Con il passare del tempo e la diffusione di altri operatori (…), il nome “Supermarkets” inizia a creare qualche problema, perché non essendo registrabile espone l’azienda a non essere chiaramente identificabile dai clienti. Alla sua debolezza fa tuttavia da contraltare la forza del marchio, la “Esse” allungata disegnata da [Max] Huber. Il successo è tale, ci racconterà nostro padre, che un colosso industriale dell’epoca come la Carlo Erba, quando tenta di entrare nel business della grande distribuzione, utilizza anch’essa un’insegna che richiama la nostra. Lui reagisce aprendo un contenzioso legale per rivendicarne l’esclusività e, contemporaneamente, chiede a Huber di pensare a un’alternativa, nel caso perdessimo in giudizio. È così che nasce “Naturama”: un’intuizione brillante, che a nostro padre piace forse più dello stesso “Esselunga” ma che viene subito riposta in un cassetto, perché il Tribunale di Milano ci dà ragione e così viene meno la necessità di cambiare (…) Il marchio Naturama resterà in casa e, anche se fino al mio arrivo non verrà valorizzato come avrebbe potuto, rimane il fatto che nostro padre avesse intuito che la “naturalezza” di un prodotto fosse un modo per esaltarne la qualità, un principio da cui non derogherà mai. E sarà ancora lui, nuovamente assieme ad Armando Testa, a lanciare nel 1979 i primi prodotti a marchio Esselunga, affiancandoli ai nomi di fantasia che erano stati inventati dagli americani. (pp. 133 – 134).
“Sempre nel 1999, dopo la “mucca pazza”, che catalizzerà l’attenzione dell’Europa per un decennio, scoppia la crisi del pollo alla diossina. Noi però siamo ben messi: ormai da anni ho lavorato per rilanciare il marchio Naturama. E il “pollo Naturama” ci permette di passare senza contraccolpi anche attraverso queste nuove difficoltà. Raccogliamo così i benefici di una scelta che, alla fine degli anni ’90, ci spinge verso il biologico e ci dà il modo di differenziare il marchio Esselunga sui prodotti, conferendogli una connotazione di qualità che i concorrenti faticano a eguagliare. Fin da quando avevo mosso i primi passi in azienda discutevo del bio con nostro padre, nella cucina di casa, sempre in maniera sterile. In quel 1999, però, arriva il momento dove non si può più tornare indietro. Sono in auto con due dirigenti per un lungo viaggio e decidiamo di fare una linea a marchio privato “Bio”. Uscirà dopo sette mesi: un record. Ovviamente la nostra azione viene facilitata dalla necessità di fronteggiare le continue crisi alimentari ma l’idea di fondo è di puntare su tre diverse fasce di mercato: la più alta con il biologico, quella media con i consueti prodotti Esselunga e quella più bassa con il marchio del “primo prezzo”, che all’epoca si chiama Fidel e che deve rispondere alla necessità di avere prodotti “buoni per tutti”. Questi decisivi passi sono possibili grazie al lavoro che avevo compiuto dopo essere tornato da Chicago. All’epoca avevo ritrovato intatti i marchi che erano stati introdotti dagli americani trent’anni prima. C’erano i caffè Khan e Kegusto e diversi altri prodotti che utilizzavano nomi di fantasia come Briciola, Nutron, Maggiolino e Kekasa. Si trattava spesso di prodotti molto azzeccati, che facevano parte della nostra storia ma che iniziavano a mostrare l’usura del tempo, e soprattutto non ci permettevano di comunicare in modo uniforme ed efficace il fatto che Esselunga doveva essere associata alla qualità. Decidiamo così di abbandonarli per far spazio al lavoro iniziato con Violetta e con l’agenzia Armando Testa sulla comunicazione della qualità, che ha accompagnato l’affermazione dei marchi Esselunga, Esselunga Bio e Naturama, affiancati da Fidel per la fascia di prezzo più bassa.” (pp-184 – 185). “Nel 2003 (…) Naturama ed Esselunga Bio rappresentano ormai il 10 per cento del fatturato. (p. 206).
In copertina: Il bozzetto del marchio “Naturama” disegnato da Max Huber
