Nella seconda metà dell’Ottocento, Giuseppe e Carlo Caprotti portano la ditta a livelli davvero competitivi grazie a un massiccio progetto di meccanizzazione e modernizzazione che consente alla Caprotti di espandere i propri commerci, dopo l’Unità d’Italia, sui mercati dell’intera penisola e anche all’estero.
L’INDUSTRIA ALBIATESE, L’INDUSTRIA SVIZZERA
Caprotti
Honegger/Rüti
Sulzer
Numerosi sono i documenti sul periodo che vede la Caprotti trasformarsi in impresa accentrata a lavorazione meccanica, cosa che avviene tra mille difficoltà dovute soprattutto all’imperizia del personale impiegato, alla scarsa conoscenza tecnica e all’ambiente ancora profondamente agricolo, quindi sostanzialmente refrattario alle novità. Nei primi tempi errori grossolani e inesperienza provocano gravi danni e notevoli ritardi, e probabilmente i Caprotti avrebbero fallito nel tentativo se non si fosse verificato anche per loro quel curioso effetto del processo d’industrializzazione che spinge i paesi più avanzati a esportare tecnologia nelle zone arretrate del mondo. Nel caso dei Caprotti, il “mentore” è soprattutto la casa svizzera Caspar Honegger. Sarà questa a preparare il progetto dell’impianto per tutto quanto riguarda la base di partenza del ciclo produttivo (dal numero e qualità dei telai al progetto della tintoria), ed è Caspar Honegger a trattare per la Caprotti l’acquisto di una caldaia e di una motrice presso i fratelli Sulzer di Winterthur, e insieme a questi ultimi li assiste pure in quella che è una delle loro più grandi difficoltà, il montaggio dei macchinari, grazie all’invio di operai montatori e capi-operai. Non ultimo, è Honegger ad accogliere Carlo Caprotti dal febbraio al maggio 1869 in un vero e proprio viaggio d’istruzione, durante il quale segue il progetto di meccanizzazione dell’azienda e apprende la conoscenza della tecnica delle macchine e del sistema di gestione di un’industria moderna.
Mentre Carlo è in Svizzera, a Ponte Albiate la situazione presenta risvolti addirittura umoristici: misteriose macchine mal montate che non funzionano attorniate da curiosi e dai soliti “esperti” che non lasciano lavorare il tecnico straniero di turno, operai che s’aggirano per le sale senza sapere esattamente cosa fare, tecnici che cercano di far funzionare una modernissima caldaia a coke con la segatura di legno. La produzione cala paurosamente perché nessuno è abituato a sostenere i nuovi ritmi di lavoro, e gli impiegati riempiono i libri contabili secondo criteri cervellotici, dato che i nuovi processi produttivi richiedono una contabilità assai complessa di cui non sanno nulla.
In realtà, al di là dei risvolti comici inevitabilmente connessi a tutto ciò che è maldestro e impacciato, quella che si svolgeva nella piccola ditta in riva al Lambro era un pezzettino di rivoluzione industriale, con tutti i traumi, le contraddizioni e le difficoltà che ciò poteva presentare.
Ovviamente non è che, compiuta finalmente la fabbrica “meccanica” – che verrà sempre implementata con nuovi e più moderni macchinari, nonostante i continui litigi tra fratelli -, le difficoltà siano finite. Ne è un esempio l’impianto d’illuminazione, come si può ben capire importantissimo in una realtà produttiva. Fin dal 1876, per l’illuminazione degli stabilimenti i Caprotti optano per un moderno impianto a gas straricco (prodotto dal petrolio) che alimenta 250 fiamme, affidandone il progetto e l’esecuzione all’ingegner A. Redaelli di Milano: l’insuccesso è strepitoso. In un solo giorno, il 16 novembre 1878, l’amministratore della Caprotti, Mauro Rho, scrive al Redaelli due lettere. La mattina lamenta che la macchina non parte, il v[ostr]o operaio incolpa di ciò di non avere la massa o che so io./Oggi però buona parte della giornata non li ho veduti in stabilimento e credo siano all’albergo a far gas./ Scusate se devo ripetervi che comincio ad infastidirmi. Al pomeriggio il Rho prosegue, tra il furibondo e l’ironico: Continuo la mia di oggi./L’illuminazione dello stabilimento questa sera fa pietà; con lampade primitive ad olio sarebbe più ricca./Le sale puzzano, i v[ost]ri operai sono ubbriachi./Sono stanco e arcistranoiato; domani recatevi qui a prendere i v[ost]ri operai e dopodomani comincerò l’illuminazione colla lucilina [il petrolio, lavorato e schiarito a uso delle lampade]. La vicenda, sempre con risvolti tra il comico e il grottesco, si trascina fino al 1880, quando i Caprotti si decidono a scacciare finalmente il Redaelli, trascinandolo poi, peraltro inutilmente, nelle aule di tribunale per tentar di ottenere un risarcimento dei danni subiti.
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Fonti e bibliografia di riferimento:
Albiate, Villa San Valerio, Archivi San Valerio, Archivio Manifattura Caprotti
R. ROMANO, I Caprotti; l’avventura economica e umana di una dinastia industriale della Brianza, Milano, 20082 (specialmente pp. 86-109)
Sulzer, Sustainably successful since 1834 (https://www.sulzer.com/en/about-us/our-company/history ).
M. LEONHARD: “Maschinenfabrik Rüti”, in: Historisches Lexikon der Schweiz (HLS), Version vom 29.10.2009. Online: https://hls-dhs-dss.ch/de/articles/041807/2009-10-29/ , konsultiert am 08.10.2024.
G. CAPROTTI, Le ossa dei Caprotti. Una storia italiana, Milano, 2023


