“Torna prepotentemente l’Alto Adige sulle prime pagine dei quotidiani. A livello politico si tratta per il “pacchetto”. Sul campo riprendono gli attentati e gli atti vandalici anti-italiani. Le scritte «Ein Tirol» imbrattano i muri e si festeggia con marcato entusiasmo l’anniversario di Francesco Giuseppe. Gli italiani rispondono per le rime («Crucchi, go home») e il presidente della repubblica Francesco Cossiga rinuncia alle sue vacanze a Merano, disorientando il governo e l’opinione pubblica nazionale, riconoscendo, in pratica, uno status particolare per quella regione e facendo fare la ruota del tacchino a tutte le Schützen valligiane, cioè a quelle milizie impennacchiate e impataccate che difendono l’Heimat, il focolare, dal XV secolo.
È dunque il momento di lasciare da parte la polemica e di tentare di capire. Per questo suggerisco «Alto Adige o Sudtirol. La questione altoatesina o sudtirolese dal 1945 al 1948 e i suoi sviluppi» (editore Franco Angeli) di Giuseppe Caprotti, ventottenne, rampollo di una nota dinastia industriale lombarda, anch’egli attivo nella grande distribuzione, ma innamorato di storia moderna dopo avere conseguito una laurea in quella materia alla prestigiosa Sorbona.
1945-1948: sono gli anni cruciali non solo per I’Italia sconfitta, ma anche per l’Austria a sua volta sconfitta e occupata dagli Alleati vincitori, sovietici compresi. Caprotti ha dunque scavato presso il Quai d’Orsay, il ministero degli Esteri francese, e soprattutto nella Bibliothèque de Documentation Internationale Contemporaine dell’università di Nanterre («La più bella biblioteca di relazioni internazionali» sostiene) e sorprendentemente ha scoperto che l’Alto Adige era nel mirino anche degli occupanti francesi forse perché, nel 1945, a Parigi si sarebbe desiderato un’Austria più grande e solida e un’Italia ridimensionata. «C’è anche tutto un carteggio di Cesare Battisti sul problema altoatesino che credo nessuno storico italiano abbia mai consultato», annuncia Caprotti.
1945-1948: toccherà a un ex suddito dell’impero austroungarico (perché nato a Pieve di Tesino, vicino a Trento, nel 1881), il presidente del Consiglio italiano Alcide De Gasperi, e al ministro degli Esteri austriaco Karl Gruber, tirolese di Innsbruck e resistente al nazismo, derimere, sotto il vigile occhio dei vincitori, con l’accordo del 5 settembre 1946 che porta il loro nome, l’annosa vicenda di una terra che deriva il proprio nome dalla famiglia castellana di Tirolo, nei pressi di Merano, e che («Tu, felix Austria, nube») finì in mano agli Asburgo per via di talami matrimoniali. Una terra peraltro mai troppo pacifica, come dimostrano la grande sollevazione protestante del 1525 e la resistenza antifranco-bavarese nel 1809-1810, che portò alla fucilazione a Mantova dell’eroe nazionale Andreas Hofer, un oste di val Passiria. Ma anche una terra che ha un’importanza strategica di primo piano Per gli sviluppi della questione lasciamo la parola a Caprotti. Esordisce: «Sono abbastanza sconvolto. Questo contrasto Alto Adige-Sud Tirol frutto di quel nazionalismo che è retaggio dell’altro secolo. Sarebbe come se i milanesi volessero tornare sotto Maria Teresa», Qualcuno lo sogna, obietto. «Già ma qui abbiamo di fronte l’Europa unita. La data c’è: il 1992». E aggiunge l’autore che, indipendentemente dalla vittoria italiana nel 1918 («che oggi stranamente si vuole minimizzare»), l’idea nazionalistica panaustriaca è materialmente impossibile perché, per ampliarsi territorialmente, in virtù dello statuto di neutralità del 1955 l’Austria dovrebbe ottenere il permesso non solo degli Alleati occidentali, che sicuramente non si schiererebbero mai contro l’Italia, ma anche dell’Unione Sovietica». Ma alla fine cosa veramente vogliono queste nostre turbolente sentinelle austro-italiane sulle Alpi? Forse, suggerisce Caprotti, uno staterello tipo Liechtenstein che sarebbe viabile in fatto di agricoltura, turismo ed emissioni filateliche e numismatiche, ma che perderebbe immediatamente i contributi italiani e della Comunità europea (questi sono stati calcolati in 1500 miliardi di lire, netti, nel 1986. Nel 1988 potrebbero elevarsi a 2500 miliardi, lordi, cioè a 6 milioni per ciascuno dei 430 mila abitanti «Nei documenti che ho scovato – conclude l’autore – ci sono le confidenze fatte nel 1945 ai francesi: la classe dirigente é i commercianti sudtirolesi erano favorevoli all’Italia. Credo non abbiano cambiato idea. L’Austria sarà più civile dell’Italia, ma è anche più povera».”
Giuseppe Venosta
Il Secolo XIX 24 agosto 1988


