“Austria e Italia furono gli ultimi «duellanti» della Seconda guerra mondiale. Una nazione che non esisteva più da dieci anni, e un paese alleato dei nazisti fino al 1943: un duello tra poveri. Si contesero al tavolo delle trattative di pace un fazzoletto di terra che aveva però un’importanza strategica e simbolica immensa: per De Gasperi significava non perdere il «confine del Brennero» che era valso la prima guerra mondiale, proprio nel momento in cui stava perdendo con la Jugoslavia la partita di Trieste. Per la rinata repubblica d’Austria significava ritornare nella culla dinastica degli Asburgo, che da quelle aspre montagne di Brixen erano partiti nel 1300 alla conquista di un impero: quello di Carlo Magno. Inoltre il govemo Gruber, timoroso per la propria esistenza, con il Paese ancora invaso da tutti gli eserciti alleati, sperava di mantenere col Brennero e Bolzano una via commerciale verso occidente che bilanciasse la vicinanza sovietica. Attore silenzioso e cruciale fu proprio l’Unione Sovietica. Subito dopo la presa di Vienna, la rinata repubblica d’Austria aveva formato un govemo a maggioranza comunista. Ma nelle elezioni del ’46 il partito comunista fu quasi cancellato, e il governo a maggioranza cattolico-popolare non conservò le simpatie da parte di Molotov, che voleva dare all’Italia un contentino per far dimenticare l’appoggio a Tito sulla questione di Fiume e di Trieste. Così, la bilancia si inclinò definitivamente a favore di De Gasperi. Il territorio conteso tra il ’45 e il ’46 è lo stesso che nel 1972 ottenne dallo Stato italiano quell’autonomia completa, su base etnica, che tante tensioni ha provocato negli ultimi mesi. La provincia autonoma di Bolzano. Quella provincia solo di nome e non di fatto. Quel governo locale che ha le competenze di spesa, di bilancio e normative di una regione autonoma e che, a differenza dei suoi fratelli maggiori di Vienna, riceve e gestisce ogni anno i miliardi dei contributi Cee per l’agricoltura.
Giuseppe Caprotti ricostruisce la storia diplomatica di questo territorio sulla base di documenti riservati del ministero degli Esteri francese, che col suo esercito lo occupò nel ’45 e diede ai Sudtirolesi l’illusione dell’indipendenza dall’Italia. Ma se De Gasperi non concesse nulla ai tedeschi nel 1946, al contrario lo Stato italiano cedette progressivamente alle richieste della Sudtiroler Volkspartei fino al «pacchetto Alto Adige» coordinato dal ministro Maccanico sei mesi fa. Questa la tesi di Caprotti. Ma come risponde alla domanda centrale del libro: Bolzano e il Brennero sono Alto Adige oppure il Sud di un Tirolo occupato da una nazione straniera? Se alla domanda si deve rispondere con gli strumenti dell’antropologia culturale, ci sono pochi dubbi: quando nel 1915 le truppe italiane si attestarono sul confine del Brennero in quel triangolo alpino abitavano 300.000 montanari di antichissime tradizioni germaniche. Gli italiani erano 7.000. Già in quegli anni di prefetti di ferro venne a galla l’ostilità del gruppo etnico tedesco per l’industrializzazione dell’area di Bolzano. Capivano che quella era la strada aperta all’immigrazione. E così avvenne. Arrivarono 75.000 italiani dal Sud, mentre con l’accordo tra Ciano e von Ribbentrop gli abitanti della valle optavano in 170.000 per l’emigrazione in Germania. Se ne andarono in pochi. Molti ritornarono, e le tensioni etniche tra Sudtiroler Volkspartei e ministero dei Lavori Pubblici continuarono per tutti gli anni 60 e 70, proprio sul tema dell’industrializzazione.”
Il Messaggero 2 settembre 1988


