(…) Ma di nuovo il destino ci pose davanti a fatti che non ci aspettavamo e che non avremmo mai voluto immaginare.
Padre e madre, nel breve volgere di 10 anni ci lasciarono soli.
Padre e madre tutti e due colpiti dalla malattia che allora si considerava invincibile, il cancro.
Mi trovai così di fronte alla necessità di diventare il capo della famiglia.
Sentii subito la responsabilità di informare i fratelli Pirelli della grande perdita che l’azienda avrebbe dovuto subire entro pochi mesi (…); una certa affettuosa gratitudine legava i due fratelli al loro direttore generale.
Tentai tutte le strade ma, come ho detto, nessuno allora sapeva come affrontare il cancro.
Mio padre fu seguito da due professori, i quali, a mio parere, ne sapevano esattamente quanto ne sapevo io. La malattia era stata diagnosticata qualche mese prima dal medico di famiglia come esaurimento nervoso. Andai da [Mario] Donati, il più grande chirurgo italiano allora vivente. Donati escluse gentilmente qualsiasi possibilità, almeno per quanto lo riguardava. Il fegato, allora, non si poteva operare (…).
Comunque mio padre morì con dolori atroci, ridotto ad una larva ma sempre coraggiosamente presente a sé stesso per farci capire che non aveva paura, ma che si fidava di noi. (…).
Quella mattina, dopo la visita di Padre Zucca [Enrico Zucca, frate francescano, intratteneva stretti rapporti con le famiglie più influenti e facoltose dell’aristocrazia e dell’imprenditoria milanesi, e nel ’46 avrebbe guadagnato una certa fama per aver preso parte all’occultamento del cadavere di Mussolini, N.d.R.] sollecitato ad essere presente da Tommaso Gallarati Scotti, mi trovavo nel giardinetto dell’edificio [la casa di cura Columbus in via Buonarroti, a Milano, N.d.R.] insieme all’amico Lele Pesenti, quando passò per strada il Colonnello Bettoni, che era stato mio superiore in Savoia [il Reggimento Savoia Cavalleria, ove Guido aveva prestato il servizio militare, N.d.R.], seguito dall’attendente, tutti e due a cavallo. Bettoni si fermò e udì la notizia. Fu dolorosamente sorpreso. Il cavallo intanto con il grande collo allungato brucava quietamente la siepe che ci divideva.
Questo per me è il ricordo ultimo di questa inenarrabile tragedia.
In una stanza lì accanto giaceva il simulacro senza vita della persona che avevo più amato. Addio per sempre piacevoli conversazioni, esempio senza pari, tolleranza, generosità. Sempre con il rispetto dell’uomo considerato non avversario, ma qualcuno da istruire e da aiutare.
Credevo che tutto fosse finito, ma gli anni che vennero dopo mi insegnarono che si può continuare ad amare un morto con lo stesso amore di quando era in vita. Così ho fatto io, e tutto mi è sembrato continuare come prima. (…)”.
Come usava all’epoca il solenne funerale del mio bisnonno, con tanto di banda, viene immortalato in un album fotografico. Abbiamo così le immagini della partenza del carro funebre, preceduto e seguito da un lunghissimo corteo che dalla clinica Columbus si svolge lungo tutto il percorso che arriva sino alla chiesa di San Pietro in Sala, in piazza Wagner, dove viene celebrato il rito funebre. Dietro al feretro i famigliari, la vedova Argia e i tre figli Guido, al centro, in borghese, Luigi e Giorgio, entrambi in divisa militare; dietro a Guido, in primo piano, Luisa Quintavalle, di lì a poco sua fidanzata e sposa. La Pirelli ha mandato una nutritissima rappresentanza, che sfila dietro il proprio labaro e in chiesa, durante il rito, funge da picchetto d’onore. Un degno ultimo saluto che indubbiamente ha rappresentato molto per quel figlio, mio nonno.
Fonti:
Albiate, Archivi di Villa San Valerio, Archivio di Guido Venosta, G. VENOSTA, Memorie inedite (1996-97), pp. 38-40.
Bibliografia:
[a c. della Redazione online] “Ecco come un frate aiutò la fuga dellʼinterprete di Hitler dallʼItalia”, in “San Francesco Patrono d’Italia”, pubblicato il 03-04-2017.
