La foto in copertina è stata scattata vicino all’Esselunga di Piazza Ovidio, che era la zona del mercato dei polli – dove andavamo insieme la mattina – ed era vicina all’appartamento del “signor Luigi” [Guaitamacchi].
“Quando entro in Esselunga, nel 1986, trovo una realtà reduce da una straordinaria fase di sviluppo. Le fondamenta restano quelle lasciate dagli americani, che mio padre dal 1965 in poi non ha mai messo in discussione, seguendo con diligenza le loro direttive ma attuandole con grandi capacità.
Si possono identificare cinque punti essenziali.
In primo luogo, i supermercati devono essere supportati da un magazzino che li serva: “Non ci può essere una rete di supermercati senza un magazzino, e viceversa” è il primo comandamento che viene sempre ripetuto. Senza un magazzino vicino, infatti, nei prodotti alimentari rischi che i costi di rifornimento diventino troppo alti e anche di rimanere senza merce: nei freschi è un problema particolarmente serio perché i prodotti vanno riforniti sugli scaffali più volte al giorno.
Poi, secondo comandamento, la qualità e la convenienza: quel che non c’è si importa o si produce.
I marchi propri, con nomi di fantasia, sono il terzo pilastro: così come le grandi marche, anch’essi devono avere prezzi bassi, accessibili a tutti.
Il quarto punto di forza è l’impostazione tecnica e gestionale: i dipendenti devono osservare una disciplina da Marines e il costo del personale dev’essere contenuto.
L’ultimo comandamento è la legge di [Richard] Boogaart [il manager del Kansas cui si deve, insieme ad altri manager americani, la base del successo di Esselunga, N.d.R.] (…): mai aprire un supermercato a Roma. Con mio padre il negozio più a sud sarà quello di Arezzo.
Ricordo discussioni infinite, fino a quando sarò in azienda, perché a me sembrava normale allargarci verso sud. Nei suoi ultimi anni di vita, si farà convincere dal marito di mia sorella Marina ad aprirne uno ad Aprilia e due a Roma, questi ultimi inaugurati quando ormai non ci sarà più. L’esecuzione non sarà da lui: saranno i primi senza un magazzino in zona che possa servirli (…).” (CAPROTTI, Le ossa, pp. 132 – 137).
Luigi Guaitamacchi, un dirigente che era in azienda prima di Bernardo e aveva lavorato con gli americani [dai quali era stato assunto], mi raccontava che, a quei tempi, se un giorno non c’era abbastanza lavoro, si stava a casa (…)” (CAPROTTI, Le ossa, pp. 63-64 e p. 132).
“Il mio percorso [in Esselunga] inizia all’ufficio tecnico, costruzione e manutenzioni (…). Agli acquisti dei freschi mi fa da tutor Luigi Guaitamacchi, capo degli acquisti di carni, latticini e salumi. Venuto su dalla gavetta, parla un po’ dialetto e un po’ italiano. È un professionista serio, che tutti i giorni va al mercato generale di via Lombroso alle sei del mattino per gli acquisti dai fornitori già selezionati e per tenere d’occhio come si muove il mercato. E io con lui (…)”. (Ibid., p. 137).
Di sicuro, Luigi Guaitamacchi era un uomo dal carattere forte, non sarebbe riuscito altrimenti a rimanere nella “cerchia interna” dei fedelissimi di mio padre, anche sfruttando l’indubbio vantaggio di essere stato uno dei primi assunti in quella nuova, incredibile realtà che è stato il “supermercato degli americani” negli anni Cinquanta.
Per me è rimasto però uno degli uomini che mi hanno insegnato il mestiere [di distributore], e di questo gli sono e sarò sempre grato.
Una curiosità finale : tra le foto sotto se ne vede una di due clienti davanti al banco carne del primo supermercato di Regina Giovanna. Essa è tratta dal volume The International Basic Corporation. Thirteenth Case Study in an NPA Series on United States Business Performance Abroad 1968, National Planning Association, Washington D.C. 2009 di Wayne G. Broehl , vicepresidente della IBEC. Esso è citato a pagina 49 del mio libro.
Per la gestione del reparto carne era stato dato un contratto a un consulente americano, Duane Horney, “come responsabile e istruttore del settore macelleria” e “la carne a self service fu inizialmente un flop. Solo dopo molti mesi di sforzi la IBEC riuscì a persuadere la massaia italiana ad adattarsi al fai-da-te anche in questo campo”.. (ibid. p.65 e p. 51)


