Partiamo da questo spunto : Monini annuncia: l’extravergine costerà meno. Ma non è una buona notizia, ecco perché

Stefano Polacchi spiega che non lo è soprattutto dal punto di vista della salute ma anche del marketing. Trovate la conferma alla fine dell’articolo.

L’olio extravergine di oliva, annuncia Monini, costerà meno. Ma non è una buona notizia: ci sarebbe bisogno di prezzi più alti e remunerativi a fronte di maggiore qualità, non di consumi maggiori

L’annuncio lo fa Zefferino Monini, AD della omonima industria umbra di olio extravergine di oliva che viene venduto in tutto il mondo: la produzione in Spagna è tornata a livelli normali dopo i cali dello scorso anno e i prezzi sul mercato globale (che sono gli spagnoli a determinare) dovrebbero quindi scendere. Di conseguenza, dovrebbero salire i consumi mondiali. Ma se questa previsione – per altro probabilmente neppure del tutto azzeccata – rende felice un industriale come Monini, al tempo stesso dovrebbe far riflettere su dove vogliamo andare. Certo, Zefferino parla del mercato globale e degli oli (più o meno) extravergine che ogni anno fanno discutere rispetto a prezzi assurdi (anche sotto ai 3 euro a bottiglia) e a qualità dubbie che spesso vengono evidenziate (e sanzionate) anche da sequestri e controlli da parte delle autorità preposte.

La prima domanda è: perché dovrebbe essere meglio vendere di più a prezzi inferiori e non vendere di meno e a prezzi superiori? Certo, se la qualità fosse la stessa sarebbe solo un bilanciamento tra domanda e offerta. Ma noi Italia dovremmo porci un’altra domanda: perché non puntare a vendere di meno ma a prezzi più alti e remunerativi per i nostri artigiani-coltivatori?

Extravergine: perché dovremmo pagarlo di più?

L’auspicio di prezzi più alti per qualità migliore potrebbe far storcere il naso a tanti. E non è facile spiegare a un consumatore che è meglio pagarlo di più, l’olio extravergine. La prima considerazione, però, è che la corsa alla riduzione dei costi del cibo se da una parte ha permesso l’accesso al cibo a tanti nel mondo, dall’altra ha portato anche a una catena della produzione che “ha bisogno” di sprecare e buttare via tanto cibo per venderne di più, che ha bisogno di aliemare i consumi sfrenati fino a rendere endemica l’obesità in molte parte del mondo, di fare la guerra dei prezzi e di pagare sempre meno chi produce. E poiché il cibo è sostanzialmente un prodotto agricolo, questa corsa al consumo e al ribasso dei prezzi comporta concretamente l’impoverimento degli agricoltori a scapito dei commercianti. Lo vediamo ovunque: dal latte al grano. Tranne, almeno in Italia (ma non solo), che sul fronte vino: qui i consumi drasticamente calati nel giro di 40 anni hanno portato a una crescita esponenziale sia dei livelli di qualità che del valore del prodotto. Per un pese come l’Italia, “svendere” l’olio extravergine di oliva significa svendere la propria storia, la propria cultura agroalimentare.

 

Svolta storica: negli USA l’olio spagnolo vale più di quello italiano

Per la prima volta, il prezzo dell’olio spagnolo supera quello italiano sul mercato americano, grazie ad una crescita impressionante in termini di valore (105%).

La Spagna è diventata il più grande esportatore di olio d’oliva negli Stati Uniti l’anno scorso, superando l’Italia, con spedizioni che hanno raggiunto 180.000 tonnellate metriche, ovvero quasi un terzo delle 480.000 tonnellate consumate nel Paese, secondo Asoliva.

I consumatori statunitensi hanno acquistato più olio d’oliva spagnolo, anche se con una media di 8,81 euro al chilogrammo è più costoso della sua controparte italiana.

In sostanza la Spagna domina il mercato sia sul lato dei volumi che del valore.

C’è ben poco da gioire!

P.S. : a dicembre 2024 Monini ha ribadito che 10 euro al litro per l’olio di oliva italiano è troppo: parola di Zefferino Monini

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