Mia madre e quasi tutte le sue più care amiche lavorarono alla Rinascente, il più antico e famoso grande magazzino di Milano: “rinascentine”, insomma, come si definivano gli impiegati della “grande R”. Ci entrarono giovanissime, vuoi come primo lavoro dopo gli studi vuoi, come mia madre Giorgina [Venosta], facendosi strada per vivere dopo la separazione dal marito (nel suo caso mio padre, Bernardo Caprotti).
Ne uscirono formate da una efficacissima scuola, perché la “Rinascente” era veramente una scuola (e tra l’altro, di corsi ne faceva, formando attentamente il suo personale in ogni campo). Basta leggere gli House Organ, i “giornalini” aziendali: gli impiegati erano appunto i “rinascentini” i quali, oltre ad avere un grandissimo spirito di coesione, venivano considerati un’eccellenza nel campo della formazione delle risorse, comprese quelle femminili che arrivarono a occupare posti di responsabilità prima di molti altri, dalle gerenti (i capi delle filiali, cui Natalia Aspesi – anch’ella amica della mamma – dedicò un articolo su un “giornalino) alle dirigenti (Amneris Latis, che precedette Adriana Botti Monti a capo della pubblicità, dirigeva il settore già dalla metà degli anni Cinquanta).
Fonti:
Rinascente Archives, Grafica e comunicazione visiva lR 1950-1970, logo disegnato da Max Huber, 1950 [che disegnò anche quello di Esselunga]
Ibid, House Organs, N. ASPESI, Un personaggio del nostro tempo: la donna gerente, in “Cronache”, 47/dicembre 1968, pp. 8-13 [formato .pdf]
G. CAPROTTI, Le ossa dei Caprotti. Una storia italiana, Milano, 2023
