L’avvicinamento al bio si svolge in più tappe:
- Agli inizi degli anni ’90 vengono inseriti in Esselunga i prodotti bio di terzi;
- Nel 1995 vengono lanciati i prodotti “Naturama”;
- Nel 1998 vengono inseriti i prodotti del commercio equo e solidale;
- Nel 1999 vengono lanciati i prodotti “Esselunga Bio”. Alcuni sono prodotti direttamente da Esselunga;
- Nel 2001 vengono lanciati i primi prodotti con etichetta Ecolabel “Per chi ama la natura”;
- Nel 2002 vengono lanciati i prodotti equo solidali “Esselunga Bio”.
“Fin da quando avevo mosso i primi passi in azienda discutevo del bio con nostro padre, nella cucina di casa, sempre in maniera sterile.“ (p. 185) Ma le continue crisi alimentari degli anni ’90, dalla “mucca pazza” al pollo alla diossina, ci danno una bella mano nell’introdurre i prodotti biologici nell’assortimento del supermercato. “Con il lancio del bio otteniamo anche un secondo obiettivo: il più agguerrito dei nostri concorrenti, la Coop, si vanta spesso nei convegni e con la stampa delle sue politiche di sinistra, etiche, del fatto che in futuro avranno i prodotti bio a marchio privato. Così la bruciamo sul tempo, andando sugli scaffali con il biologico quando loro ancora si limitano a parlarne. (…) il bio si rivela uno strumento potentissimo in un momento molto difficile per la grande distribuzione.” (pp. 185-188).
L’introduzione del biologico, con il conseguente richiamo del marchio “Naturama” e la completa riorganizzazione del marchio privato fu davvero un’avventura, nata durante un lungo viaggio in macchina nel febbraio 1999 in cui, oltre a me che allora ero direttore commerciale, erano presenti Gaetano Puglisi, il mio direttore acquisti, il direttore dell’assicurazione qualità Claudio Arnoldi e il senior buyer del settore alimentare Alberto Bianchi. Il discorso punta, fra l’altro, su come i clienti, con i quali tutti sono in costante contatto, manifestino continuamente delle preoccupazioni su quello che mangiano. È una fase di ripresa economica, i discount sono in calo e la gente comune sta cominciando a preoccuparsi del benessere e della salute. Lancio l’idea: creiamo una linea completa di prodotti biologici a nostro marchio, comprendendo quante più famiglie merceologiche possibile e dando loro la garanzia e la credibilità di un’insegna della distribuzione che fa proprio della qualità una delle sue risorse più preziose.
Ne nasce una discussione perché, se l’idea è buona, i problemi sono innumerevoli; alla fine i due direttori si dichiarano d’accordo, ma con due premesse imprescindibili: il direttore acquisti pone come base che i prodotti bio siano prima di tutto più buoni degli altri, e poi biologici; il direttore qualità ottiene che tutti i lotti di prodotti messi in vendita passino un esame preliminare che ne verifichi l’assenza di pesticidi.
Quando si arriva alla non secondaria questione su come distinguere il biologico dagli altri prodotti a marchio, m’invento una classificazione da strategia pura:
*Private Label, marche private
Ritornati in azienda, si forma un team che pianifica il progetto di lancio, ne decide la data e soprattutto sceglie di procedere a “fari spenti”, cioè solo i diretti responsabili avrebbero avuto la visione complessiva ma ciascuno avrebbe lavorato con i singoli buyer della categoria (e i fornitori relativi) per lanciare tanti specifici prodotti.
Il dire era ottimo e ben chiaro, il fare una sfida non da poco e con un obiettivo ambizioso: lanciare da lì a 7 mesi una linea completa di oltre 100 referenze che sarebbero arrivate contemporaneamente sugli scaffali (alcune poi sarebbero state anche prodotte in proprio negli stabilimenti di Limito (MI) e Firenze).
Furono decisi le formulazioni di prodotto (ossia gli ingredienti necessari per renderlo ancora meglio del migliore già sul mercato), il packaging (ossia la confezione), il prezzo, il piano di comunicazione (la pubblicità con i pulcini che con il loro bio bio bio annunciano la nascita della nuova linea), il posizionamento scaffale (si decide di posizionare i prodotti nelle rispettive categorie di competenza, lasciandoli combattere con le marche convenzionali), il piano promozionale, con la distribuzione di piccole confezioni da assaggiare sul posto o a casa.
Funzionò, anche se con inevitabili critiche, delusioni, incidenti di percorso, polemiche. Funzionò anche perché Esselunga arricchì il suo biologico con 3 “perle” di straordinaria novità: la linea per l’infanzia (pastine, omogeneizzati, succhi), formulata con l’aiuto del Presidio Ospedaliero Macedonio Melloni di Milano e prima in assoluto del suo genere in Italia; il latte fresco biologico, che dovette affrontare l’opposizione di una potente lobby che, di fatto, aveva sempre impedito che ci fosse concorrenza; l’affiancamento al logo bio di alcuni prodotti (caffè, zucchero, banane, cacao) di quello del Commercio Equo Solidale in collaborazione con Ctm Altromercato, dicendo chiaramente ai clienti che anche nella scelta del fornitore si potevano aiutare i piccoli produttori dei paesi in via di sviluppo, garantendo loro un lavoro senza sfruttamento e un guadagno adeguato, invece di ricorrere alle grandi multinazionali.
I numeri parlano chiaro:
Il nostro impegno così innovativo attirò pure l’attenzione della moda: nel gennaio 2001 Kean Etro decise di fare la sfilata di presentazione della sua collezione di maglie totalmente biologiche tra gli scaffali dell’Esselunga di via Washington, chiamandola “Supper Market dello stile”.
