Redatto il 13 agosto, aggiornato il 16 agosto 2025
L’Africa è fondamentale per le sue materie prime ma anche per la sua demografia nonchè per il flusso dei migranti che passano attraverso il Sahel (Burkina Faso, Mali, Niger, e Ciad (*)) che la Russia sostiene e controlla e che usa nella guerra ibrida contro l’Europa.
In questo contesto Tunisia e Libia, confinanti con l’Italia, meritano un’attenzione speciale. In Tunisia sono stato nel 1987, in Libia nel 2010 e nel 2011, poco prima della caduta di Gheddafi. Ma non è dei miei viaggi che vi voglio parlare, bensì della situazione geopolitica:
La Tunisia fa parte del piano Mattei, la Libia no a causa della sua situazione politica.
(*) La Russia ha un accordo anche con la Repubblica Centrafricana e ci sta provando con il Sudan (chiudendo il cerchio..).

Il 31 luglio 2025 Giorgia Meloni ha compiuto il suo quinto viaggio in Tunisia dal 2022: … l’idea è di investire nei Paesi di origine degli esuli per migliorare le condizioni di vita e garantire il “diritto a non emigrare” , secondo una formula della presidenza del Consiglio, che vanta un partenariato “alla pari” . “Molti osservatori non hanno nascosto il loro scetticismo al lancio del piano” nel gennaio 2024, alla presenza di 26 Paesi del continente africano e della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, sottolinea Giovanni Carbone, responsabile del programma Africa dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI) di Milano.
Kaïs Saïed, invece, vi ha aderito, basandosi sulla sua vicinanza ideologica a Giorgia Meloni sulla necessità di contrastare le migrazioni: anche la Tunisia è stata presa di mira per le violenze e le violazioni dei diritti umani contro i migranti.
Firmando un partenariato strategico con l’Unione Europea, che prevede 250 milioni di euro di aiuti e un contributo italiano di oltre 105 milioni di euro a credito per sostenere, tra le altre cose, le piccole e medie imprese tunisine, Giorgia Meloni ha ottenuto dalla sua controparte tunisina un maggiore controllo del confine marittimo che separa i due Paesi. Di conseguenza, tra luglio 2023 e luglio 2025, gli arrivi di migranti in Italia dalla Tunisia diminuiranno del 95%.
Per ampliare i propri sforzi, il governo italiano ha annunciato a fine giugno 5,5 miliardi di euro di investimenti per nove paesi pilota del continente africano, che nel frattempo sono diventati quattordici, tra cui i paesi del Maghreb, il Senegal, la Costa d’Avorio, il Kenya e l’Etiopia. “Oggi il piano Mattei rappresenta qualcosa di più concreto, che mobilita attori privati e pubblici “, continua Giovanni Carbone. Con dei limiti: il Ministero delle Finanze italiano ha finora concesso garanzie per soli 2 miliardi di euro, a dimostrazione di come l’attuazione sul campo sia ancora difficoltosa.
La strategia ha forti limitazioni
Per il ricercatore, il piano Mattei ha soprattutto stabilito “una nuova narrazione italiana sull’Africa e ha dimostrato il coinvolgimento personale di Giorgia Meloni “. Il leader italiano è proattivo. Durante la visita a Roma del presidente algerino Abdelmadjid Tebboune, mercoledì 23 luglio, i due Paesi hanno firmato una quarantina di accordi bilaterali, tra cui la costruzione a Sidi Bel Abbès di un centro Enrico-Mattei dedicato alla ricerca e all’innovazione in agricoltura.
Quattro giorni dopo, al secondo Vertice delle Nazioni Unite sui sistemi alimentari, da lei co-presieduto con il Primo Ministro etiope Abiy Ahmed, Giorgia Meloni ha ribadito il suo impegno a “sostenere l’autosufficienza” nel continente africano. In questa occasione, Italia ed Etiopia hanno firmato diversi accordi di cooperazione, in particolare nel settore agricolo.
Ma la strategia presenta comunque seri limiti, secondo il ricercatore Giovanni Carbone: “Il piano soffre di una grande mancanza di trasparenza; non sappiamo come vengono selezionati i progetti, nonostante mobilitino denaro pubblico”.
Una zona grigia circonda anche la delicata questione delle migrazioni. “C’è un’ingenuità italiana che vuole credere che aiutare lo sviluppo in Africa fermerà le migrazioni, ma la questione è molto più complessa “, osserva il ricercatore.
Inoltre, la progressiva esternalizzazione del controllo delle frontiere ai Paesi del Mediterraneo meridionale, a costo di violenze contro i migranti, pone Roma, e per estensione l’Europa, in una posizione di dipendenza da questi Stati.

Se la Tunisia è un partner “semplice” la Libia è molto più problematica:
… Dalla caduta di Bashar Al-Assad a Damasco a dicembre scorso, Mosca ha ridotto la propria presenza militare in Siria, soprattutto nel porto di Tartus. Navi, radar, sistemi anti-missile russi sono stati spostati in Libia, nella parte orientale e centro-meridionale controllata dal clan del generale Khalifa Haftar e dei suoi figli.
Già in anni recenti a sostegno degli Haftar erano schierate nei territori sotto il suo controllo le milizie russe di Wagner. Oggi queste ultime sono scomparse con il loro capo Yevgeny Prigozhin, ma i russi in Libia sono sempre di più.
E stavolta con l’esercito ufficiale. Si stima che in questi mesi la loro presenza fluttui fra i 1.200 e i 1.800 effettivi, secondo i momenti, mentre gli Haftar coprono i loro costi vivi. Ai signori della guerra basati a Benghazi, Mosca offre sistemi antimissile che li tutelano da eventuali attacchi lanciati con il sostegno della Turchia.
Ai russi, gli Haftar offrono invece una piattaforma da cui proiettare l’influenza di Mosca in Sudan, nel Ciad, nel Niger e fino al Mali.

Le truppe russe avrebbero preso possesso di alcuni snodi della Libia: le basi aree di Al-Khadim a est di Benghazi, sulla costa; quella di Giofra al centro-nord del Paese; quella di Ghardabiya vicino a Sirte, anch’essa sulla costa a 700 chilometri dall’Italia e anche quella di Brak al-Shati nel Sud-Ovest.
C’è poi il sospetto che i russi abbiano stabilito una presenza anche nella base aerea di Tamanhint, vicino a Sebha nel centro del Paese, a circa 1.100 chilometri dalla Sicilia. Quest’ultima sede è particolarmente sensibile, perché Mosca potrebbe aver localizzato lì lanciatori e missili a medio raggio in grado di raggiungere l’Europa meridionale. Gli osservatori più pessimisti ne sono sicuri, i più cauti collocano le probabilità di una presenza di missili russi a Tamanhint sopra al 50%.
A Tripoli il premier ufficialmente riconosciuto Abdul Hamid Dbeibeh, di cui gli Haftar sono rivali, appare sempre più debole: il calo del prezzo del greggio, la perdita della sua presa sulla società petrolifera nazionale e sulla banca centrale privano il premier di Tripoli del denaro da distribuire per mantenere la fragile tregua fra clan. Il Pentagono starebbe spingendo Dbeibeh a cercare di imporre il proprio potere a Tripoli con la forza, aumentando così la posta e i rischi…

Se gli USA hanno puntato su Tripoli , i russi – pur essendo presenti in tutto il paese – hanno invece scommesso di più sulla Cirenaica dove regna il generale Khalifa Haftar (foto sotto):
…Haftar invece sente a 81 anni di avere l’ultima occasione per imporre la sua autorità sull’intero Paese e garantire la successione ai figli. Oggi Saddam e Khaled sono insediati al vertice dei reparti mentre Belgassem si dedica alle relazioni economiche e diplomatiche con un aumento di visibilità nell’ultimo periodo. C’è chi ritiene che siano proprio gli eredi, spesso in contrasto tra loro, a spingere per una linea più dura nei confronti degli europei, facendo leva anche sulla pressione migratoria. In migliaia nelle scorse settimane sono salpati dalla Cirenaica verso Creta, mettendo in seria difficoltà il primo ministro Kyriakos Mitsotakis. Lo scorso 25 giugno Mitsotakis ha schierato la flotta e fatto la voce grossa con Tripoli: “Non siamo una vigna selvaggia”. E ha intensificato il dialogo con Dbeibah. Il clan Haftar non si è lasciato intimidire: lunedì e martedì 1400 migranti sono approdati a Creta, cinquecento questa mattina.
Atene era sempre stata vicina ad Haftar, ritenuto il contrappeso alla presenza turca a Tripoli. Adesso invece il maresciallo intende ratificare il trattato Libia-Turchia sullo sfruttamento delle risorse petrolifere sottomarine, che ignora le rivendicazioni greche e cipriote: un documento bocciato dal Consiglio europeo. La questione dei giacimenti infastidisce pure il Cairo, che nei giorni scorsi ha chiesto l’intervento di Washington per tutelare i suoi interessi. Nel frattempo gli Haftar moltiplicano i rapporti militari con Russia e Bielorussia. I velivoli di Mosca atterrano sempre più di frequente sugli aeroporti della Cirenaica e scaricano armi utilizzate per consolidare il controllo sul Fezzan, la terza regione del Paese ricca di campi d’estrazione…
Sotto: in giallo gli stati africani che hanno un accordo di cooperazione militare con la Russia (2024).

Conclusione:
- sul Piano Mattei per l’agricoltura non esiste chiarezza per quanto riguarda gli obiettivi finali ma anche sui progetti in corso. Il rischio è che si favoriscano, senza alcuna trasparenza, “gli amici degli amici” (Bonifiche Ferraresi e Coldiretti). Mentre la nostra agricoltura affonda.
- sui migranti il pregio di Giorgia Meloni è sicuramente stato quello di essersi mossa di persona, anche se l’esternalizzazione comporta il rischio della delega e del potere degli Stati africani, ai quali , però, sono stati tagliati pesantemente i fondi USAID: Filippo Grandi, alto funzionario delle Nazioni Unite per i rifugiati ha dichiarato che i tagli di bilancio “catastrofici” alla sua agenzia stanno già guidando più migrazione verso l’Europa. Il bilancio dell’UNHCR è stato drasticamente ridotto dopo che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha tagliato i finanziamenti del suo paese da 2 miliardi di dollari a circa 390 milioni di dollari quest’anno. Ma anche paesi europei come Francia, Italia e Germania hanno tagliato il sostegno, aggravando la crisi. L’agenzia delle Nazioni Unite ha lasciato andare un terzo del suo personale e ha messo in attesa programmi per un valore di 1,4 miliardi di dollari. Grandi si è detto molto preoccupato per la situazione in Tunisia e Libia (con il Ruanda) . La sensazione è che sulle vicende migratorie manchino una visione ed un coordinamento unitario (Stati – Nazioni Unite).
- le incognite nella zona sono rappresentate dalla forte presenza dei russi ma anche della Turchia e degli Stati Uniti che vorrebbero controllare il petrolio.
Sotto : areo russo Ilyushin 76 TD a N’Djamena, Ciad (2025)



