Redatto il 12 agosto, aggiornato il 31 ottobre 2024
Perché i pomodori hanno perso il sapore di una volta?. Sopra pomodori raccolti nel mio orto.
Chi non si è mai fatto questa domanda? Il giornale francese 60 millions de consommateurs assieme agli esperti dell’Istituto pubblico di agricoltura mette in fila le varietà che si sono succedute da un secolo a questa parte e le conseguenze per il gusto dei pomodori
Negli ultimi decenni, il sapore dei pomodori è diventato un tema ricorrente nelle discussioni tra consumatori, esperti e produttori. In Francia, la rivista 60 Millions de Consommateurs ha tentato di dare una risposta a una convinzione ricorrente in molti consumatori, che potremmo riassumere in “Perché i pomodori non hanno più il sapore di un tempo?”, raccogliendo le opinioni di ricercatori e agricoltori e delineando un quadro complesso che coinvolge le pratiche agricole, l’industrializzazione della produzione e le aspettative dei consumatori.
Un sapore ormai lontano
Negli anni ’50, i pomodori erano coltivati quasi esclusivamente all’aperto, sfruttando le risorse naturali del terreno e del sole. Le varietà utilizzate erano quelle tradizionali, dette “antiche”, che producevano frutti caratterizzati da una grande variabilità in termini di forma, dimensioni e consistenza. Questi pomodori, sebbene vulnerabili alle malattie e soggetti a spaccarsi facilmente durante i temporali estivi, offrivano un’esperienza gustativa ricca e complessa, legata alle condizioni specifiche del territorio.
Tuttavia, con l’avvento delle tecniche di selezione e miglioramento genetico, gli agricoltori hanno iniziato a cercare varietà più resistenti e produttive. Mathilde Causse, direttrice di ricerca all’INRAE (Institut national de recherche pour l’agriculture, l’alimentation et l’environnement), spiega al giornale francese che il focus iniziale della selezione era migliorare la resistenza alle malattie, introducendo geni da specie selvatiche. Questo processo, che richiedeva oltre un decennio per sviluppare nuove varietà, segnò l’inizio di un cambiamento profondo nel panorama della coltivazione dei pomodori.
L’industrializzazione della produzione
Negli anni ’60, con l’espansione delle colture in serra e la crescente domanda di pomodori, soprattutto fuori stagione, la produzione cominciò a spostarsi verso un modello più industriale. Le nuove varietà, sviluppate per produrre frutti di forma e dimensioni omogenee, si distinguevano per la loro capacità di resistere meglio alle malattie e di garantire raccolti abbondanti. Tuttavia, il gusto passò in secondo piano rispetto alla necessità di ottimizzare la produzione.
Le prime varietà ibride F1, frutto dell’incrocio di due varietà geneticamente distinte, offrirono risultati eccezionali in termini di produttività e resistenza, ma non altrettanto in termini di sapore. Negli anni ’80, con l’aumento della produzione in serre riscaldate e il desiderio di avere pomodori disponibili tutto l’anno, si accentuò il problema. Le condizioni di coltivazione invernale, con meno ore di sole, non consentivano ai frutti di sviluppare pienamente gli zuccheri necessari per un sapore ricco.
Completa il quadro Duccio Caccioni, direttore di mercato Caab-Centro Agroalimentare di Bologna.
“I pomodori che troviamo da alcuni decenni sul mercato sono stati creati in Olanda negli anni Ottanta. – Dice Caccioni – Chiamati beef dall’inglese ‘bistecca’, sono grandi, rossi e molto resistenti. La prima varietà di questo tipo, con il nome di Daniela, ha raggiunto un successo globale a metà di quel decennio. Fondamentale per il loro sviluppo è stata la scoperta dei geni rin e nor, che controllano la maturazione: quando questi geni sono presenti nel DNA delle piante, la maturazione è rallentata e i pomodori si possono conservare a lungo.
Questa caratteristica, che può comparire naturalmente nei pomodori, è stata selezionata e sfruttata per produrre numerose varietà con lunga shelf-life. C’è però un problema: l’attività di questi geni inibisce il metabolismo secondario, cioè una serie di reazioni chimiche che permettono la formazione delle numerose sostanze responsabili del profumo e del sapore del frutto. Ecco perché i pomodori che troviamo al supermercato non sono mai molto saporiti.”
n.b. : la genetica ha permesso l’industrializzazione, con l’abbassamento dei prezzi, rendendo i prodotti più accessibili ma ha impoverito la biodiversità. I miei ricordi di Esselunga sono che anche nella carne, ad esempio, questa selezione genetica – da tante razze di maiali, ad esempio, a molto poche – ha sicuramente peggiorato la qualità dei prodotti finali (es. cosce utilizzate per fare i prosciutti).
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