La “Questione Sociale”, così sentita tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, raggiunse anche Albiate. Pure qui si visse la competizione tra ideale socialista e ideale cattolico, ma senza gli eccessi che misero a ferro e fuoco altre regioni, come la Romagna.
I Caprotti non erano certo benvisti dalla parte ecclesiastica, per le loro robuste ascendenze repubblicane ma soprattutto a causa della loro insofferenza per la religione e soprattutto le sue pratiche, che nel loro sentire intralciavano la loro coscienza economica e tutta tesa al profitto, creando fastidiosi conflitti; Carlo addirittura, nel 1869, scriveva alla seconda sorella appena votatasi suora premettendo alla sua lettera un Nel nome di Mercurio, il dio degli affari e del commercio, che è tutto un programma (ROMANO, I Caprotti, p. 238). Ma nonostante quest’insofferenza, in quel periodo difficile i Caprotti si misero nel solco della tradizione cattolica che insegnava l’obbedienza all’autorità, il rispetto della proprietà privata, l’ordine e la disciplina, tutte cose che rispettavano molto. Negli anni in cui nasceva la “Confederazione Cooperativa Italiana” (1919 – 1921), la prima associazione italiana di ispirazione cattolica tutt’oggi attiva, Bernardo Caprotti, padre di Peppino, fondava con Galeazzo Viganò ed alcuni tecnici e operai delle rispettive fabbriche la “Società Mutua Cooperativa di Consumo”, per calmierare i prezzi e permettere agli associati di acquistare generi di prima necessità al giusto prezzo. In seguito, anche se le lotte sindacali si affermarono pure alla Caprotti, come in tutte le fabbriche, tuttavia la matrice cattolica e fortemente attaccata alle tradizioni rimase.
Fonti:
F. MILANESE, Albiatum, ristampa a cura di “I quaderni albiatesi de ‘Il Cittadino della domenica’, n. 35”, Albiate 1989.
La storia di Confcooperative, opuscolo a cura di Confcooperative, s.d.
