Allarme pasta, rischio scaffali vuoti da inizio 2022 e prezzi alle stelle
Gli esperti prevedono rincari superiori al 20% al pacco per Natale. Ferro (ad Molisana): «Tra marzo e maggio non avremo abbastanza grano. Nemmeno durante la guerra ne mancò così tanto grano»
GIULIANO BALESTRERI
25 Settembre 2021
Dopo il caro bolletta, a spaventare il governo è il caro pasta. Nella grande distribuzione gli aumenti sono già scattati, ma la vera stangata potrebbe arrivare intorno a Natale, quando gli esperti temono aumenti nell’ordine dei 15-20 centesimi al pacco. Un rincaro in molti casi superiore al 20% che rischia di mandare in crisi i conti delle famiglie italiane.
Una tempesta perfetta che parte da lontano e si intreccia con il cambiamento climatico. L’ultima estate è stata devastante: il caldo ha travolto il Canada e distrutto i raccolti di grano. La produzione del primo fornitore estero dei produttori italiani si è più che dimezzata: da 6,5 a 3,5 milioni di tonnellate. Abbastanza perché in un’intervista al Sole 24 Ore, Giuseppe Ferro, amministratore delegato di La Molisana (il terzo pastificio italiano per valore, ndr) dicesse: «Tra marzo e maggio non avremo abbastanza grano per fare la pasta. Nemmeno durante la guerra mancò così tanto grano».
D’altra parte, il trend continua da inizio anno: nel 2021 il prezzo del grano duro è salito del 60% ed entro dicembre potrebbe aumentare di un altro 15%. Anche perché secondo Riccardo Felicetti, presidente dell’associazione dei pastai, il gruppo Pasta di Unione Italiana Food, «da tre anni a questa parte – ha detto al Corriere della Sera – i consumi mondiali di pasta superano la produzione, sia per l’aumento stesso dei consumi, sia per una non adeguata risposta della produzione». In concreto vuole dire che mancheranno circa 3 milioni di tonnellate di grano duro. E di conseguenza, il prezzo non potrà che aumentare perché la pasta sugli scaffali sarà sempre meno.
Secondo Coldiretti, il balzo dei prezzi della pasta può essere affrontato con una adeguata programmazione che consenta di aumentare la produzione di grano duro italiano in una situazione in cui l’Italia importa circa il 40% del grano di cui ha bisogno. Quindi, per fermare le speculazioni e garantire la disponibilità, gli agricoltori insistono affinché si lavori ad accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi a prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali. «Ci sono le condizioni per incrementare la produzione di grano in Italia dove – precisa la Coldiretti – è peraltro vietato l’uso del diserbante chimico glifosato in preraccolta, a differenza di quanto avviene in Canada. L’Italia è il secondo produttore mondiale con un quantitativo di 3,85 milioni di tonnellate ma è anche il principale importatore perché molte industrie anziché garantirsi gli approvvigionamenti con prodotto nazionale hanno preferito acquistare sul mercato internazionale approfittando delle basse quotazioni dell’ultimo decennio».
La situazione, però è cambiata anche in seguito all’obbligo di indicare in etichetta l’origine del grano che ha favorito il boom delle paste 100% Made in Italy: «Ci sono le condizioni per investire sull’agricoltura nazionale che è in grado di offrire produzioni di qualità realizzando rapporti di filiera virtuosi con accordi che valorizzino i primati del Made in Italy», ha concluso il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini.
Non si tratta della “solita propaganda di Coldiretti” poichè si è mossa anche Federalimentare, che fa parte di Confindustria (*) : Pasta, latte, carne: rincari alle stelle. L’allarme di Federalimentare: “I prezzi dei cereali sono saliti del 30-50%”.
(*) anche se va detto che l’associazione industriale ha bisogno di “fare grancassa”, prima dei rinnovi contrattuali con la GDO.
Dei cambiamenti, dovuti anche alle anomalie climatiche, abbiamo già parlato a proposito del vino
Il settore dell’olio ha gli stessi problemi:

Anche Federalimentare, dopo Coldiretti, parla di “rischio scaffali vuoti”.
Sarà così infatti anche per granoturco e soia.
Stessa situazione per il riso.

Nel cibo, poi, a differenza di altri settori, l’inflazione è probabilmente destinata a rimanere (“L’inflazione sul cibo è arrivata e rimarrà“).
In Gran Bretagna, con l’effetto Brexit, “penuria + inflazione”, rischia di essere aggravato dalle difficoltà doganali, dall’uscita dal sistema metrico, dal problema del non reperimento di lavoratori, etc.
A farne le spese, nel mondo, saranno comunque i paesi più poveri (lo diciamo dal 2020), tendenza che è stata riconfermata nel 2021.
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Pubblicato il 26 settembre ed aggiornato il 7 ottobre 2021



