Nel 1989, in Esselunga, venne varato il progetto non food che avrebbe permesso all’azienda di passare dal format dei supermercati (1’500 mq. di vendita ca.) a quello dei superstore (dai 2’500 mq. in su).
Con questa virata strategica l’azienda basata a Limito di Pioltello poteva affrontare nuovi territori di espansione, uscire al meglio dal perimetro cittadino di Milano e di Firenze e competere con gli ipermercati , situati nelle periferie, con la formula dello one stop shopping (= tutta la spesa sotto lo stesso tetto):
cibo, prodotti non alimentari di base e servizi.
Le tre foto sotto degli scaffali non food di Esselunga sono di Luigi Rubinelli
Nel 1991 venne fondato l’ufficio acquisti ad hoc diretto, dal 1993 in poi, dal sottoscritto.
Esso prese il nome dalla definizione americana di merci varie: general merchandise, abbreviato aziendalmente in G.M. o gem.
Questo ufficio, negli anni, servì come “laboratorio sperimentale” per il non food ma anche per l’inserimento di nuovi innesti in Esselunga :
accolse giovani laureati e professionisti provenienti da altre aziende della GD.
le categorie della Dominick’s di Chicago- dove avevo passato due anni di tirocinio– che furono esaminate con la direzione di Esselunga l’8 novembre 1989 erano :
Alle categorie scelte successivamente (le foto sopra non sono esaustive) venne aggiunto il materiale di consumo:
dalle vaschette per la gastronomia, ai rullini per gli scontrini delle casse, ai sacchetti per la spesa che, all’epoca , erano solo quelli di plastica trasparente gialla.
Passati alcuni anni passai il timone dell’ufficio gem alla dottoressa Anna Mangiola che proveniva dalla Metro e che avevo assunto personalmente con il dottor Renzo Fossati, allora direttore delle Risorse Umane, negli uffici Esselunga di viale Piave, a Milano.
Nella foto sotto Anna Mangiola alla mia destra, all’apertura del superstore di Corsico, nel 1995.
Anna Mangiola, tra le tante cose fatte, ebbe il pregio, a seguito dei nostri numerosi viaggi in Cina, di propormi di affiancare i nostri sacchetti tradizionali per la spesa con le borse gialle Made in China (ora fatte in Vietnam, all’origine Cina).
In Cina andavamo alle fiere per farci venire delle idee sui prodotti da far produrre in loco e poi, una volta che li avevamo elaborati in Italia, li commissionavamo ai fornitori cinesi.
Si trattava di articoli tessili, natalizi, casalinghi, giocattoli, etc.
Penso che le borse vennero elaborate guardando cosa faceva Ikea.
Sotto: Giuseppe Caprotti in Cina negli anni ’90.
L’idea delle borse mi parve buona anche perchè prendevano in considerazione il passaggio dai supermercati di città (sacchetti piccoli per spese più frequenti e contenute) ai superstore (spesa più ampia, una volta alla settimana).
Poi questa borsa era riutilizzabile mentre i sacchetti, il cui materiale nel frattempo era cambiato, erano molto fragili, all’epoca si rompevano spesso.
Inoltre erano vendibili (= marchio privato) , riciclabili e visibilissime.
Così nacquero le “mitiche” borse, oltre alle quali , con l’avvento dei superstore, vennero presi anche dei carrelli più grandi di quelli dei supermercati tradizionali.
Ne esiste anche una versione in tessuto: seconda nella foto sotto.
p.s.: il non food chiuse il 2003 superando i 700 mio. € e una contibuzione all’ Ebit (risultato operativo) del 30%.
Ovvio che stiamo parlando di un’icidenza sul fatturato (17,8%) pre -crisi, che oggi sarebbe impensabile.
Ma tant’è: i superstore, in Esselunga, pesano ormai molto più dei supermercati (dati GDONews).



Ma quella è tutta un’altra storia.
Sotto: un fotogramma di “Amici miei” (1976) dove il “Conte Mascetti” (Ugo Tognazzi) ha in mano un sacchetto – ancora bianco- dell’Esselunga.



