Gianni Albertini aveva vissuto da vicino, quale membro della spedizione, la tragedia del dirigibile Italia che nella primavera del 1928 si era schiantato sul pack del Polo Nord; dei 16 uomini dell’equipaggio, 10 caddero sulla banchisa e si salvarono quasi tutti, gli altri 6, rimasti nell’involucro del dirigibile, sparirono tra la nebbia e non se ne seppe più nulla.
I sopravvissuti, alcuni nei loro diari, scrivono di aver visto una fumata in lontananza che potrebbero localizzare, cercano anche di ipotizzare una distanza a un punto molto difficile. Da qui parte la vicenda di Gianni Albertini, l’angoscia per questi sei compagni che nessuno cerca più, e come si sa la legge silenziosa della roccia e del ghiaccio insegna che non si lasciano indietro i compagni. Perciò, nella primavera del 1929, Albertini si mette in contatto con Lucia e Giorgio Pontremoli, madre e fratello del grande fisico Aldo che è appunto fra i sei scomparsi, i quali non hanno ancora perso la speranza di ritrovare il loro caro (così come i parenti degli altri cinque suoi compagni), e l’incoraggiano a organizzare una nuova spedizione di soccorso, garantendo tutto il loro appoggio.
Albertini studia, si documenta, pensa che si possa circoscrivere un’area di ricerca, immaginando che i sei sfortunati, se ancora vivi, avrebbero potuto dirigersi verso la costa. Decide quindi di partire, pur dicendo chiaramente a Lucia Pontremoli che si tratta per lui di un “imperativo morale” che intende seguire, ma certo le prospettive non sono buone.
La spedizione viene approntata con grande attenzione ai dettagli. Ecco i principali aspetti della preparazione, condotta con una velocità organizzativa stupefacente anche per gli standard attuali, meno di tre mesi:
- La raccolta di fondi: più di un milione da vari sostenitori, dal Partito nazionale fascista che è tra i maggiori finanziatori, a Papa Pio XII che offre a titolo personale una somma consistente, a industriali e parlamentari quali il cotoniere Silvio Crespi e Senatore Borletti.
- La scelta del mezzo e dell’equipaggiamento: Albertini seleziona personalmente una baleniera a Oslo, la “Heimen”, rinforzata nella chiglia e nella prua per affrontare i ghiacci. La ribattezza “Heimen-SUCAI”, aggiungendo l’acronimo dell’associazione di cui lui ed altri membri dell’equipaggio fanno parte, la Sezione universitaria del CAI. Particolare attenzione è dedicata alla strumentazione radiotelegrafica, scegliendo apparecchi sofisticati, e alla scelta di tende e sacchi a pelo, provviste per oltre un anno e tutto il necessario per una spedizione di diversi mesi.
- La selezione dei componenti della spedizione, ovvero “l’esperienza e l’affiatamento come metodo”: Albertini si basa, e questo denota il suo acume quale capo spedizione, sull’esperienza degli ambienti impervi e l’affiatamento, cerca insomma un equipaggio che sia in grado di portare a casa il risultato. E lo fa nel modo più acuto e più intelligente, scegliendo una nave norvegese con equipaggio di condotta norvegese, quindi esperto della nave e dell’ambiente, e per l’equipaggio di esplorazione persone che conosce, con cui ha condiviso la sua esperienza di alpinismo, con cui ha un rapporto personale di amicizia e di fiducia. I due gruppi, poi, sono capaci di interagire per il comune obiettivo: ciascuno dei membri della spedizione ha un incarico nominale, e poi tutti fanno tutto, che è un altro presupposto essenziale perché l’impresa è l’impresa di tutti (G. CASAGRANDE, La HEIMEN-SUCAI).
- La scelta e l’addestramento dei cani da slitta: non meno importanti dell’equipaggio umano, che a ogni discesa sul pack lega loro la vita, questi “ospiti di grande valore”, come li definisce Albertini nel suo diario, sono per lui motivo di studio e di un altro genere di rapporto fra esseri viventi. Ne studia il comportamento, ma al medesimo tempo instaura con loro lo stesso genere di amicizia e di fiducia che instaura con i suoi uomini, cosa che gli guadagna obbedienza e rispetto incondizionati e, quindi, una magnifica interazione al momento del bisogno.
- La documentazione: Albertini stipula un contratto con l’Ente Nazionale di Cinematografia per documentare l’impresa.
La spedizione dura dal 15 maggio al 22 settembre 1929, e non si limita alla sola ricerca dei Dispersi ma anche a rilievi scientifici, sempre fondamentali nel caso di una terra ancora quasi completamente sconosciuta. La Heimen naviga, fermandosi in punti precisi per consentire perlustrazioni nell’interno con le slitte. Una di queste, che comprende anche Albertini, percorre un migliaio di chilometri in nemmeno un mese, e resta pure bloccata da una tremenda tempesta di neve, che costringe i quattro uomini a restare pigiati per giorni nella tenda gelata e coi viveri razionati; tanto tremenda, quella tempesta, che persino i cani muoiono, o devono essere abbattuti perché in condizioni disperate. Gli animali sopravvissuti se ne ciberanno. Nel corso delle spedizioni sul pack o lungo le coste trovano le tracce di altre spedizioni, i messaggi e i segnali lasciati l’anno prima nel caso i Dispersi fossero capitato da quelle parti, e nei pressi della Baia del Re scorgono l’enorme scheletro dell’hangar che ospitò il dirigibile Italia.
Ad agosto muore uno dei componenti della spedizione, Giulio Guedoz, durante l’attacco di un orso bianco, e viene sepolto in mare. Questo episodio, insieme all’inverno artico che ormai si avvicina e alle riserve di carburante agli sgoccioli, convince la spedizione a rientrare con un nulla di fatto per quanto riguarda la ricerca dei Dispersi del dirigibile Italia, ma con una serie di dati e di esperienze che, comunque, non hanno reso vana l’impresa. Non è certo un caso se il nome di Albertini verrà legato a un piccolo fiordo esposto a nord sulla costa settentrionale della Orvin Land.
Bibliografia:
F. GIARDINI, Alla ricerca dei naufraghi dell’ “Italia”, TurinPolar 31/2017.
A. SANFELICE VISCONTI, “La Lampadina Racconti – L’uomo che andò in cerca dei dispersi dell’ ‘Italia’ ”, in “La Lampadina. Periodiche illuminazioni”, 7 febbraio 2020.
G.L. CASAGRANDE, La HEIMEN-SUCAI nei Mari Artici. Considerazioni geostoriche, intervento alla Conferenza Il grande viaggio dell’ingegnere Albertini nei mari artici, Milano, 18 marzo 2025, Museo Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci.
Due delle immagini sotto sono state scattate da mio figlio Giovanni Caprotti
