Questo articolo è un pò il seguito di Gli ogm, la GD e l’ufficio stampa di Esselunga. Uno degli argomenti controversi degli ogm sono le contaminazioni.
Dario Bressanini, sul suo blog, meno di un anno fa scriveva così:
Il Made in Italy contaminato dagli OGM
Come forse saprete il ministro delle Politiche agricole alimentari Nunzia De Girolamo ha firmato, con i ministri della Salute Beatrice Lorenzin, e dell’Ambiente Andrea Orlando, un decreto che vieta la coltivazione in Italia del mais OGM MON810.
L’annuncio del decreto è stato accompagnato da una serie di dichiarazioni come questa
”È un provvedimento che tutela la nostra specificità, che salvaguarda l’Italia dall’omologazione. La nostra agricoltura – prosegue De Girolamo – si basa sulla biodiversità, sulla qualità e su queste dobbiamo continuare a puntare, senza avventure che anche dal punto di vista economico non ci vedrebbero competitivi”
Questi discorsi, apparentemente saggi, in realtà sono solo fumosi e si sciolgono come neve al sole se esaminati con un po’ di razionalità. Perché mai la coltivazione di un mais OGM, perché solo di quello si parla, dovrebbe influenzare l’immagine dei prodotti italiani? Circa il 30% del mais coltivato in Spagna è geneticamente modificato, e non mi pare che l’immagine del celebre prosciutto “Pata Negra” o delle acciughe del cantabrico ne abbiano risentito. Perché dovrebbero? E cosa c’entra la biodiversità, parola di cui molti parlamentari si riempiono la bocca ma di cui spesso ignorano il significato? Mica stiamo parlando di specie selvatiche. Lo sanno vero che non c’è il mais selvatico (e dubito che conoscano il teosinte), e che il mais viene comunque acquistato ogni anno per seminarlo? E quindi la “biodiversità” del mais coltivato è quanto le multinazionali sementiere, le stesse che producono il mais OGM, decidono ogni anno di mettere in vendita?
Altre dichiarazioni sono altrettanto prive di senso: c’è chi teme una qualche “contaminazione” dei nostri prodotti, come se un mais OGM potesse rendere OGM anche dei pomodori coltivati lì a fianco, manco fosse un virus che inietta una qualche “essenza OGM” come nei film di fantascienza di serie B.
Non essendo io un tecnico preferisco che la replica sia data da persone più esperte di me. Così scriveva LSA ne febbraio 2000
“Quando la colza transgenica è apparsa nel 1996, anche gli agricoltori che non volevano il prodotto l’hanno visto arrivare nei loro campi. Il polline si spande in un giro di 8 kilometri dal punto di semina” dichiara Hart Haiden agricoltore bio canadese. Era una costatazione che faceva anche Chantal Jaquet per LSA. Dal campo al porto di spedizione, esisterebbero una cinquantina di punti di contaminazione, indica il responsabile degli acquisti alimentari di Carrefour per le mercanzie alimentari internazionali, rendendo i prodotti senza ogm impossibili. Salvo nel caso della filiera brasiliana, dove i vegetali brasiliani non sono mai stati autorizzati.”
Non a caso Carrefour, vedi Gli ogm, la GD e l’ufficio stampa di Esselunga, si era mossa sul Brasile, prima che vi arrivasse, anche lì, la soia transgenica.
C’è da aggiungere che la differenza di prezzo tra soia transgenica e convenzionale si è andato abbassando: nel 200 era del 12- 13% a favore della soia transgenica, ora come ho già riportato nell’articolo sopracitato è dell’8%.


