morti all’anno.
Per dare dei parametri di riferimento l’inquinamento atmosferico causa 200’000 morti all’anno, l’alcool ne causa 600’000 e il tabacco 1’000’000 (fonte: Global Burden of Disease Project, citata da Le Monde del 27 ottobre 2015).
I prezzi delle commodities (tra le quali la carne) al padiglione zero di Expo.
Che la carne non facesse bene si sapeva già ma la fonte di provenienza di questa notizia – l’agenzia IARC dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità, IARC: International Agency for Reasearch on Cancer) – e l’associazione esplicita con il cancro hanno fatto sì che gli sia stata data una grande rilevanza mediatica.
Della carne , abbinata al cancro, ne ha parlato la stampa mondiale e quindi anche quella italiana.
Quel che invece non si è letto sui giornali italiani (ad eccezione de Il Sole 24 ore che comunque non gli ha dato rilevanza) riguarda il fatto che la stessa agenzia IARC dell’OMS abbia stabilito che il glifosato possa essere cancerogeno.
Il glifosato, inventato da Monsanto nel 1970, è il pesticida di sintesi più usato al mondo
Un campo dove viene sparso il glifosato nell’Illinois (USA) nel 2010
E’ una sostanza ormai onnipresente nell’ambiente perchè è la si trova in 750 prodotti, tra i quali il famoso Roundup di Monsanto.
Il suo abbinamento alle colture ogm di soia Roundup ready ha fatto sì che le quantità di glifosato rilasciate negli Usa siano state moltiplicate per 20 negli ultimi venti anni.
E’ il prodotto che si trova maggiormente nelle falde acquifere francesi.
Ma quello che imbarazza il mondo scientifico e dell’agricoltura è che nel 2014 l’Istituto Federale tedesco di valutazione del rischio (il Bundesinstitut fur Risikobewertung o BfR) aveva dato all’EFSA (Autorità europea per la sicurezza degli alimenti, che ha la sede a Parma) un rapporto che diceva che non era pericoloso…
Lo IARC (OMS) dice il contrario e l’EFSA dovrà statuire chi ha ragione
Glifosato: conclusioni EFSA previste a novembre
Notizie in breve dal sito EFSA
30 luglio 2015
L’EFSA sta valutando le conclusioni di un rapporto dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) in cui si conclude che l’erbicida glifosato è probabilmente cancerogeno per gli esseri umani.
La relazione , che è stata pubblicata a luglio scorso, è in corso di analisi da parte dell’EFSA nel contesto del corrente riesame tra pari della nuova valutazione del glifosato, che è stata effettuata dal BfR, organismo tedesco per la valutazione del rischio.
Onde avere tempo sufficiente per vagliare la monografia IARC, l’EFSA ha chiesto una proroga dell’originaria scadenza. L’Autorità, che confida di riuscire a rispettare la nuova scadenza, prevede di pubblicare le proprie conclusioni a novembre.
IARC, l’agenzia per la ricerca sul cancro dell’Organizzazione mondiale della sanità, afferma nella propria relazione che esistono prove che l’esposizione al glifosato è associata allo sviluppo di tumori come il linfoma non-Hodgkin e il cancro al polmone.
Revisione tra pari nell’UE
Nell’UE le sostanze attive impiegate nei prodotti fitosanitari vengono valutate o valutate ex novo utilizzando un approccio per fasi.
Dapprima viene redatta una bozza preliminare di rapporto da parte dello Stato membro relatore (RMS) designato. Nel caso del glifosato l’RMS è la Germania. Il rapporto viene poi sottoposto a revisione paritetica dall’EFSA, che tramette le proprie conclusioni alla Commissione europea. La Commissione decide poi se includere o meno la sostanza nell’elenco UE delle sostanza attive approvate. Per saperne di più cliccare su questo link.
Con gli ogm “meno pesticidi, meno rischi”?
Il quotidiano francese Le Monde, al contrario dei giornali italiani, dedica al glifosato e a gli ogm due pagine intere.
Lo fà perchè il ministero dell’ecologia francese ha sollecitato con urgenza la propria agenzia per la sicurezza sanitaria nell’alimentazione e l’ambiente (Anses) a dare un parere sulle conclusioni dello IARC.
Le Monde inoltre manifesta seri dubbi sull’assioma con il quale sono stati promossi gli ogm nel passato: “meno pesticidi, meno rischi” .
La ripetizione di colture con lo spargimento di glifosato, senza alternanza di altri pesticidi, ha contribuito, da più di 10 anni, all’apparizione di erbacce infestanti resistenti a questa molecola.
Ciò ha costretto a maggior utilizzo del glifosato e di altri erbicidi.
Nel 1996 non esistevano erbacce resistenti al glifosato. Nel 2015 ne sono state censite 14 e le dosi di glifosato sono salite da 1,35 kg. per ettaro nel 1996 a 2 kg. per ettaro nel 2012.
Il pericolo sta nella non rotazione, la non moderazione e la mancanza di riflessione agronomica sui pesticidi.
Lo schema che segue- tratto da Le Monde – evidenzia molto bene l’evoluzione della soia transgenica sul totale della soia negli USA (riga nera) e l’utilizzo del glifosato (colore rosso)
Si può concludere quindi che un consumo di carne o un utilizzo eccessivo – fuori controllo – di pesticidi possano portare ad ammalarsi di cancro.
Se poi si va un pò a fondo degli argomenti riguardanti allevamento di bestiame e colture, si capisce che il nostro modo di “fare agricoltura” non è sostenibile.
La stampa poi si muove molto diversamente a seconda degli argomenti
In questo caso ha creato una psicosi che ha danneggiato tutto il comparto della carne in Italia e la GD
Aldo Radice di Assica, aderente a Confindustria:
” nella grande confusione il travaso sulla carne bianca è stato minimo perchè nel consumatore è prevalso un atteggiamento di prudenza”
Nella GD le vendite sono crollate: – 8,7% , con una perdita – in una settimana- di 16 milioni di € di fatturato.
E Federalimentare vorrebbe chiedere i danni all’OMS
Il Sole 24 ore del 13 novembre 2015
mentre l’EFSA, contestata dagli ambientalisti, ha decretato che il glifosato non è cancerogeno.
Greenpeace afferma che l’Efsa avrebbe preso in considerazione solo la documentazione dei produttori di glifosato.
E il 27 novembre 2015 un centinaio di professori e ricercatori scientifici europei ha scritto alle autorità UE contestando duramente quanto dichiarato dall’EFSA.
Una vecchia affiche di Esselunga sulla carne
Per ulteriori approfondimenti v. :
Allevamento intensivo, biodiversità e agricoltura
Salmone selvaggio a rischio, anche a causa degli allevamenti di salmone..
Kasimir Malevic, vacca e violino
CIRC= IARC in italiano
Roundup, l’herbicide qui sème la discorde
LE MONDE SCIENCE ET TECHNO | 26.10.2015 à 14h46 • Mis à jour le 26.10.2015 à 17h43 | Par Stéphane Foucart
Dans le sud de la Colombie, c’en est fini de la noria des avions militaires et des longs panaches gris qu’ils laissaient dans leur sillage. Le 15 mai, le président colombien, Juan Manuel Santos, annonçait l’arrêt de l’un des instruments de lutte contre le narcotrafic les plus controversés d’Amérique latine : l’épandage aérien d’un puissant herbicide, le glyphosate, principe actif du célèbre Roundup, sur les plantations illégales de coca. C’était la conclusion d’une des plus âpres controverses sanitaires et environnementales de ces dernières années.
Financé depuis la fin des années 1990 par les Etats-Unis, le « plan Colombie » fédérait contre lui les populations, les associations environnementalistes et les organisations de défense des droits de l’homme, qui dénonçaient des épandages indiscriminés, des dégâts sur l’agriculture et le bétail, des atteintes sanitaires dans les communautés villageoises… L’Equateur voisin voyait aussi d’un très mauvais œil ces pulvérisations massives qui, au moindre coup de vent, s’invitaient sur son territoire.
Ce ne sont pourtant ni ces protestations, ni les tensions avec le voisin équatorien, ni une quelconque interruption dans le financement américain du programme qui auront eu raison des épandages de glyphosate. Mais un texte lapidaire de quatre feuillets, publié le 20 mars dans la revue Lancet Oncology, signé du « groupe de travail chargé des monographies au Centre international de recherche sur le cancer [CIRC] » et annonçant l’impensable : le classement de la substance, par la vénérable agence de l’Organisation mondiale de la santé (OMS), comme « cancérogène probable ».
« La mère de toutes les batailles »
Les dix-sept scientifiques de onze nationalités réunis par le CIRC pour évaluer le célèbre herbicide ignoraient sans doute que leur avis mettrait, en moins de trois semaines, un terme à quinze années de polémiques autour du « plan Colombie ».
En revanche, ils se doutaient qu’ils allaient créer l’une des plus vastes paniques réglementaires de l’histoire récente et déclencher un formidable affrontement d’experts. « c’est clairement la mère de toutes les batailles, dit un toxicologue français qui n’a pas participé à l’évaluation. Le glyphosate, c’est un peu comme ces grandes banques américaines qu’on ne peut pas laisser faire faillite sans casser tout le système : too big to fail. » Dès la publication de l’avis du CIRC, Monsanto a diffusé un communiqué inhabituellement agressif, qualifiant le travail de l’agence de « science pourrie » (junk science, dans le texte), exigeant de Margaret Chan, directrice générale de l’OMS, qu’elle fasse « rectifier » la classification du glyphosate.
Le travail du CIRC jouit toutefois d’une haute reconnaissance dans la communauté scientifique.
A l’évidence, le glyphosate n’est pas un pesticide comme les autres. Inventé en 1970 par Monsanto, dont le brevet mondial est arrivé à échéance en 1991, c’est le pesticide de synthèse le plus utilisé dans le monde. Mais c’est aussi la pierre angulaire de toute la stratégie de l’industrie des biotechnologies végétales. Selon les données de l’industrie, environ 80 % des plantes transgéniques actuellement en culture ont été modifiées pour être rendues tolérantes à un herbicide – le glyphosate, en grande majorité. Et ce, afin de permettre un usage simplifié du produit. Celui-ci détruit en effet toutes les adventices (les mauvaises herbes) sans nuire aux plantes transgéniques.
Embarras
Le développement exponentiel du glyphosate s’est construit sur l’idée qu’il était presque totalement inoffensif pour les humains. « Moins dangereux que le sel de table ou l’aspirine », selon les éléments de langage des industriels. C’est dire si l’avis rendu en mars par le CIRC a fait l’effet d’une bombe. D’autant plus que le glyphosate est précisément en cours de réévaluation au niveau européen. Avant la fin de l’année, l’Union européenne devra dire si elle réautorise ou non, pour les dix prochaines années, le glyphosate sur son territoire…
Comble de l’embarras : l’Institut fédéral allemand d’évaluation du risque (le Bundesinstitut für Risikobewertung, ou BfR), chargé de le réévaluer au nom de l’Europe, a rendu en 2014, à l’Autorité européenne de sécurité des aliments (EFSA), un rapport de réévaluation écartant tout potentiel cancérogène et proposant même de relever de 60 % le seuil de sécurité actuel ! L’EFSA devait ensuite passer en revue la version préliminaire rendue par le BfR et transmettre un avis positif à la Commission européenne. Le glyphosate aurait été sans anicroche réautorisé pour une décennie en Europe.
Lire aussi : Le bénéfice des cultures « Roundup ready » en question
La publication du CIRC a fait voler en éclats cette mécanique.
En France, le ministère de l’écologie a saisi en urgence, le 8 avril, l’Agence nationale de sécurité sanitaire de l’alimentation, de l’environnement et du travail (Anses), afin qu’elle rende un avis sur… l’avis du CIRC. Quatre experts français ont été affectés, séance tenante, à l’examen des divergences entre le CIRC et le BfR. Quant à ce dernier, il a mis à jour sa réévaluation en tenant compte des conclusions du CIRC et doit la remettre avant la fin octobre à l’EFSA.
Divergences
A l’agence européenne, basée à Parme (Italie), la situation est source de profond embarras, car c’est elle qui devra, in fine, jouer le rôle d’arbitre et rédiger l’avis définitif à l’intention de la Commission européenne. En fin de compte, l’EFSA, qui cherche à réparer son image mise à mal par les accusations répétées de conflit d’intérêts, a prévu de consulter l’ensemble des agences de sécurité sanitaire européennes avant de se prononcer.
En attendant, on tente de relativiser les divergences entre groupes d’experts. « Il faut comprendre que l’avis rendu par le CIRC n’est pas une évaluation du risque, dit-on à l’EFSA. Le CIRC dit que le glyphosate est un cancérigène probable, et non qu’il représente un risque de cancer pour la population ! » Cependant, le BfR et le CIRC ne s’entendent pas non plus sur les propriétés mêmes de la substance. Dans son rapport préliminaire, le BfR jugeait qu’« un échantillon adéquat d’études in vitro et in vivo n’ont pas fourni d’indice de potentiel génotoxique », tandis que le CIRC estime que les données disponibles sont « suffisantes » pour conclure au caractère génotoxique du glyphosate. Notamment grâce à une étude menée sur les communautés villageoises des hauts plateaux colombiens : après les épandages, les taux de lymphocytes anormaux augmentaient chez les sujets analysés.
Comment expliquer de telles divergences ? « Une première raison est la nature des études qui ont été examinées par les deux groupes d’experts, explique Gérard Lasfargues, directeur général adjoint de l’Anses. Le BfR a notamment examiné des études conduites par les entreprises qui ne sont pas rendues publiques pour des questions de secret industriel, ce que n’a pas fait le CIRC. » De fait, l’agence de l’OMS ne fonde ses avis que sur des données publiques ou sur des études publiées dans la littérature scientifique, et donc préalablement soumises à la revue par les pairs (peer review).
Opacité
Plusieurs ONG, comme Greenpeace ou Corporate Europe Observatory (CEO), sont très critiques sur l’opacité de l’évaluation conduite par le BfR prenant en compte des études industrielles et tenues confidentielles. « Le BfR a été tellement débordé par le volume des études soumises par les entreprises que son travail a surtout consisté à passer en revue les résumés d’études fournies par l’industrie », assure-t-on à CEO. En outre, quatre des douze experts du comité Pesticides du BfR – qui n’a pas répondu aux sollicitations du Monde – sont salariés par des sociétés agrochimiques ou des laboratoires privés sous contrat avec elles. A l’inverse, les experts du CIRC ne sont pas seulement sélectionnés sur des critères de compétence scientifique, mais également sur l’absence stricte de conflits d’intérêts.
Une autre raison des divergences entre le CIRC et le BfR est plus étonnante. « Le CIRC a tenu compte d’études épidémiologiques qui ont été écartées par le BfR de son analyse, explique M. Lasfargues. Et le BfR a écarté ces études sur la foi de certains critères, dits “critères de Klimisch”, qui en évaluent la solidité. Mais ce qui pose question est que ces critères sont censés estimer la qualité des études toxicologiques, non des études épidémiologiques, et on ne sait pas comment ces critères ont été éventuellement adaptés. »
Bataille d’experts
Plusieurs de ces études épidémiologiques prises en compte par le CIRC suggèrent un risque accru de lymphome non hodgkinien (LNH) – un cancer du sang – chez les travailleurs agricoles exposés au glyphosate. Cependant, l’affaire est loin d’être claire. Ainsi, rappelle une épidémiologiste française, « les résultats de la grande étude prospective sur la santé des travailleurs agricoles [dite « Agricultural Health Study », menée dans l’Iowa et en Caroline du Nord] n’ont pas permis pas de faire ce lien entre glyphosate et lymphome non hodgkinien ».
La bataille d’experts en cours ne se réduit pas à une opposition entre le CIRC et le BfR… Un autre groupe scientifique constitué par l’Institut national de la santé et de la recherche biomédicale (Inserm) avait déjà, dans son expertise de 2013 sur les effets sanitaires des pesticides, affirmé le caractère génotoxique du glyphosate et suspectait, comme le CIRC, un lien avec le LNH…
D’autres expertises viennent encore ajouter à la confusion. Dans son communiqué du 23 mars, Monsanto notait ainsi que le groupe d’experts commun à l’OMS et à l’Organisation des Nations unies pour l’agriculture et l’alimentation sur les pesticides – dit « Joint Meeting on Pesticide Residues », ou JMPR – avait, dans son dernier avis, écarté tout potentiel cancérogène du glyphosate. Deux groupes d’experts œuvrant sous l’égide de l’OMS et parvenant à des conclusions opposées, l’affaire faisait un peu désordre.
Conflits d’intérêts
Selon nos informations, un troisième groupe d’experts a été constitué en urgence par l’OMS pour… départager les deux autres. Le résultat de l’audit, discrètement publié courant septembre sur le site de l’OMS, est cruel pour le JMPR. Celui-ci est critiqué pour n’avoir pas pris en compte certaines études publiées dans la littérature scientifique et pour n’avoir pas, au contraire du CIRC, tenu compte de « toutes les données utiles » à l’évaluation… Le JMPR est enfin sèchement invité à « revoir ses règles internes » et à « refaire l’évaluation complète » du glyphosate. L’OMS n’a pas répondu aux sollicitations du Monde.
Là encore, les ONG ont leur interprétation. Dans une lettre adressée, le 16 juin, à la direction générale de l’OMS, une dizaine d’organisations de défense de l’environnement (National Resources Defense Council, Friends of the Earth, etc.) relevaient les conflits d’intérêts de quatre des huit experts du JMPR qui travaillent régulièrement avec l’industrie agrochimique. L’un d’eux avait même été exclu d’un groupe d’experts de l’EFSA – fait inédit – pour avoir omis de déclarer certaines de ses collaborations avec l’industrie…
Embryons d’oursin
Le potentiel génotoxique et probablement cancérogène attribué au glyphosate n’étonne guère le biologiste Robert Bellé, professeur émérite à l’université Pierre-et-Marie-Curie (Paris). « Au contraire, beaucoup de temps a été perdu, déplore ce pionnier de l’étude des effets du glyphosate. A la fin des années 1990, je cherchais un modèle biologique pour étudier les effets de substances toxiques sur les mécanismes de cancérogénèse et de tératogénèse au sein de la cellule. » L’équipe du biologiste utilise des embryons d’oursin pour observer les mécanismes de division cellulaire et la manière dont ils peuvent être perturbés par des polluants. « Nous cherchions une substance très banale et couramment utilisée, présente partout, pour exposer les cellules témoins, raconte M. Bellé. Nous avons choisi de prendre celui qui nous a semblé le plus commun, et donc sans doute le plus étudié : nous avons pris du Roundup, en vente libre. Et ce que nous avons observé nous a beaucoup surpris. »
A partir de 2002, l’équipe du biologiste français publie une série de résultats montrant que le Roundup inhibe la division cellulaire et active un « point de contrôle » des dommages de l’ADN – un mécanisme-clé qui permet d’éviter que des cellules à l’ADN altéré ne se multiplient.
« Lorsqu’on utilise le glyphosate seul, ces effets disparaissent, car le glyphosate semble incapable de pénétrer dans la cellule, sauf à très hautes doses, explique M. Bellé. Or, il n’est commercialisé que mélangé à des surfactants qui lui permettent d’entrer dans les cellules et donc d’être efficace. On comprend du coup pourquoi le glyphosate ne sera jamais interdit : les tests toxicologiques réglementaires n’expérimentent que les effets du principe actif seul… » Un constat étayé depuis une décennie par d’autres travaux, conduits par l’équipe du biologiste français Gilles-Eric Séralini (université de Caen, Criigen), qui a fait du glyphosate l’un de ses chevaux de bataille.
Alertes anciennes
« Au début des années 2000, à deux reprises, j’ai reçu la visite de responsables du CNRS à qui j’ai expliqué mes résultats et qui les ont trouvés intéressants et pertinents, raconte M. Bellé, qui ne souhaite pas donner l’identité des intéressés pour éviter la polémique. On m’a dit que je pouvais continuer mon travail sur le glyphosate, mais que je ne devais pas communiquer auprès du public, pour ne pas inquiéter les gens. » Ultérieurement, alors que les avis scientifiques des experts étaient favorables, toutes les demandes de financement public pour approfondir ses travaux sur l’herbicide ont été rejetées.
Le glyphosate, un Léviathan de l’industrie phytosanitaire
Le glyphosate, c’est le Léviathan de l’industrie phytosanitaire. Loin de se réduire au seul Roundup – le produit phare de Monsanto –, il entre dans la composition de près de 750 produits, commercialisés par plus de 90 fabricants, répartis dans une vingtaine de pays… La production mondiale est montée en flèche ces dernières années un peu partout dans le monde, tirée vers le haut par l’adoption rapide des maïs et autres sojas transgéniques « Roundup ready ». De 600 000 tonnes en 2008, la production mondiale de glyphosate est passée à 650 000 tonnes en 2011, pour atteindre 720 000 tonnes en 2012, selon les données compilées par le Centre international de recherche sur le cancer (CIRC). Aux Etats-Unis, les quantités épandues ont été multipliées par 20 en l’espace de vingt ans, passant de 4 000 tonnes par an en 1987 à 80 000 tonnes en 2007. En 2011, dans une étude publiée par la revue Environmental Toxicology and Chemistry, l’US Geological Survey annonçait avoir détecté du glyphosate dans les trois quarts des échantillons d’eau de pluie et d’air analysés dans une région de grandes cultures. En France, il s’en épand environ 8 000 tonnes par an. Avec son principal produit de dégradation, l’AMPA, il constitue le produit le plus fréquemment détecté dans les cours d’eau de France métropolitaine.
Les travaux du biologiste français et de son équipe suggéraient donc déjà, il y a près de quinze ans, que le glyphosate pouvait être impliqué dans la cancérogenèse.
En outre, la monographie du CIRC rappelle ce fait surprenant : lorsque, en 1985, la substance est évaluée pour la première fois par l’Agence de protection de l’environnement américaine, elle est d’emblée classée cancérogène. Les experts américains signalent en effet que les souris exposées au produit ont un risque accru de développer un cancer du tubule rénal… Des discussions pointues sur la nature de quelques-unes des tumeurs observées conduiront, quelques années plus tard, à considérer ce résultat comme non significatif.
Malgré ces alertes anciennes, le glyphosate s’est installé comme le plus sûr des herbicides sur le marché pendant de nombreuses années. La confiance dans le produit a été telle que certains risques sanitaires, sans liens avec le cancer, ont été totalement ignorés.
Neurotoxicité
« Nous savons avec certitude que le glyphosate est neurotoxique : cela est documenté par des études menées sur les animaux et aussi par les cas d’intoxication aiguë chez l’homme, dit ainsi Philippe Grandjean, professeur à l’université Harvard, l’un des pionniers de l’étude de l’effet des polluants environnementaux sur le système nerveux central. Or si le glyphosate a un effet sur le cerveau adulte, nous savons aussi qu’il aura un effet sur le cerveau en développement du jeune enfant ou sur le fœtus, par le biais de l’exposition des femmes enceintes. »
Toute la question est alors de savoir à partir de quel niveau d’exposition au glyphosate ces dégâts apparaissent. « Cela, nous ne le savons pas, répond M. Grandjean. A ma connaissance, il n’y a eu aucune étude valide, menée selon les standards réglementaires, pour évaluer les effets du glyphosate sur le neurodéveloppement. S’agissant du pesticide le plus utilisé dans le monde, cette situation me semble être assez problématique. »
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