La Lombardia ed il Veneto , hanno adottato due strategie di approccio completamente diverse e ben espresse dal professor Andrea Crisanti.
Le due regioni hanno densita’ abitativa diverse ma alcuni numeri pero’ emergono in maniera chiara, la Lombardia ha:
- una % di contagiati per ogni 100’000 abitanti di 1,5 volte piu’ alta del Veneto (258 vs 168 )
- una % di morti per ogni 100’000 abitanti di ben 7,4 volte piu’ alto del veneto. (72 vs 10 )
cosa ha fatto di diverso il Veneto rispetto alla Lombardia ? Con un approccio strategico diverso, ha combattuto il virus sul territorio e non negli ospedali e cioè:
1) piu’ tamponi ( il doppio nel Veneto) per nr di abitante (2165 vs 1139 )
2) meno ricoveri ( il 66% in meno) per nr di abitanti ( 42 vs 133 ).
Sul punto 2) apro una parentesi personale (Giuseppe Caprotti) : conosco varie persone che sono morte a seguito di un’infezione contatta in ospedale.
Ma sentiamo cosa ha detto il prof. Andrea Crisanti a radio Capital. Sotto, invece, trovate un’altra intervista
“La maggior parte delle persone che ha gestito quest’epidemia l’ha vista in tv e l’ha continuata a vedere in tv.
Avrei trasferito gli uffici della Protezione Civile, del direttore dell’Istituto Superiore di Sanità, del consigliere del governo a Milano o a Bergamo, per vedere quello che stava succedendo sul territorio.
Forse si sarebbero resi conto della dimensione del problema”: questo ha affermato Andrea Crisanti, professore ordinario di microbiologia all’Università di Padova, ai microfoni di Circo Massimo su Radio Capital.
Secondo il professore, c’è stato un grosso errore di valutazione all’inizio: “I dati stavano davanti agli occhi tutti. A Vo’ Euganeo, il 20 febbraio, c’era il 3% della popolazione infetta. Un dato che, trasportato su scala nazionale, dà la cifra di un milione e mezzo di persone”. All’epoca si parlava anche di una riapertura delle attività nel breve termine. E Conte, in un’intervista al quotidiano spagnolo ‘El Pais’, ha dichiarato che, se potesse tornare indietro, si comporterebbe allo stesso modo: “I risultati sono sotto gli occhi di tutti, gli italiani hanno visto quello che è successo – insiste Crisanti -. Se le autorità politiche pensano di rifare le stesse cose, io sono un po’ sorpreso”.
Per il microbiologo, “la battaglia contro l’epidemia va vinta sul territorio”: è necessario identificare le persone infette, sia sintomatiche sia asintomatiche e isolarle. “Meno persone contagiano, meno persone arrivano nei reparti di malattie infettive e vanno in rianimazione – aggiunge -. All’inizio non si è capita questa cosa e si è pensato che la battaglia si sarebbe vinta negli ospedali. Ma nessuna battaglia è stata mai vinta negli ospedali”. Ogni territorio inoltre richiede uno specifico trattamento: “Ad esempio la Sardegna ha un problema diverso dalla Lombardia e richiede un approccio totalmente diverso – afferma -. Se non affrontiamo il problema con questo metodo, sarà sempre più difficile uscirne”.
“In questo momento c’è ancora trasmissione: i casi non diminuiscono, abbiamo una leggera diminuzione nel numero dei morti. Ma come mai, nonostante tutte queste misure di restrizione, abbiamo ancora trasmissione? Ci si è chiesto se tutte queste persone che sono malate a casa hanno un impatto sulla trasmissione ad altri membri della famiglia? – osserva il professore ordinario di microbiologia all’Università di Padova a Radio Capital – noi abbiamo sotto gli occhi gli esempi opposti di Vo’ Euganeo e della nave Diamond Princess.
A Vo’, dopo il primo caso, abbiamo testato tutti, abbiamo visto dove stava l’infezione e abbiamo messo i casi in isolamento. Sulla Diamond Princess hanno usato l’approccio contrario. Hanno aspettato che una persona si sentisse male per portarla via dalla nave e questo ha creato il disastro con decine di casi. Il problema è che questa trasmissione residua avviene nelle case, amplificato dal fatto che molte persone malate sono rimaste a casa senza diagnosi” .
Quando e come ripartire? Secondo il prof. Crisanti “bisogna cominciare da subito a prepararsi per quel momento, è impensabile ritenere che si ripartirà quando tutti i casi saranno identificati. Bisognerà ripartire con un rischio accettabile, significa che adesso dobbiamo prepararci, producendo e stoccando dispositivi di sicurezza come mascherine e aumentare drammaticamente la capacità di fare tamponi per verificare la presenza degli anticorpi”.
“Si può ripartire solo quando avremo messo in piedi una struttura di protezione e una rete di controllo, altrimenti scoppia un’epidemia ancora peggiore di quella che abbiamo adesso – conclude -. Dopo Pasqua potremo anche vedere una diminuzione dei casi e dei morti, ma se non ci si prepara non saremo pronti a ripartire.
Come fa una fabbrica a rimettere nelle proprie strutture mille persone senza mascherine o senza vedere se ci sono infetti? Sarebbe una follia.
La preparazione necessaria per la ripartenza consiste nelle tre ‘d’: diagnostica, dati e dispositivi”.
Sulle responsabilità, molto simili, di Regione Lombardia e del governo puoi leggere qui



