Redatto l’11 gennaio, aggiornato il 10 agosto 2025
Da uno spunto di Enzo Di Rosa su LinkeDIN
A cosa è servito il marchio “Firmato Dagli Agricoltori Italiani” di Filiera Agricola Italiana Spa (#Coldiretti) basato su un modello gestionale etico?
Evidente a niente, se all’interno di filiera Italia nasce ‘’Filiera Pasta’’, l’ennesimo marchio lanciato da Coldiretti alla presenza del Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste Francesco Lollobrigida e del presidente di Coldiretti Ettore Prandini.
Se l’obiettivo è quello della tracciabilità lungo la filera, l’innovazione della produzione per aumentare produttività e sostenibilità, assicurare una più equa ripartizione del valore aggiunto tra le varie fasi della filiera a partire dalla produzione agricola nazionale, in cosa si differenzia dal marchio “Firmato Dagli Agricoltori Italiani” di filera Italia?
E se l’obbiettivo è quello di spiegare ai consumatori che spendere qualche centesimo in più quotidianamente per un prodotto italiano di migliore qualità conviene, aiuta ad assicurare una più equa ripartizione del valore, non è prendendo in prestito le nostre parole sul #giustoprezzo, se poi non si è in grado di spiegare (come abbiamo fatto noi) quanti centesimi in più occorrono in un pacco di pasta per remunerare un prezzo equo ai prodotti.
Al di là delle distorsioni propagandistiche sulla demonizzazione del grano estero, la triste verità è che nel mercato globale l’Italia non può competere sul piano dei costi con Europa dell’Est o Sud America, che, riescono a imporre prezzi stracciati grazie ai bassi salari e a standard di produzioni diversi. Con poco meno di 1,3 milioni di ettari e una produzione che oscilla intorno alle 4 milioni di tonnellate, riusciamo a coprire due terzi del nostro fabbisogno interno. Il resto del grano duro – circa 2,5 milioni di tonnellate – arriva dall’estero (Canada, Ucraina e Russia in primis).
Se la politica volesse davvero incentivare e sostenere gli agricoltori italiani in difficoltà, potrebbe aiutarli ad ammodernare i centri di stoccaggio cerealicoli considerati, dai più, l’anello debole della filiera, perché non in grado di diversificare le partite di grano in entrata e in uscita nei magazzini (per provenienza, ad esempio, peso specifico o contenuto proteico) anche in funzione della tracciabilità della filiera. Gestire meglio la temperatura e l’umidità nell’ambiente di conservazione permetterebbe di limitare i principi attivi tradizionalmente usati in fase di conservazione, anche se ammessi dalla legge.
Dobbiamo essere sicuri che i produttori si guadagnino da vivere quando acquistiamo i loro prodotti…

In effetti c’è una bella differenza tra la tutela degli agricoltori, attraverso, ad esempio, la limitazione delle pratiche sleali, e la produzione di “un pò di pasta” : nel secondo caso gli investimenti per emergere, la professionalità, etc. che ci vogliono sono tanti e differiscono moltissimo dalla attività politica di Coldiretti o dall’attività agricola di Bonifiche Ferraresi.
BF fà anch’essa pasta e dichiara di farlo per aumentare il reddito degli agricoltori ma, viste le sue promozioni, sembra non può riuscirci.
p.s.: non paga di questa iniziativa Coldiretti ha allargato lo spettro delle dichiarazioni a proposito di questo prodotto, ormai presente da Lidl e da Carrefour (ma il logo c’è anche su prodotti industriali come Rigamonti e Coricelli)
Come riporta il Enzo di Rosa dal sito di Coldiretti :
‘’il progetto Fdai – Firmato dagli agricoltori assicura trasparenza: su tutti i processi nodali decisionali nell’ambito della filiera”.
E poi: “Una filiera di produzione sostenibile che riconosce il valore del lavoro agricolo, attraverso un sistema che promuove un’adeguata remunerazione, la trasparenza e la certezza della filiera produttiva, il rispetto della terra, degli animali e dell’ambiente”.
Purtroppo il sito manca di ulteriori approfondimenti…



