Da tempo ormai Carlo alterna i soggiorni in Italia a diversi mesi in Africa, risiedendo ad Algeri. Ancora non ci sono noti i motivi di questa scelta, a quanto sembra dettata da motivi personali e familiari; certo però è, come tante altre scelte di quest’uomo esuberante, inusuale e di quasi piena rottura con le abitudini e il comportamento della sua epoca.
Nel 1914 lo scoppio della Grande Guerra lo blocca lì, ma la posta alleata funziona a dovere, anche se lentamente, e quindi riceve con regolarità le veementi lamentele del doppiamente nipote Peppino, figlio di sua figlia Bettina e di Bernardo, primogenito del fratello Beppo. Nel 1917 Peppino ha l’età per arruolarsi volontario, ancora all’ultimo anno di scuola. Al giovanotto però, assegnato al Genio telegrafisti col compito di “guardafili”, dislocato a centinaia di chilometri dal fronte, l’assegnazione non piace perché ben poco eroica, si sente un imboscato e ne scrive a tutti i familiari, compreso, appunto, il nonno. Il quale, leggendo, risponde tra il serio e il faceto, con lo spirito del vecchio repubblicano e anticlericale che è:
“Sai che tu sei tre volte fortunato! Servi la patria, sei alloggiato in un ottimo albergo (il che prova che il nostro governo paga lautamente le sue milizie) di una bella città di simpatici abitanti [Parma] e godi la tua libertà, cosa vuoi dippiù [sic]? Ti lamenti e parli ancora d’imboscato, ma che imboscato d’Egitto! Se il tuo posto fu creato è [perché] fu trovato necessario, e lo si affida soltanto a soldati scelti, e se tu ti facessi cambiare destinazione saresti subito surrogato da un altro, dunque tanto vale che ci resti tu.
La tua mansione essendo quella di guardare ai fili (e sai di quanta importanza sia il servizio telegrafico in guerra), mi par di vederti sgambettare lungo le linee ed arrampicarti su per i pali ad attaccar fili, a sostituire isolatori e…cosa d’altro? Poi, finite le ore di lavoro ritorni al tuo albergo e la sera te la spassi come un signore. Ogni tanto, per rompere la monotonia, ti si manderà in missione in altri siti così hai anche il vantaggio della varietà, e tutto ciò servendo il paese pari e forse dippiù [sic] di quelli che sparano la carabina. Quanti t’invidieranno non per l’imboscatura, come tu pensi, ma per la specialità del mestiere e per la distinzione di essere addetto al Gran Comando d’Armata (…).” (Lettera di Carlo Caprotti al nipote Peppino, Algeri, 24 gennaio 1918).
Forse non è proprio così, le accuse di “imboscatura” per i giovani che non vanno al fronte non se le è certo inventate Peppino, e l’invidia per il suo posto e la sua destinazione sono magari più legate alla sicurezza di vita (certo ingentilita dai molti invii di denaro da parte dell’ansioso padre Bernardo) che non alla dignità del ruolo. Ma la saggezza e la praticità caprottiane non esagerano certo l’importanza delle telecomunicazioni in tempo di guerra, e l’invito a godersi la fortunata posizione è quanto mai opportuno.
Ma Peppino, che un commilitone definiva “impressionabile come un’altalena”, non da’ molto retta alla saggezza del nonno. Continua a lamentarsi e a scalpitare sinché finalmente, a guerra ormai finita, riesce a frequentare un benedetto corso ufficiali, diventa sottotenente in un reggimento di Alpini e finisce in Albania, dove si prende una serie di malanni, tra cui pure la malaria, che ne causano il rimpatrio e l’assoluto desiderio di dedicarsi ad altro, come già il padre e il nonno/zio ai tempi loro.
Fonti:
Albiate, Archivi di Villa San Valerio, Archivio Manifattura Caprotti, Giuseppe Caprotti. Lettere del nonno Carlo, b. 171.
Archivio di Claudio Caprotti, Archivio fotografico.
Bibliografia:
G. CAPROTTI, “Le ossa dei Caprotti. Una storia italiana”, Milano, 2024/3.
R. ROMANO, “I Caprotti. L’avventura economica e umana di una dinastia industriale della Brianza”, Milano, 1980.
