Quando entro in Esselunga si è nel pieno di quelli che sono stati chiamati gli Anni di Piombo, perché non c’era quasi giorno senza manifestazioni, “espropri proletari”, proteste e soprattutto rapine. Anche quelle della famigerata banda Vallanzasca a Milano.
Sono anni di scioperi, continui, duri, cui mio padre Bernardo si oppone con forza e decisione. In questo modo salva l’azienda dalla tempesta sindacale, anche con grandi campagne di comunicazione soprattutto contro il concetto, a tutt’oggi ben radicato in Italia, del diritto al lavoro senza però il dovere e l’impegno che al lavoro sono legati. È stato un suo grande merito, e gli va riconosciuto appieno, specie pensando in quale situazione ci si trovava ad operare.
Nel mio libro, “Le ossa dei Caprotti”, Feltrinelli, 2003, descrivo, in modo sintetico, questa fase finale: “In Toscana vivo anche l’ultima fase dello scontro fra Esselunga e sindacati, durante il quale lascerà l’azienda un migliaio di dipendenti. È lì che nel 1986 era stato condannato un delegato della CGIL, caduto in una trappola organizzata dai carabinieri con il malloppo di una tentata estorsione ai danni dell’azienda: ‘O mi date 12 milioni di lire o provoco scioperi’ era il messaggio recapitato. Quando arrivo a Firenze, alla fine del 1989, la situazione è ancora molto tesa: un giorno finisco in uno sciopero dove i dipendenti della Coop e della Superal, nostre concorrenti, cercano di provocarmi di fronte al supermercato di via di Novoli, con l’evidente intento di coinvolgermi in una rissa. I cartelli scandiscono ESSELUNGA SS e la polizia guarda senza intervenire. Un’altra volta, in viale Giannotti, scoppia uno sciopero con gli addetti che abbandonano le casse aperte, perché “è entrato Giuseppe Caprotti”, il figlio del padrone. Sono situazioni che un po’ conosco perché le avevo vissute qualche anno prima a Milano, dove alcuni sindacalisti cercavano di ricattare l’azienda e dove ero stato bloccato e aggredito fuori dagli uffici di Limito. Avevo superato i cancelli nonostante un picchetto fitto di bandiere rosse e i programmi di Radio Radicale che mi avevano preso di mira. Come se fossimo in un film, pur di entrare un dipendente aveva saltato la rete protettiva dei parcheggi interni, senza passare dall’entrata. Ne era nata una gazzarra: Bernardo quel giorno diede un premio a tutti quelli che erano riusciti a raggiungere il posto di lavoro, me compreso. Era l’epoca in cui quadri e dirigenti il sabato andavano a rimpiazzare gli scioperanti”. (CAPROTTI, Le ossa, p. 149)”.

Bernardo ha salvato l’azienda, ma non il rapporto con la maggioranza dei dipendenti, perché, purtroppo, le tensioni con i sindacati continuano almeno fino agli inizi degli anni ’90.
Quando entro in azienda cerco di abbassare la tensione con i collaboratori ed applicare quanto appreso negli Stati Uniti, passando “Dall’io al noi”: dal potere decisionale in poche mani al coinvolgimento allargato nella collaborazione fra colleghi e fra settori, implementata in ogni modo possibile.
Si pensi ai direttori dei negozi, che ricevevano solo ordine dall’alto, non avevano potere di scelta sui prodotti dei loro negozi e nemmeno conoscevano gli esatti risultati di vendita. Dai primi anni Novanta le cose cambiano:
I direttori vengono coinvolti nelle scelte che architettiamo a Milano: dal 1992 in poi iniziamo a riunirci tutti insieme – un fatto che li stupisce moltissimo – per informarli sulla rivoluzione in atto, spieghiamo loro le logiche che ci sono dietro i prodotti “non food” e la nuova impostazione e gestione degli scaffali. Sono anche spinti a fare richieste e a dare suggerimenti di persona, direttamente a me. Una rappresentanza dei direttori viene invitata alle riunioni di planogram, nelle quali diventa più facile discutere insieme di ciò che non funziona nelle varie categorie merceologiche. Possono finalmente accedere direttamente ai dati settimanali sulle vendite dei loro supermercati, che fino ad allora erano tenuti riservati e gestiti soltanto dagli ispettori. I direttori diventano così protagonisti della gestione del punto vendita, potendo partecipare alle scelte e toccare con mano i risultati dei loro sforzi.” (CAPROTTI, Le ossa, p. 148).
Il “nuovo corso” tocca anche il personale dipendente di negozi e magazzini, per il quale vengono organizzati corsi e giornate di aggiornamento. Qualche cassiera, venendo a sapere che avrebbe potuto partecipare a un corso, si è messa addirittura a piangere, quasi non credendo che qualcuno s’interessasse anche alla sua categoria, una di quelle fino ad allora invisibili all’interno dell’azienda.
Sempre in questo spirito di opera comune nacque, con l’aiuto di collaboratori dei negozi e della sede, il librino “Valori e principi”, dal 2002 costruito con ciascun dipendente, che riassume i valori guida cui s’ispira l’azienda e che tutti devono conoscere
“All’inizio degli anni 2000 coinvolgiamo tutto il personale, sia nel quartier generale che nei negozi, per aiutarci a definire i valori e i principi fondanti dell’azienda. Viene redatto un documento che vede la luce per la prima volta nel 2002 e che viene ulteriormente migliorato nel 2003. Le risorse umane vengono definite come ‘il pilastro’ su cui si basa il nostro successo e si afferma che il lavoro di squadra ‘è alla base del raggiungimento dei risultati’. Per questo motivo, ad esempio, ‘Esselunga incoraggia i propri dipendenti a operare in gruppi in cui ciascuno esprime le proprie potenzialità nell’ambito di obiettivi condivisi. I rapporti fra le persone sono chiari e impostati al massimo rispetto reciproco. Nel documento vi sono diversi tratti che anticipano quei principi di equità e sostenibilità che oggi le aziende grandi e piccole devono seguire per forza, per non essere penalizzate duramente dagli investitori, dai finanziatori e anche dai clienti. Vi si dice che Esselunga si impegna a sviluppare prodotti biologici ed ecologicamente sostenibili, anche per quanto riguarda gli imballaggi, a costruire punti vendita integrati nel territorio e a basso impatto ambientale, a rifiutare il lavoro infantile, involontario e forzato, a ridurre le emissioni inquinanti, a sostenere progetti sociali e contribuire alla tutela del patrimonio artistico.
Saranno i valori guida quelli che finiranno poi, sempre nel 2003, nel primo “Bilancio sociale” di Esselunga.
Non si tratta di principi astratti ma di linee guida che determinano il nostro comportamento. Nel 2002 vengono assunte 3500 persone, il 95 per cento a tempo indeterminato. Il sistema retributivo adottato è ai massimi livelli del settore e vengono attuate politiche di sostegno per i soggetti più deboli, con 50-60 stage l’anno per i portatori di handicap, finalizzati all’assunzione. Sempre nel 2002 vengono dedicate 200.000 ore alla formazione, con un investimento che rappresenta l’1,7 per cento del costo del personale e coinvolge 6000 collaboratori. Decidiamo poi di stabilire dei premi destinati a tutti i reparti operativi, quando nell’organizzazione rigidamente gerarchica precedente si premiavano soltanto i direttori dei supermercati. I risultati che otteniamo, però, lasciano il segno. Nel 2003 l’Istituto di ricerche di mercato CIRM di Nicola Piepoli, noto sondaggista, pioniere e decano delle ricerche di opinione e marketing, conduce un’indagine interna basata su 1711 interviste, più del 10 per cento del personale, che mostra quanto è migliorata la soddisfazione dei collaboratori nei confronti di Esselunga come datore di lavoro: in due anni, dal 2001 al 2003, la quota di coloro che si dichiarano ‘soddisfatti’ o ‘molto soddisfatti’ è salita dal 49 per cento al 72,1 per cento”. (CAPROTTI, Le ossa, pp. 199-200).

In estrema sintesi se mio padre ha salvato l’azienda negli anni ’80 io ho cercato di modernizzarne i metodi, portandola verso logiche vicine a quelle della nota catena statunitense Publix, dove i dipendenti possiedono le quote azionarie dell’azienda in cui lavorano. L’ho fatto abbassandone il turnover, che implica la maggior fidelizzazione dei collaboratori all’azienda. Ed i messaggi pubblici e privati che ricevo ancora oggi, più di vent’anni dopo che l’ho lasciata, mi indicano che avevo imboccato la strada giusta.

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Spunto dal libro: "Le ossa dei Caprotti" Tra Garibaldi, la Cia ed Esselunga, il racconto ben documentato della famiglia che ha rivoluzionato per sempre le abitudini degli italiani.
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