Più di 10 anni fa ci domandavamo se il tonno rosso fosse protetto e la risposta purtroppo è questa:
La tragedia ecologica del tonno rosso, un affare globale tra lusso e profitto che ha portato la specie sull’orlo del baratro, con un fragile recupero.
Un tempo simbolo di abbondanza e nutrimento per le civiltà rivierasche, il tonno è diventato il fulcro di un commercio insostenibile
Il Mediterraneo, culla millenaria di civiltà e biodiversità, è oggi teatro di una rivoluzione industriale che sta trasformando uno dei suoi simboli più antichi: il tonno rosso. Quello che un tempo era un pesce mitico, nutrimento delle comunità costiere, oggi è diventato un prodotto di lusso, un “oro rosso” conteso dai mercati globali e allevato in enormi gabbie galleggianti che stanno progressivamente sconvolgendo gli equilibri marini.
Un sistema economico spietato
Con un’inchiesta durata mesi realizzata dai giornalisti di Le Temps, importante quotidiano svizzero online in lingua francese, e riportata su Internazionale, i reporter hanno calcolato la totale insostenibilità del sistema, a partire da un dato clamoroso. Dietro ogni chilo di tonno rosso esportato si nasconde un meccanismo economico che potrebbe essere definito predatorio.
Basti pensare che, per produrre una tonnellata di tonno ingrassato, vengono sacrificate circa 15 tonnellate di pesce azzurro – sardine, acciughe, sgombri – in un rapporto di conversione che supera di gran lunga qualsiasi logica di sostenibilità. Nel 2024, dal Mediterraneo sono state esportate tra le 45 e le 50mila tonnellate di tonno, consumando l’equivalente di oltre un terzo dell’intero stock di pesce piccolo pescato nell’area.
Malta: l’epicentro del business
La piccola isola mediterranea è diventata l’hub mondiale dell’allevamento intensivo di tonno. Con sole 26 gabbie di ingrasso, Malta gestisce un’industria che vale centinaia di milioni di euro. Ogni giorno, cinquecento tonnellate di pesce congelato partono dal porto di Marsaxlokk per nutrire questi “allevamenti marini”, in un’operazione che ricorda più una fabbrica che un ecosistema naturale.
La catena del lusso globale
Il viaggio del tonno è, insomma, un racconto di disuguaglianze globali. Catturato nel Mediterraneo, ingrassato artificialmente, esportato in Giappone, Corea e Stati Uniti, dove può raggiungere prezzi da capogiro. Sembra che possa arrivare a costare fino novemila euro al chilo all’asta di Tokyo. Una follia per un pesce che compie migliaia di chilometri, consuma risorse e genera un’impronta carbonica devastante, per soddisfare un mercato di nicchia.
Una storia che ha dell’incomprensibile, soprattutto per gli scienziati e i biologi che sollevano allarmi sempre più pressanti: i tonni rossi, infatti, sono creature straordinarie e nell’ecosistema marino svolgono un ruolo cruciale di ricambio nutritivo e ossigenazione. L’attuale sistema di allevamento, però, che li cattura prima che raggiungano la maturità, interrompono cicli biologici millenari.
Emanuela Fanelli, biologa dell’università delle Marche ed esperta di ecologia marina, intervistata dai giornalisti, parla di “acquacoltura di predatori apicali” come un modello totalmente insostenibile. Mentre Marcel Kroese, rinomato biologo sudafricano e consulente per le politiche marittime per governi e ong, paragona questo sistema a “un’aberrazione come allevare leoni per la carne, sacrificando migliaia di gazzelle”.
Un problema di giustizia globale
L’intera filiera rappresenta un esempio di sfruttamento coloniale delle risorse marine. La richiesta di sushi e sashimi nei mercati di lusso, come anche il cacao in Africa, ha creato un sistema insostenibile che impoverisce le comunità locali e i pescatori tradizionali che vengono progressivamente espropriati dei loro mari, mentre circa sei aziende, riconducibili a una decina di famiglie, gestiscono un business miliardario.
È necessario un cambiamento, l’industria del tonno rosso si trova a un bivio: gli esperti avvertono che, continuare su questa strada significa condannare un intero ecosistema marino al collasso. Un racconto questo, che va oltre il pesce, ma diventa la triste metafora di un sistema economico globale che sempre di più si allontana dalla sostenibilità ambientale e sociale.
Sotto : tonno al mercato del pesce a Tokyo

Il tonno rosso è stato sfruttato per secoli. Negli ultimi 100 anni in modo sempre più intensivo, tanto da causare non solo un calo demografico, ma addirittura l’erosione genetica del prezioso pesce del Mar Mediterraneo. Cosa significa? La perdita di diversità genetica all’interno delle popolazioni di tonno rosso, che può avere importanti conseguenze. Una su tutte una ridotta capacità di adattamento ai cambiamenti climatici ed ambientali, come il riscaldamento degli oceani o nuove patologie. Insomma un impoverimento genetico espone la specie a maggiori fattori di rischio, fino all’estinzione. Queste due importanti scoperte, sono il frutto di una collaborazione internazionale, a cui ha preso parte l’Università di Bologna, pubblicando i risultati sulla rivista scientifica PNAS. Una collaborazione a cui hanno preso parte biologi marini, genetisti e archeozoologi, scienziati di differenti discipline e di differenti epoche storiche. Chi studia il presente e chi studia il passato…
è … l’esempio evidente di come l’intervento umano abbia, dapprima portato la specie sull’orlo del baratro, per poi fare una brusca marcia indietro, fino a una sorprendente ripresa e stabilizzazione.
Negli ultimi decenni in particolare, la pesca del tonno rosso nel Mediterraneo e nell’Atlantico orientale è stata caratterizzata da un’intensità sempre più insostenibile. Spinta da una domanda globale crescente, le flotte di pesca si sono ingrandite e specializzate, utilizzando tecnologie sempre più efficienti. Tra gli anni ’90 e i primi anni 2000, le stime delle catture superavano di gran lunga le quote raccomandate dagli organismi internazionali di monitoraggio della specie, portando lo stock a livelli drammaticamente bassi. Sganciato l’allarme di pericolo dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) – la più grande e antica organizzazione globale dedicata alla conservazione dell’ambiente – si è temuto anche per la sopravvivenza della specie.
Fortunatamente, nel primo decennio del nuovo millennio, sono stati introdotti piani di gestione pluriennali estremamente rigorosi, per evitare l’esaurimento del tonno rosso, e quindi la suddivisione di quote annuali stabilite per la pesca, con un’ampia lotta all’illegalità, divieto di pesca stagionale, protezione degli esemplari giovani per consentire la riproduzione. A partire dal 2015, l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura ha declassato lo status del tonno rosso da “in pericolo” a “quasi minacciato”. E le quote annuali sono risalite: per l’Italia, ad esempio, le quote sono significativamente aumentate dalle oltre 4.300 tonnellate del 2019 alle oltre 5.200 nel 2023. Insomma una storia positiva, di come l’impegno umano possa risolvere i problemi da lui stesso causati. Una vicenda analoga a quanto sta accadendo con le emissioni inquinanti e il cambiamento climatico.
Ma torniamo allo studio dell’Università di Bologna, in cui i ricercatori hanno condotto una serie di analisi genomiche, tracciando un quadro che cambia le conoscenze sull’impatto che lo sfruttamento ha avuto sul tonno rosso e sugli ecosistemi marini. L’indagine è stata condotta su campioni moderni ed antichi, per un totale di 90 campioni: 49 ottenuti tra il 2013 e il 2020 e 41 risalenti ad un periodo storico fino a 5.000 anni fa. Tutti provenienti da diverse aree del Mediterraneo e dell’Atlantico.
Considerando che la pesca è iniziata a partire dalla seconda metà del Novecento, divenendo veramente intensiva dagli anni Ottanta, secondo lo studio, il tonno rosso ha iniziato a subire il declino demografico e l’erosione genetica, all’incirca intorno al 1800, quando per millenni è rimasto sostanzialmente invariato. “La nostra ricerca dimostra come la pressione antropica legata ad un eccessivo sfruttamento storico del tonno rosso abbia inciso in modo profondo non solo sull’abbondanza del tonno rosso, ma anche sulla sua struttura genetica, che fino al XIX secolo era rimasta sorprendentemente stabile,” ha dichiarato Adam Andrews, autore principale dello studio…
“La ricostruzione delle dinamiche genetiche antiche e storiche ci permette di quantificare l’impatto umano e stabilire con maggiore precisione i margini di recupero. Il DNA antico è una finestra sul passato che ci aiuta a guardare al futuro con maggiore consapevolezza”, ha commentato Elisabetta Cilli, esperta di paleogenomica ed autore senior dell’articolo.
Conclusione: il consumo di pesce fa bene ma il tonno è – dopo lo spada – la specie più inquinata in assoluto (leggi a pagina 16 di questo importante studio).
Questa informazione non è nuova: tonno in scatola : troppo mercurio. In uno studio pubblicato martedì, Bloom mette in guardia sui livelli di mercurio presenti nel tonno in scatola consumato in Francia e in Europa. Uno “scandalo sanitario”, secondo la ong che assicura che il 100% dei prodotti controllati contengono la sostanza pericolosa. A dosi elevate, il mercurio è tossico per il sistema nervoso centrale umano. L’ argomento era già stato trattato qui.
Il tonno rosso, anche per le ragioni sopra enunciate – inquinamento e possibile estinzione – sarebbe quindi da consumare “con moderazione”.
Sotto : spade per tagliare il pesce al mercato di Tokyo.



