Il lago Rubino a secco nel luglio 2024
Buco nell’acqua. Perché in Sicilia ci sarà una crisi idrica anche se ha piovuto per mesi
Dopo commissari, fondi straordinari e promesse istituzionali, la Regione si trova ancora impreparata. I dissalatori sono in ritardo e la rete sotterranea perde il quarantadue per cento del flusso
Conservate questo articolo con cura. Salvatelo tra i preferiti oppure stampatelo e ripiegatelo per bene. Lo tireremo fuori a luglio, forse anche prima, quando dappertutto campeggeranno i titoloni sulla Sicilia al collasso per la mancanza d’acqua. Nonostante la pioggia. Nonostante gli annunci. Nonostante i «mai più». Nonostante il commissario per l’emergenza. Nonostante le buone intenzioni. Nonostante i tavoli tecnici. Nonostante i dissalatori. Nonostante sia passato un anno di decreti, bandi, poteri speciali. E invece marzo sta finendo, l’estate si avvicina – se non bastano già oltre venti gradi di media di temperatura delle ultime giornate sull’Isola – e sul fronte della siccità, la Sicilia è messa come prima. Anzi, peggio.
Mette le mani avanti anche il Commissario straordinario nazionale per l’emergenza idrica, Nicola Dell’Acqua, che senza mezzi termini parla di una situazione peggiore rispetto all’anno scorso: «La prossima estate sarà particolarmente dura». E pensare che non sono mancati investimenti e annunci, in questi mesi, a cominciare da quelli per tre dissalatori, più due «mobili», con l’obiettivo dichiarato dal presidente della Regione, Renato Schifani, di «sconfiggere la siccità» alla modica cifra di duecentonovanta milioni di euro. La Lega, invece, esalta il lavoro del ministro e leader Matteo Salvini, che ha destinato novantaquattro milioni di euro per «sei opere strategiche che risolveranno in gran parte l’emergenza», dice una nota del Carroccio siciliano. Sempre Renato Schifani, qualche giorno fa, commentando la pioggia abbondante di questo inverno, si era detto «fiducioso» su un’estate non all’asciutto.
All’ottimismo del governo siciliano e della sua maggioranza fa da contraltare però quanto emerge dai dati degli uffici tecnici della Regione. L’Autorità di Bacino della Regione Sicilia ha dipinto un quadro in cui si sfiora il collasso, con appena centoquarantadue milioni di metri cubi d’acqua disponibili nei principali invasi «a uso promiscuo», cioè sia per l’agricoltura che per l’uso potabile. Il volume effettivamente utilizzabile, al netto di fanghi, perdite e mancanza di infrastrutture, scende addirittura sotto i cento milioni. Si va dal meno ventuno per cento al meno quarantasette per cento rispetto allo stesso periodo di un anno fa. Una situazione che, se confermata dai dati aggiornati previsti per fine mese, rappresenterebbe un rischio concreto per l’approvvigionamento idrico potabile e agricolo dell’intera Isola.
Il tutto con i dati resi noti dal rapporto di Cittadinanzattiva sul servizio idrico integrato, in occasione della Giornata mondiale dell’acqua, lo scorso 26 marzo. La spesa media sostenuta dalle famiglie in Sicilia per le bollette dell’acqua è di quatrocentottantanove euro: la dispersione idrica è del quarantadue per cento.
In molti Comuni l’acqua è già razionata. E siamo ancora nel periodo di bassa stagione, per quanto riguarda il turismo, con la Sicilia che verrà presa d’assalto per le vacanze e il lungo ponte tra Pasqua e il Primo Maggio e con Agrigento, Capitale italiana della cultura 2025 (senza pace, si è appena dimesso il direttore della Fondazione, Roberto Albergoni, l’uomo che ha materialmente scritto il dossier vincitore), che, secondo le previsioni, dovrebbe triplicare il numero di presenze. Ma con quale acqua, se già l’anno scorso facevano il giro del web le immagini dei B&B di lusso con i bidoni dell’acqua all’ingresso per i visitatori e le istruzioni in tre lingue su come «lavarsi a pezzi»?
La Diga Garcia, che disseta decine di Comuni di tre province, Palermo, Agrigento e Trapani, è a livelli bassissimi, e Siciliacque, la società che gestisce la rete idrica, ha dovuto avviare le prime riduzioni. Le altre dighe continuano ad avere il solito problema: non essendo mai state collaudate, anche se piove, devono essere in parte svuotate, sversando l’acqua al mare, per ragioni di sicurezza. Uno spreco inaccettabile, che ha visto gli agricoltori sul piede di guerra. Adesso il Ministero delle Infrastrutture ha «concesso», dopo le proteste degli ultimi giorni, di alzare di due metri il livello della Diga Rubino, vicino Trapani, che ha una serie di problemi strutturali mai risolti. Una goccia nel deserto. Per le associazioni di categoria il livello si potrebbe alzare di altri quattro metri. L’acqua in eccesso viene sversata, mentre i campi restano all’asciutto.
Ma tutte le dighe in Sicilia occidentale sono da tempo il simbolo di un sistema idrico allo sbando, fatto di ritardi, di negligenze. La situazione più paradossale è quella della diga Trinità, altro grande invaso a scopo irriguo in provincia di Trapani, svuotato per ordine del Ministero delle Infrastrutture a causa delle condizioni del fronte diga che non ne garantiscono la tenuta soprattutto in caso di sisma. Centomila metri cubi di acqua al giorno sversati in mare. Fino a scoprire, solo lo scorso 10 marzo, che in effetti, dopo le verifiche della Protezione Civile – che nessuno aveva mai fatto – la diga non deve essere svuotata per forza, come avviene ogni anno da mezzo secolo. E quindi si può tenere l’acqua fino a sessantadue metri di altezza, cioè 2,5 milioni di metri cubi.
Tutte le dighe siciliane hanno bisogno di manutenzione. Su quarantasette invasi ben ventisei sono fuori esercizio o in esercizio con limitazioni o, ancora, in attesa di collaudo e quindi limitati. Moltissimi di questi invasi limitati sono a scopo irriguo e sarebbero quelli destinati a garantire la disponibilità della risorsa per il comparto agricolo e zootecnico, tant’è che proprio in questi anni alla Regione Siciliana sono stati assegnati dei fondi mirati proprio alla gestione delle dighe. La gran parte di questi fondi è stata, però, dirottata verso la ripresa dei lavori della diga di Pietrarossa, altra opera incompiuta.
Di più, la diga di Pietrarossa è proprio l’emblema dei limiti della burocrazia e della politica siciliana. Si trova in provincia di Enna. Era il 1956: Anna Magnani vinceva l’Oscar, prima italiana della storia, a Marcinelle, in Belgio, centotrentasei italiani morivano in un incidente in miniera. In Sicilia si affrontava l’emergenza siccità, e si approvava la prima proposta per costruire questa grande diga, definita «opera strategica». Nel 2025 se ne attende ancora la realizzazione. Alla faccia della strategia.
Breve riepilogo: il progetto esecutivo è del 1983, il finanziamento di centoquarantacinque miliardi di lire, con la cara Cassa del Mezzogiorno, è del 1988. Lavori appaltati e interrotti nel 1993 per una frana. Poi, per errori di costruzione, tutto venne bloccato. Fino al 1997, con altri quarantatré miliardi. Poi il cantiere è stato sequestrato. I lavori erano completi al novantacinque per cento. Poi la diga è stata abbandonata. Poi nel 2011 è stata prevista la demolizione. Poi nel 2017 è stato deliberato il riavvio dei lavori. Poi nel 2022 l’opera è stata inserita nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e i lavori dovevano terminare nel 2025. Non sono mai iniziati.
La realizzazione della diga, in questi sessanta e passa anni, è stata annunciata una decina di volte. L’ultima dall’ex governatore, oggi ministro della Repubblica, Nello Musumeci, nel 2019: «Procediamo a tappe forzate per completare l’impianto». Solo nel 2022, però, l’opera va in gara: ottanta milioni di euro. Tra espropri, ricorsi, commissari ad acta, controricorsi, ritrovamenti archeologici, aumento dei prezzi, non si muove nulla. L’unica speranza, allora, è puntare gli occhi al cielo e, come nelle canzoni di Fabio Concato, sperare che piova.



