Sopra: il Peres Center for Peace che si occupa anche di high- tech e che ho visitato nel 2029. In fondo, dopo l’articolo di Feltri, si parla di tecnologia
I tragici errori di Israele, per amore di Israele
Redatto il 22 settembre, aggiornato il 24 settembre 2024
di Mattia Feltri
Se si arriva all’abominio di chiamare nazista la democrazia israeliana e genocidio quello di Gaza, noi non dobbiamo rifiutarci di vedere che a Gaza ci sono stati crimini di guerra e in Libano atti di terrorismo. Per amore di Israele e della democrazia liberale. La lezione di Camus
Huffington Post, 22 Settembre 2024
Bernard-Henri Lévy – in un’intervista a Francesca Paci per la Stampa – dice il preciso e il trascurato: se Israele perde la guerra, sarà peggio dell’Olocausto. Viene il capogiro a pensarci: al 7 ottobre che sarebbe, dal fiume al mare.
Lévy è in Italia a presentare il suo libro titolato Solitudine di Israele, per coincidenza il titolo di Huffpost subito dopo il pogrom da cui s’è avviata la guerra e ispirato dall’ipotesi, allora era tale e subito fu tesi e pratica, di una risposta armata dentro Gaza, col risultato della carneficina e sterile, poiché Hamas non è soltanto un’organizzazione ma è un sentimento più ampio, è vastissima zona grigia in cui si confonde il popolo di Gaza, non soltanto accorso in buon numero a partecipare agli assassinii, agli sgozzamenti, alle mutilazioni, agli infanticidi, ai sequestri della mattina di quasi un anno fa, quando tutto cominciò, ma anche in gran parte giubilante al sangue versato, e in cui si confonde persino l’Onu, con i volenterosi collaborazionisti dell’Unrwa su cui non si è mai fatta chiarezza, intendo ampia, politica, al di là delle responsabilità personali che sono risvolti buoni per una lettera di licenziamento e forse un processo a babbo morto.
Quella roba lì – Hamas – non si cancella con le bombe né con le tecnologie, quella roba nata dichiaratamente per cancellare Israele dalla cartina geografica non si elimina radendo al suolo, facendo fuori i bambini nel mucchio, restituendo morte a morte. Se Israele lo avesse fatto, e lo ha fatto, ne avrebbe ricavato solo odio generale e isolamento.
L’ho scritto allora e amaramente lo rimarco oggi, poiché da anni studio l’antisemitismo contemporaneo ed era in progressiva crescita – direi progressiva liberazione – da molto prima del 7 ottobre.
Poi ha avuto il suo alibi. Gli è stato fornito e l’antisemitismo è esploso, ha trovato autolegittimazione, il momento giusto per sconsacrare la Shoah di cui l’Europa in particolare era in attesa da sempre, e ne aveva preparato il terreno attribuendo lo sterminio degli ebrei a uno sprofondo demoniaco col volto di Adolf Hitler, anziché a una vasta collaborazione di antisemiti in un continente allegramente antisemita da secoli.
Eravamo antisemiti e stiamo tornando a esserlo, e se volete illuminati dettagli leggete qua la dolorosa intervista di Nicola Mirenzi a Pierluigi Battista in occasione e dell’uscita del suo ultimo libro, La nuova caccia all’ebreo.
C’è qualcosa che non va in tutti noi. Leggo nelle cronache, con tutte le attenuanti del caso, un’equiparazione fra Israele e Hamas, fra Israele e Hezbollah, per la semplice ragione che si fronteggiano, nel senso etimologico del verbo.
Un’equiparazione magari pigra e frettolosa, fra belligeranti, a cui talvolta non sfuggiamo nemmeno noi, e ogni volta dovremmo prendere le dovute distanze: non c’è equiparazione fra una democrazia, dotata di stato di diritto, istituzioni di garanzia, rappresentanza, libertà politica, religiosa, sessuale – e il tradimento che se ne fa ogni giorno, come spesso succede nelle democrazie, specie se sono in guerra, perché l’uomo non è mai all’altezza delle sue aspirazioni – e gruppi terroristici che in nome di Allah, di cui si fa bestemmia, perseguono non soltanto l’incenerimento di Israele, ma della democrazia e di tutto quanto rappresenta e offre.
Nonostante Hiroshima, non c’è mai stata equiparazione fra Alleati e nazisti. Nonostante Guantanamo, mai equiparazione fra Stati Uniti e Al Qaeda. Ricordarlo, significa ricordare chi siamo e chi vogliamo essere, che mondo pensiamo per il domani, se della democrazia o della sharia.
Ma credo di avere capito il senso dell’articolo di Carlo Renda, una lettera a Battista in seguito al suo colloquio con Mirenzi. Perché raccontare ogni giorno è difficile, e se si casca nell’equiparazione fra Israele e Hamas o Hezbollah, si casca anche nell’autocensura.
E noi fin lì non avevamo messo in pagina il nostro sbigottimento per la spettacolare demolizione del gruppo dirigente di Hezbollah con la manomissione esplosiva di cercapersone e walkie-talkie, salutata come il ritorno della geniale intelligence israeliana, e mai anche come un’azione brutale (uso l’aggettivo scelto ieri qui da un magnifico Michele Valensise) che ha coinvolto centinaia di persone, pure bambini, che nulla c’entravano.
Ci siamo autocensurati per il terrore di essere sommariamente iscritti al novero degli antisemiti, o degli antisionisti, sempre che ci sia una differenza, o dei nemici del popolo d’Israele. Invece un buon amico deve dirti dove stai sbagliando, al prezzo del rischio dell’incomprensione.
Gaza e tutta la conduzione della guerra a quasi un anno dall’inizio è stato un errore, con la conseguenza iscritta nel libro di Lévy: l’isolamento. Un errore e più di un errore se si arriva al repellente di chiamare nazista la democrazia israeliana e genocidio il massacro di Gaza. E del repellente si è complici se ci si rifiuta di ipotizzare che a Gaza siano stati commessi crimini di guerra e in Libano atti di terrorismo.
Lo dico per amore di Israele e della democrazia liberale che deve provare a sopravvivere e prosperare senza i metodi delle canaglie, e purtroppo lo ha fatto spesso, da Dresda a Hiroshima a Guantanamo a Gaza. Bisognerebbe ripartire da Albert Camus, per il quale nessuna causa è tanto alta da consentirci l’assassinio degli innocenti, e nessuna è tanto alta da permetterci di chiudere gli occhi sugli errori di chi la persegue.
Leggi anche : David Grossman: Israele è un incubo. Sui rischi economici del protrarsi di questa guerra leggi sotto.

N.B.:
TECH IN ISRAELE
Secondo dati della Israel Innovation Authority, da quando è iniziata la guerra (il 7 ottobre) le aziende israeliane del mondo tech hanno raccolto $9bn di finanziamenti
Questo pone Israele al #3 al mondo, dopo Silicon Valley e New York
E’ un dato che da l’idea di quanto Israele sia una realtà affermata nel mondo del tech
Sempre secondo la IIA il protrarsi della guerra potrebbe mettere a rischio la raccolta dei capitali per un settore che fa leva principalmente su denaro proveniente dall’estero
Il settore tech pesa per il 16% degli occupati in Israele
Fonte : Inglobando 24 settembre 2024



