Redatto il 18 giugno 2015, aggiornato il 27 aprile 2025
“Il clima è un bene comune, di tutti e per tutti. Esso a livello globale, è un sistema complesso in relazione con molte condizioni essenziali per la vita umana. Esiste un consenso scientifico molto consistente che indica che siamo in presenza di un preoccupante riscaldamento del sistema climatico… L’umanità è chiamata a prendere coscienza della necessità di cambiamenti di stili di vita, di produzione e di consumo, per combattere questo riscaldamento o, almeno, le cause umane che lo producono o lo accentuano… Se la tendenza attuale continua, questo secolo potrebbe essere testimone di cambiamenti climatici inauditi e di una distruzione senza precedenti degli ecosistemi, con gravi conseguenze per tutti noi.”
Papa Francesco
Sugli ogm il papa rileva che la loro introduzione conduce sovente alla “concentrazione delle terre produttive nelle mani di pochi” a scapito dei piccoli produttori.
La temperatura del globo è salita di 0,85° dalla fine del secolo scorso, secondo il gruppo intergovernativo di esperti dell’evoluzione del clima (GIEC). La 21a conferenza sui cambiamenti climatici, sotto l’egida delle Nazioni Unite, si terrà a Parigi- Le Bourget dal 30 novembre all’11 dicembre. Vi parteciperanno 195 paesi per tentare di trovare un accordo universale sul clima, il cui obiettivo dovrebbe essere di contenere l’innalzamento delle temperature sotto i 2°. Per fare ciò le emissioni mondiali di gas serra devono essere ridotte dal 40% al 70%. Quaranta paesi si sono ingaggiati a ridurre le loro emissioni di gas serra.
Fonti: Corriere della Sera del 16 giugno e Le Monde del 17 giugno 2015
E per i francesi il riscaldamento climatico è ormai “una realtà” e il clima una “preoccupazione nazionale” (2015).
Mentre incombe il rischio clima sui listini agricoli e di conseguenza sul prezzo del cibo: grano, soia e mais potrebbero rincarare di quattro volte (Il Sole 24 ore del 2015, sotto).
Il 4 ottobre 2023, a otto anni dalla pubblicazione dell’Enciclica Laudato sì, Papa Francesco – che non ha mai taciuto le sue preoccupazioni per la crisi climatica Ascolta la voce del creato, ascoltane il grido amaro. Papa Francesco: “E’ necessario agire, tutti, con decisione. Stiamo raggiungendo un punto di rottura” – ha prodotto l’Esortazione Apostolica “Laudate Deum” rivolta a tutte le persone di buona volontà sulla crisi climatica.
Sotto : un articolo sull’eredità spirituale ed ambientale di Papa Francesco (22 aprile 2025)

Papa Francesco, con gli Stati Uniti di Trump, sul cambiamento climatico non poteva andare d’accordo .
Un altro argomento fondamentale su cui non andavano d’accordo è l’aiuto ai poveri. In proposito leggi : Ucraina, Gaza ed Africa legate dallo stesso destino con il taglio dei fondi Usaid da parte di Donald Trump.
Nell’eredità di Papa Francesco viene sottovalutata la sua visione dell’economia, una visione forte, non ideologica, sicuramente meno zigzagante di quella del Presidente Trump. Una visione coerentemente “francescana” (nel senso del Santo) che pone al centro non già l’individuo che “massimizza” il suo benessere bensì il “bene comune”; non già una generica “crescita economica” bensì l’inclusione di tutti e, per conseguenza, la lotta alla povertà, all’emarginazione e alle crescenti diseguaglianze. In altri termini, la sua “economia” è “altra” rispetto a quella prevalente tra gli economisti liberisti, convinti della superiorità del mercato e del capitalismo poco o punto regolati.
Papa Francesco non amava riferirsi a categorie astratte (eccettuate quelle delle Sacre Scritture); preferiva invece immergersi nella condizione dei poveri, dei malati, dei fragili, dei migranti. Non detestava il mercato, e meno che mai lo sviluppo economico ma li considerava strumenti per l’inclusione, non mezzi per l’arricchimento individuale, per fare extra-profitti, sia pure reinvestiti. “Non condanno il capitalismo, né sono contro l’economia di mercato”, sostiene Papa Francesco in “El Pastor”, libro intervista di Francesca Ambrogetti e Sergio Rubin del 2023. “Non è affatto un male produrre ricchezza per il bene di tutti; anzi, produrla è un atto di giustizia. Ma perché questa giustizia sia completa, deve essere distributiva”. Per questo si dichiarò, sulla scia di Giovanni Paolo II, a favore di un’”economia sociale di mercato”, dove il sociale viene prima del mercato e dove il lavoro non è soggiogato al capitale grazie alla presenza di autorità regolatrici, nazionali o sovranazionali, in grado di mediare tra interessi contrapposti, alla ricerca di un equilibrio che, senza trascurare nessuno, cerchi di favorire maggiormente i più svantaggiati. Un principio non troppo dissimile dal quello di John Rawls, filosofo “liberalsocialista” americano, secondo il quale tra due politiche si dovrebbe sempre scegliere quella che favorisce chi sta peggio.
A questo principio sono strettamente legati altri due. In primo luogo, le risorse, sempre scarse, non vanno sciupate né nel privato, né nel pubblico; occorrono quindi buona gestione e buona politica, contro la cultura dello spreco. In secondo luogo, i costi di produzione di beni e servizi collettivi (istruzione, salute, ambiente) devono essere sopportati da tutti in proporzione crescente al crescere di ricchezza e reddito di ciascuno; di qui discendono la progressività del sistema fiscale e il dovere morale, prima ancora che civile, di non evadere le imposte e di non scaricare, attraverso il debito pubblico, oneri impropri alle generazioni future per preservare il benessere di quelle presenti.
Papa Francesco era ben coscio che senza regole e senza valori morali che sorreggano i comportamenti individuali e le scelte collettive, il mercato, né più né meno di qualunque altra organizzazione sociale, può facilmente diventare un luogo di predatori e di prede, di privilegiati e di esclusi. Elogiare il mercato senza il riferimento a come concretamente attuare la giustizia distributiva, chiudendo gli occhi di fronte alle diseguaglianze già presenti alla nascita nelle capacità, nelle opportunità e nei diritti non può avere legittimazione per un cristiano. I bambini nati in un ambiente di guerra, i giovani costretti ad andare al fronte, coloro che pagano e pagheranno per scelte ambientali miopi, incuranti dei costi inflitti alle generazioni future, le donne private della possibilità di istruirsi ed escluse da molti ambiti economici e sociali: perché dovrebbero queste “vittime” competere in un mercato con persone che hanno avuto privilegi, chances di successo, appoggi e circostanze di vita decisamente più favorevoli? Eppure, chi non ricorda i detti frequenti nel capitalismo rampante di prima della crisi del 2008: “è il mercato, bellezza” o anche: “è l’economia, stupido”? Come se i vincoli dell’economia potessero passare davanti a tutto.

Da questa visione è nata “L’economia di Francesco” (con il duplice riferimento al Santo e al Papa appena scomparso), una Fondazione internazionale avviata nel 2019 sulla spinta del Papa come comunità globale di giovani ricercatori, imprenditori e innovatori di oltre 100 Paesi, che lavorano per “dare un’anima” all’economia (“ri-animarla”, scrisse il Papa ai giovani, definiti un “cammino vivente” nella lettera di invito); per immettervi i valori e la forza del bene comune, privilegiando le situazioni di sofferenza; “per dare al mondo la bella notizia che, ispirandosi al Vangelo, anche l’economia può cambiare in meglio”. Un plauso ai giovani che, già alle prese con forti squilibri generazionali a loro danno, hanno accettato la sfida. Ci sono oggi le condizioni per cambiare l’economia nel segno di Francesco? I dubbi sono tanti, alimentati da scenari che, già foschi, sembrano essersi fatti più plumbei nei mesi recenti. Come diventare un’economia di pace in tempo di guerre cruente e di crescente spesa per armamenti (considerata dai cinici una grande opportunità di crescita economica)? Un’economia al servizio dei fragili e degli indifesi, a dispetto degli egoismi e dei nazionalismi volti a stabilire “chi deve venire prima” e del crescente ricorso a rimpatri e deportazioni anche di chi cerca un asilo; un’economia che sa guardare al futuro, per restituire un creato integro alle generazioni che verranno “dalle quali lo abbiamo preso a prestito”; un’economia che riconosce e tutela il lavoro dignitoso per tutti, uomini e donne, e che rifugge da ingiustificabili divari retributivi tra chi gestisce e chi esegue; un’economia dove pagare le imposte è sentito come appartenenza e condivisione a dispetto delle tante strizzatine d’occhi a furbi ed evasori.
A guardare bene, però, il modello lo abbiamo in casa. È il modello di società voluti dai padri e e dalle madri della nostra costituzione, ma finora ampiamente inattuato. Non abbiamo bisogno di guardare a modelli astratti e lontani. E’ che nel disegnare la sua economia Papa Francesco ha attinto anche alla nostra Costituzione, alla quale dovremmo perciò ritornare.
Elsa Fornero
Sotto un collage sel quale si vede, tra le altre foto del papa, un’immagine di Jorge Bergoglio da giovane.



