Redatto il 2 ottobre 2024, aggiornato l’8 luglio 2025. 

 

Sotto il muro in Cisgiordania, che ho fotografato nel 2019 : si tratta di “un sistema di barriere fisiche costruito da Israele in Cisgiordania a partire dalla primavera del 2002.

Si estende su un controverso tracciato di 730 km ridisegnato più volte a causa di pressioni internazionali e consiste per tutta la sua lunghezza in un’alternanza di muro e reticolato con porte elettroniche”.

Ne ho sentito parlare per la prima volta da Daniel Barenboim al Teatro Franco Parenti a Milano, anni fa.

Barenboim aveva istituito un’orchestra mista di israeliani e palestinesi.

David Grossman: Israele è in un incubo. Chi saremo quando risorgeremo dalle ceneri? Possiamo solo immaginare l’entità della paura e dell’odio che ora verranno a galla

David Grossman è uno dei più grandi scrittori israeliani, ha perso un figlio ventenne, in Libano, nella guerra contro Hezbollah, nel 2006. E’ autore di ‘More Than I Love My Life’ e vincitore del Man Booker International Prize 2017 e dell’Israel Prize 2018 . Articolo tradotto da Alessandra Sgarbi

Circa 1.000 morti, più di 3.000 feriti, decine di persone prese in ostaggio. Ogni sopravvissuto è una storia miracolosa di intraprendenza e coraggio. Innumerevoli miracoli, innumerevoli atti di eroismo e sacrificio da parte di soldati e civili. Guardo le facce delle persone e vedo lo shock. Intorpidimento. I nostri cuori sono appesantiti da un peso costante. Più e più volte ci diciamo: è un incubo. Un incubo senza paragoni. Non ci sono parole per descriverlo. Non ci sono parole per contenerlo.

Vedo anche un profondo senso di tradimento. Il tradimento dei cittadini da parte del loro governo, del primo ministro e della sua coalizione distruttiva. Un tradimento di tutto ciò che abbiamo di prezioso come cittadini, e in particolare come cittadini di questo Stato. Un tradimento della sua idea formativa e vincolante. Del deposito più prezioso di tutti – la casa nazionale del popolo ebraico – che è stato consegnato ai suoi capi per la salvaguardia, e che avrebbero dovuto trattare con riverenza. Invece, cosa abbiamo visto? Che cosa ci siamo abituati a vedere, come se fosse inevitabile?

Quello che abbiamo visto è il totale abbandono dello Stato a favore di agende meschine e avide e di una politica cinica, ristretta e delirante. Quello che sta accadendo ora è il prezzo concreto che Israele sta pagando per essere stato sedotto per anni da una leadership corrotta che lo ha fatto precipitare di male in peggio; che ha eroso le sue istituzioni di diritto e giustizia, il suo esercito, il suo sistema educativo; che era disposto a metterlo in pericolo esistenziale per tenere il suo primo ministro fuori dal carcere. Vedo anche un profondo senso di tradimento. Il tradimento dei cittadini da parte del loro governo, del primo ministro e della sua coalizione distruttiva Basti pensare ora a quello con cui abbiamo collaborato per anni. Pensate a tutta l’energia, il pensiero e il denaro che abbiamo sprecato per guardare Netanyahu e la sua famiglia recitare i loro drammi in stile Ceaușescu. Pensate alle illusioni grottesche che producevano per i nostri occhi increduli.

Negli ultimi nove mesi, milioni di israeliani sono scesi in piazza ogni settimana per protestare contro il governo e l’uomo a capo. E’ stato un movimento di enorme significato, un tentativo di riportare Israele sulla retta via, all’idea nobile che sta alla base della sua esistenza: creare una casa per il popolo ebraico. E non una casa qualsiasi. Milioni di israeliani volevano costruire uno stato liberale, democratico, amante della pace, che rispettasse la fede di tutti i popoli. Ma invece di ascoltare ciò che il movimento di protesta aveva da offrire, Netanyahu ha scelto di screditarlo, di dipingerlo come traditore, di incitare contro di esso, di approfondire l’odio tra i suoi fattori. Eppure coglieva ogni occasione per dichiarare quanto fosse potente Israele, quanto fosse determinato e, soprattutto, quanto fosse ben preparato ad affrontare qualsiasi minaccia. Ditelo ai genitori impazziti dal dolore, al bambino gettato sul ciglio della strada. Ditelo agli ostaggi. Dillo alle persone che ti hanno votato. Ditelo alle 80 brecce nella recinzione di confine più avanzata del mondo.

Ma non fatevi ingannare, e non fatevi confondere: con tutta la furia contro Netanyahu, il suo popolo e le sue politiche, l’orrore di questi ultimi giorni non è stato causato da Israele. E’ stato effettuato da Hamas. L’occupazione è un crimine, ma sparare a centinaia di civili – bambini e genitori, anziani e malati a sangue freddo – è un crimine peggiore. Anche nella gerarchia del male c’è una “classifica”. C’è una scala di gravità che il buon senso e gli istinti naturali possono identificare. E quando vedi i campi di sterminio del sito del festival musicale, quando vedi i terroristi di Hamas in motocicletta che inseguono i giovani festaioli, alcuni dei quali stanno ancora ballando senza rendersi conto di cosa sta succedendo…

Non so se gli agenti di Hamas debbano essere chiamati “animali”, ma senza dubbio hanno perso la loro umanità.

Ci muoviamo in queste notti e in questi giorni come sonnambuli. Cercando di resistere alla tentazione di guardare le orribili clip e ascoltare le voci. Sentire la paura insinuarsi tra coloro che, per la prima volta in 50 anni – dalla guerra dello Yom Kippur – stanno sperimentando la terrificante prospettiva della sconfitta. Chi saremo quando risorgeremo dalle ceneri e rientreremo nelle nostre vite? Quando sentiamo visceralmente il dolore delle parole dello scrittore Haim Gouri, scritte durante la guerra arabo-israeliana del 1948, “Quanto sono numerosi quelli che non sono più con noi”. Chi saremo e che tipo di esseri umani saremo dopo aver visto quello che abbiamo visto? Da dove cominceremo dopo la distruzione e la perdita di tante cose in cui credevamo e di cui ci fidavamo? Prego che ci siano palestinesi in Cisgiordania che, nonostante il loro odio per Israele – il loro occupante – si distinguano da ciò che hanno fatto i loro compatrioti. Se posso azzardare un’ipotesi: Israele dopo la guerra sarà molto più di destra, militante e razzista. La guerra che gli è stata imposta avrà cementato gli stereotipi e i pregiudizi più estremi e odiosi che inquadrano – e continueranno a inquadrare in modo ancora più robusto – l’identità israeliana. E quell’identità d’ora in poi incarnerà anche il trauma dell’ottobre 2023, così come la polarizzazione, la frattura interna. E’ possibile che ciò che è stato perso – o sospeso a tempo indeterminato – il 7 ottobre sia stata la minuscola possibilità di un vero dialogo, di una vera accettazione da parte di ogni nazione dell’esistenza dell’altra? E cosa dicono ora coloro che brandivano l’assurda nozione di uno “stato binazionale”? Israele e Palestina, due nazioni distorte e corrotte da guerre senza fine, non possono nemmeno essere cugine l’una dell’altra – qualcuno crede ancora che possano essere gemelle siamesi? Dovranno passare molti anni senza guerra prima che l’accettazione e la guarigione possano essere prese in considerazione. Nel frattempo, possiamo solo immaginare l’entità della paura e dell’odio che ora saliranno in superficie. Spero, prego, che ci siano palestinesi in Cisgiordania che, nonostante il loro odio per Israele – il loro occupante – si distinguano, sia con le azioni che con le parole, da ciò che hanno fatto i loro compatrioti. Come israeliano, non ho il diritto di predicare loro o di dire loro cosa fare. Ma come essere umano, ho il diritto – e l’obbligo – di esigere da loro una condotta umana e morale.

Verso la fine del mese scorso, i leader di Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita hanno parlato con entusiasmo di un accordo di pace tra Israele e i sauditi, che si baserebbe sugli accordi di normalizzazione di Israele con il Marocco e gli Emirati Arabi Uniti. I palestinesi sono a malapena presenti in questi accordi. Netanyahu, arrogante e sicuro di sé, è riuscito – nelle sue parole – a recidere il legame tra il problema palestinese e le relazioni di Israele con gli Stati arabi. L’accordo israelo-saudita non è estraneo agli eventi del “sabato nero” tra Gaza e Israele. La pace che avrebbe creato è una pace dei ricchi. E’ un tentativo di saltare il cuore del conflitto.

Questi ultimi giorni hanno dimostrato che è impossibile iniziare a risolvere la tragedia mediorientale senza offrire una soluzione che allevi le sofferenze dei palestinesi. Siamo capaci di scrollarci di dosso le formule ormai logore e capire che ciò che è accaduto qui è troppo immenso e troppo terribile per essere visto attraverso paradigmi stantii? Anche la condotta di Israele e i suoi crimini nei territori occupati per 56 anni non possono giustificare o ammorbidire ciò che è stato messo a nudo: la profondità dell’odio verso Israele, la dolorosa consapevolezza che noi israeliani dovremo sempre vivere qui in una maggiore allerta e in una costante preparazione alla guerra. In uno sforzo incessante per essere sia Atene che Sparta allo stesso tempo. E un dubbio fondamentale che potremmo mai essere in grado di condurre una vita normale, libera, libera da minacce e ansie. Una vita stabile e sicura. Una vita che è casa.

 

Purtroppo forse Israele era “casa” per gli israeliani, un pò meno per i palestinesi, come dimostra il muro che ho visto con i miei occhi nel 2019.

forse l’unica possibilità per una pace duratura in Medio Oriente è, come dice Omer  Mei Wellber su Repubblica del 19 maggio 2024  “un futuro senza Hamas e senza Netanyahu”.

Leggi in merito: I tragici errori di Israele, per amore di Israele o il punto di vista di Etgar Keret sotto.

Il professor emerito Daniel Bar- Tal dell’ università di Tel Aviv nel suo lungo libro “La trappola dei conflitti intrattabili” (2024) , spiega ancora meglio quanto esposto da Keret e dice che: “le forze che hanno portato Israele ad espandere le colonie ebraiche in Cisgiordania, fuori dai conflitti internazionalmente riconosciuti dello Stato. Spiega come la psicologia dell’occupazione e le idee che la sottendono abbiano corrotto la società ebraica israeliana fino a deviare il suo sviluppo democratico con l’ascesa di un regime autoritario improntato al nazionalismo estremista e al fanatismo religioso che sono stati tra le cause della guerra di Gaza…”.

…dove avvengono episodi indicibili come questo : Il video mostra gli operatori umanitari uccisi a Gaza sotto il fuoco di sbarramento, con le luci dell’ambulanza accese

L’ONU ha detto che Israele ha ucciso i lavoratori. Il video sembra contraddire la versione israeliana degli eventi, che ha affermato che i veicoli stavano “avanzando in modo sospetto” senza fari o segnali di emergenza.

Mentre : “Dopo diciotto mesi, vivono letteralmente in inferno”: in Israele la questione degli ostaggi, un lento veleno nella società. In un paese ferito, le storie degli ostaggi liberati fanno rivivere giorno dopo giorno le ferite e la rabbia, persino l’odio, contribuendo a spiegare perché non stia emergendo un vero dibattito sulla proporzionalità della risposta israeliana a Gaza.

E Benjamin Netanyahu, in totale impunità; dopo aver rotto il cessate il fuoco il 18 marzo [2025], … si sta ora lanciando in una strategia di pulizia etnica a Gaza mascherata da “piano migratorio volontario”.

Ovviamente sono d’accordo con  Grossman quando dice : “Ai bambini di Gaza serve speranza nel futuro. Ridargliela è nostro dovere”

Lo scrittore israeliano: “Davanti a tanta sofferenza il fatto che questa crisi sia stata iniziata da Hamas il 7 ottobre è irrilevante”.

Ricordo – come già detto all’inizio-  che suo figlio Uri, di 20 anni, militare di leva nel 2006, è stato ucciso da un missile anticarro durante un’operazione delle forze di difesa israeliane nel sud del Libano.

Ehud Barak, sul Corriere del 17 aprile 2025, centra il problema : a Gaza ormai si tratta di una “guerra personale”.

La rivolta anti Bibi dei riservisti «A Gaza una guerra personale»

Il premier li irride: pensionati

GERUSALEMME

Li chiama «pensionati», eppure sono tra i pochi soldati israeliani a non poter indossare le insegne in pubblico tanto clandestine e segrete sono le operazioni della Sayeret Matkal . Non hanno bisogno di riconoscersi tra di loro quando c’è da firmare una lettera in sostegno di quello in cui credono, in difesa dello Stato per cui hanno combattuto e che Benjamin Netanyahu — avvertono — sta cercando di sovvertire.

Almeno 1.500 veterani delle forze speciali — anche dell’unità Shaldag, paragonabile ai Seals americani — hanno firmato una lettera per chiedere la fine della guerra contro Hamas a Gaza perché — sostengono — non ha più l’obiettivo di riportare a casa gli ostaggi: ancora 59 sono tenuti dai terroristi, solo 22 sarebbero ancora in vita. «Le battaglie proseguono per interessi personali e politici».

Tra chi ha messo il nome e il cognome, qualcuno solo le iniziali per ragioni di sicurezza, si va indietro nelle generazioni fino a Ehud Barak, il soldato più decorato nella Storia d’Israele, che di Bibi è stato comandante proprio nella Sayeret Matkal, fino a diventarne l’avversario politico da leader laburista e in questi mesi di proteste uno dei critici più lucidi. Tanti dei «pensionati» in realtà sono ancora in servizio attivo, almeno il 16 per cento tra le squadre di élite. Così spiegano di non promuovere la diserzione, confermano di rispettare la chiamata dello stato maggiore. Ma sottoscrivono i passaggi del documento pubblicato una settimana fa dai piloti di jet riservisti: «L’offensiva ormai non contribuisce più ai suoi obiettivi dichiarati, porterà alla morte dei rapiti, dei militari e di civili innocenti»…

L’estrema destra prova a ridurre la portata della ribellione nelle forze armate e nei servizi segreti (anche gli ex capi del Mossad si uniscono all’opposizione), come già aveva fatto quando gli ufficiali della riserva avevano partecipato alle manifestazioni del gennaio 2023 contro il piano giustizia antidemocratico del governo, cortei durati dieci mesi fino ai massacri del 7 ottobre, quando 1.200 israeliani furono uccisi dai paramilitari di Hamas…

Il 10 giugno 2025, il Financial times scrive : nelle ultime settimane qualcosa è cambiato.

I principali canali mediatici israeliani stanno mostrando, anche se in brevi clip, il tributo di vite umane a Gaza. Alcuni politici si chiedono se Israele stia ancora combattendo una guerra giusta. E a margine delle manifestazioni degli ostaggi, gli attivisti contro la guerra vegliano per i morti della Palestina. Il loro numero è cresciuto da una manciata a centinaia, e sabato hanno marciato con candele e immagini di bambini morti in una processione silenziosa..

Sotto : un post di Haaretz contro la guerra a Gaza che in sintesi dice “come si fa a vendere dei dolci che incitano alla distruzione a Gaza quando i bambini palestinesi non hanno neanche un biscotto?”.

Ma lo scrittore israeliano Etgar Keret , il 22 luglio 2025, sul Corriere della Sera ,denuncia «l’abisso morale» in cui è precipitato il suo Paese:

«Ci sono giorni in cui la speranza sincera che gli ostaggi ritornino in fretta ci sostiene, altri meno. Ci sono giorni in cui i soldati muoiono, altri no. Ci sono giorni in cui sembra che il governo stia per cadere, altri in cui sembra che continuerà a vessarci per sempre. Ma una cosa rimane costante: ogni giorno negli ultimi quattro mesi è morto a Gaza un numero a due o tre cifre di palestinesi: nei giorni per noi israeliani più allegri, in quelli per noi più tristi, mentre piangevamo per un soldato morto e mentre ridevamo per un programma tv, mentre partivamo per la Grecia e mentre rimanevamo bloccati all’aeroporto senza poter rientrare a causa della guerra, quando arrivava la cartolina per l’arruolamento e quando ci siamo beccati l’influenza. Ognuno di quei giorni, a meno di due ore di distanza da casa, bambini, uomini e donne morivano, e la loro morte viene definita un “danno collaterale”».

«Ogni notte, mentre chiudiamo gli occhi, poco lontano persone che non conoscevamo smettono di respirare. Intere famiglie. (…) Questa morte non smuove montagne, non riceve l’attenzione dei notiziari in Israele, non è presente, quasi non è riportata, ma è continua, arbitraria, devastante e priva di scopo. La massa di cadaveri di gazawi che continua a crescere scandisce, come un metronomo, il tempo in esaurimento degli ostaggi, i futuri annunci di soldati israeliani caduti, ma soprattutto sta là a rammentarci in quale abisso morale siamo caduti. Un abisso in cui la morte di decine, centinaia di esseri umani è diventata routine».

Sotto : il dolore di una donna per l’uccisione di una persona cara al punto di distribuzione di Al Tina, nel sud della Striscia di Gaza (Afp)

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