“Ho l’impressione che, leggendo i resoconti di stampa e seguendo i telegiornali, non si comprenda l’essenziale di quel che si consuma in Alto Adige. Come ha scritto, ad altro proposito, Alberto Sensini, ciò è probabilmente dovuto al fatto che i giornalisti sono, in larga maggioranza, “seguaci di quella nuova regola secondo cui le opinioni non vanno mai disgiunte dai fatti” e, soprattutto, dei fatti puri e semplici non ci si contenta mai. Così, chi si affida all’informazione di massa non sempre riesce a distinguere la cronaca dal commento, ed è messo in grado di sapere come la pensano protagonisti e direttamente interessati, ma difficilmente, poi, gli è consentito di farsi una fondata opinione propria.
Non che manchino libri e saggi capaci di offrire le misure della storia per valutare quelle degli eventi che si susseguoni, ed anzi i loro autori spesso si industriano di sintetizzarli ad uso del quotidiano. Ma certe vicende, come appunto quella altoatesina, hanno una complessità tale da rendere necessaria una paziente, supplementare riflessione, resa possibile dall’intelligenza del caso – leggi: lavoro di studiosi, sforzo di istituzioni – che proprio in questi giorni fa uscire in libreria due volumi, il primo, scritto a due mani da Rudolf Lill, tedesco, docente di storia a Karlsruhe, e Umberto Corsini, trentino, professore universitario a Venezia, sull’Alto Adige o Südtirol tra 1918 e 1946 (Bolzano, per iniziativa della Giunta Provinciale): il secondo, Alto Adige o Südtirol di Giuseppe Caprotti, edito dalla Franco Angeli, sulla «questione» negli anni cruciali 1943-45.”
Di Giannantonio Paladini – Il Messaggero 5 settembre 1988


