Redatto il 7 luglio, aggiornato il 12 luglio 2025
Da sempre, l’Etiopia e lo Yemen si contendono le origini storiche della bevanda forse più diffusa al mondo; per il secondo, la storia del “succo nero”, come viene chiamato in antico, è profondamente intrecciata con le origini della bevanda stessa.
Se il caffè è stato scoperto in Etiopia (“il caffè venne importato negl’Yemen dei paesi Galla e da Harrar, ove pur è detto bun come nel paese di Kaffa, quando alla caduta dell’impero imiarita (*), gli Habase (Abissini) conquistarono gl’Yemen, un secolo avanti l’Egira” , ROSSI, El Yemen, p. 25) , è nello Yemen che la sua coltivazione e il suo consumo come bevanda prendono piede, soprattutto tra i monaci sufi (seguaci del sufismo, una corrente mistica dell’Islam), che lo utilizzano per rimanere svegli durante le loro lunghe sessioni di preghiera.
Inizialmente, il caffè viene consumato sotto forma di infusi e decotti, come il gheischer (caffè gesha, etiope) assaggiato da Giovanni Battista Rossi quando percorreva il paese a fine Ottocento (ROSSI, El Yemen, p. 23).
(*) regno neo-sabeo sud-yemenita attivo tra il 110 a.C. e il 520, la cui popolazione era pagana, cristiana ma anche di religione ebraica, il che spiega in parte la storia di Giuseppe esploratore.
Il porto di Moka, la sua ascesa, il suo declino
La popolarità del consumo di caffè in Yemen inizia nel XV secolo e nel XVI-XVII secolo, lo Yemen e il Mar Rosso diventano teatro di conflitti fra Egitto, Impero ottomano e potenze europee per il controllo del mercato della Coffea arabica (nome datogli dal grande botanista Linneo) ; infatti, sino alla fine del Seicento l’approvvigionamento mondiale di caffè proviene quasi interamente dallo Yemen. La città portuale di Moka sarà a lungo famosa come il principale centro esportatore di caffè dell’Arabia; il termine “mocha” e le sue varianti entrano a far parte delle lingue europee come sinonimi del caffè di alta qualità della Coffea arabica, tuttora coltivata sugli altopiani dello Yemen e ancor oggi la più pregiata qualità Arabica al mondo.
I commercianti yemeniti, in particolare quelli del porto di Moka, controllano il commercio del caffè, mantenendo un quasi-monopolio per molto tempo e cercando di mantenere il controllo anche sulla coltivazione e l’esportazione della pianta, alla fine non riuscendovi dato che sia la bacca sia le piante prendono le vie del mondo più o meno legalmente, in tutti i modi possibili.
Le ditte commerciali occidentali sono gestite da Inglesi, Olandesi (1614-1738) e, per un breve periodo, da Danesi e Francesi. Fra Otto e Novecento i conflitti tra le potenze europee e l’Impero Ottomano, e quelli tra quest’ultimo e gli imam dello Yemen contribuiscono al declino del porto, accelerato dallo sviluppo delle piantagioni di caffè sull’isola di Giava (oggi in Indonesia) da parte degli Olandesi e dall’ascesa dell’industria del caffè sudamericana (inizio del XVIII secolo).
Gli Inglesi trasferiscono la loro base operativa nella zona da Moka ad Aden nel 1839, seguiti dalle altre nazioni commerciali europee, e questo segna il destino del porto. Oggi, la maggior parte degli edifici pubblici, delle residenze e delle moschee, un tempo pregevoli opere, sono in rovina. Moka inoltre sorge su un tratto di costa sabbioso e arido, e l’azione del vento che trasporta continuamente sabbia nonché l’insufficiente approvvigionamento idrico hanno ulteriormente contribuito al suo declino. Il porto di Moka, oggi, è in grado di attraccare solo piccole imbarcazioni, ben lontane dai grandi galeoni o dalle navi commerciali d’un tempo.
Tra i commercianti che trattano il caffè c’è pure Giuseppe Caprotti, omonimo del mio trisnonno paterno, Giuseppe, detto Beppo, e suo contemporaneo, esploratore e commerciante, a lungo unico residente fisso occidentale nello Yemen negli ultimi decenni dell’Ottocento.
Dalla sua corrispondenza sappiamo che tratta grosse quantità di “Caffè Moka”, chiamandolo col suo nome antico. Esporta il caffè via nave, avvolto in foglie di palma per mantenerlo fresco. Dalle lettere conservate nell’archivio Caprotti ad Albiate non si evince se esporti ovunque, ma certamente ha quale meta l’Italia dove ha quale cliente il mio trisnonno [Giuseppe, detto Beppo], dato che a volte nelle lettere si dice di avergli riservato una certa quantità sul totale disponibile (vedi ad es. la lettera di Carlo Caprotti, fratello e procuratore generale di Giuseppe, a Giuseppe Caprotti, Magenta, 30 maggio 1889).
Le leggende sulla scoperta del caffè
Molte le leggende che circondano il chicco “magico”, oltre a quanto già scritto alinizio dell’articolo..
La più nota è contesa fra i due paesi del caffè, ed è quella di un pastore di nome Kaldi, etiope per gli uni, yemenita per gli altri, il quale nota che di notte le sue capre non riposano, anzi, saltellano allegre senz’ombra di sonno. Ricercando le cause di una simile stranezza, Kaldi si reca da un saggio eremita portando con sé i rami e i frutti delle piante di cui i suoi animali si cibano, e questi gli spiega quali proprietà abbia quella pianta, di cui lui pure fa uso.
Un saggio eremita è protagonista anche della nascita di Moka come città del caffè, dove agli inizi del XV secolo vive in una povera capanna, l’unica che vi sia sulla spiaggia deserta, lo sceicco Shādhilī, che accoglie chiunque si presenti alla sua porta con una bevanda squisita e rinvigorente. La fama si sparge, il concorso di gente diventa un flusso, poi un affare; attorno alla capannuccia sorge un villaggio, dal villaggio una città, ben presto formicolante di negozianti e speculatori. Al di là della storia, lo sceicco Shādhilī è veramente esistito ed è il protettore di Moka, dove Giovanni Battista Rossi vede la sua moschea sepolcrale (ROSSI, El Yemen, p. 26).
Non poteva mancare anche il profeta Maometto malato, cui Allah manda l’arcangelo Gabriele con una scura bevanda che lo rimette in piedi; e fra le moltissime storie che ancora si narrano, quella più assurda di tante ma di tante più particolare parla di un enorme incendio che distrugge un vasto territorio dove sorgono piante spontanee di caffè, e l’aroma che si sprigiona da quelle fiamme fa conoscere qualcosa di delizioso e forte che avrà fortuna ai quattro angoli del mondo.
A Istambul il caffè arriva nel 1554 e, a Venezia, ne scrive Prospero Albini a Giovanni Morosini nel 1591. Ma viene importato, per la prima volta, solo nel 1615.
Da Venezia passò a Genova donde oi venne importato , non è ben noto se prima in Francia o in Inghilterra. Sta di fatto che, mentre in Francia nel 1644 era così poco conosciuto che alla corte di Luigi XIV una tazza di caffè era una rarità, a Londra nel 1652 v’era già un pubblico caffè…
Fonti:
Albiate (MB), Villa San Valerio, Archivi di Villa San Valerio, Archivio della Manifattura Caprotti, Giuseppe Caprotti esploratore.
Bibliografia:
G.B. ROSSI, “El Yemen, Arabia Felix o Regio Aromatorum. Appunti di geografia, storia, usi e costumi (…)”, Torino 1927.
History of Yemen. Written and fact-checked by R. Burrowes, M.W. Wenner, The Editors of Encyclopaedia Britannica & Others, Last Updated: Jul 1, 2025
Mocha, Yemen. Written and fact-checked by The Editors of Encyclopædia Britannica, July 20, 1998; most recently revised and updated by K. Pletcher.
I. SANZÒ, “1897 – 1926. Oltre 100 anni di relazioni tra Italia e Yemen”, in “Bilqis. La Regina di Saba”, pubblicazione a cura dell’Ambasciata dello Yemen a Roma, n.2, giugno 2012, pp. 24-26.
G. CAPROTTI, “Le ossa dei Caprotti”: Giuseppe Caprotti esploratore: il caffè e la Brianza. Spunti dal libro.
