Il futuro, il dopo, il cosa ci sarà dietro l’angolo sembrano questioni prive di significato. Ma lo sono davvero? Il nostro Paese, tutti noi, possiamo permetterci di non avere una visione di insieme che consideri contemporaneamente quello che dobbiamo fare oggi ma cercando contemporaneamente di capire cosa possiamo fare per non compromettere il nostro domani?
A mio modesto parere non dobbiamo correre il rischio di trovarci nella condizione di quel chirurgo che ai congiunti in attesa di notizie sul loro parente ha risposto: “l’operazione è perfettamente riuscita, purtroppo però il paziente è morto”.
Ecco. Forse qui sta il punto.
Può un paese come l’Italia, con un debito come il nostro, con il rischio che i coronabond non si faranno mai, con un tasso di mortalità di fatto allineato alle medie degli altri paesi ( anche se noi siamo stati così maldestri di farci male da soli), davanti ad una pandemia di cui non conosciamo la durata, chiudersi in casa, spegnere tutto e smettere di respirare per non si sa quanto tempo e pensare di sopravvivere? Io penso di no.
Credo sia indispensabile cambiare punto di vista ed elaborare un altra strategia. E, soprattutto, bisogna farlo prima che sia troppo tardi. Molti hanno giustificato tutto questo paragonando la pandemia ad una guerra.
Aldo Cazzullo sul Corriere si interroga su cosa fu davvero il dopoguerra. “Non dobbiamo pensare che nella storia d’Italia il fotogramma successivo alla Liberazione sia l’autostrada del Sole, gli autogrill, la 600, i primi weekend, la scoperta delle vacanze al mare, la tv e gli elettrodomestici nelle case. Quella è storia di quindici anni dopo, e anche più. Il fotogramma successivo alla Liberazione sono bagni sul ballatoio, case di ringhiera, cucine economiche. Bambini che vanno a scuola a piedi con un pezzo di legno per contribuire ad accendere il fuoco e scaldarsi. Famiglie che si mettono in fila nelle stazioni sventrate dai bombardamenti ad attendere un treno che vada nella direzione in cui loro devono andare.
Questo non significa che noi dovremo soffrire altrettanto, superare le stesse prove. Significa che quando si usano parole come dopoguerra e ricostruzione bisogna sapere quello che diciamo. E la cosa più importante è questa: l’Italia fu ricostruita con il lavoro. Non redditi di cittadinanza per tutti. Un conto è dare oggi soldi in mano a chi non può fare la spesa; questo è giusto. Un altro conto è pensare che il futuro appartenga ai sussidi, a una garanzia universale finanziata dai surplus della rete o dalla benevolenza della Bce.”
E ciò che sarà il dopo, lo decidiamo ora. Per questo io credo sia necessario affrontare il tema di come e quando ha senso ripartire. E questa discussione non può essere lasciata ai virologi. È la politica che deve assumersene la responsabilità.
Quali rischi dobbiamo decidere di correre come comunità nazionale, quali condizioni di sicurezza sono indispensabili per consentire una ripresa graduale delle attività, quali fasce d’età possono prioritariamente essere impiegate. Parliamoci chiaro. Molte imprese e attività rischiano di scomparire. Non è vero che il dopo sarà uguale per tutti. Così come è scontato che ogni giorno che passa aumenta inevitabilmente il rischio per molti di non potercela fare. La cosa che non possiamo permetterci è l’indecisione.
Bertrand Russell diceva: “Nulla è così logorante quanto l’indecisione, e nulla è così futile”. È così. Non possiamo permettercelo.



