Sopra pubblicità dell’Armando Testa, voluta e gestita da Giuseppe e Violetta Caprotti
Articolo redatto il 24 giugno e aggiornato l’11 luglio 2021
Premessa
L’articolo che segue svela fatti nuovi o mali antichi ma mi vede completamente d’accordo con quanto riferisce Milena Gabbanelli.
Ciò detto credo sia importante premettere che la cinese Syngenta, uno dei priù grandi colossi dell’agribusiness al mondo sta cercando di comprare un’azienda romagnola di sementi e sviluppando prodotti agricoli sul nostro territorio.
- Si dice dietro le quinte che Syngenta e Cic siano disposte a pagare anche 200 milioni per fare di Verisem il perno dei loro “falsi veri” ortaggi italiani, che in pochi anni soppiantino per gusto e prezzi gli originali. Che beffa sarebbe se il vettore di questa sostituzione fosse l’azienda nata nei frutteti romagnoli mezzo secolo fa.
- …Syngenta ha scommesso sul digital food marketing per far conoscere ai consumatori “iLcamone, quello vero”, l’autentico pomodoro Made in Italy coltivato in esclusiva da quattro aziende selezionate. Dalla scelta come testimonial di Sonia Peronaci, food influencer da 1,5 milioni di follower che oggi è diventata una vera e propria madrina del brand, al coinvolgimento di altre cinque food blogger, la strategia di comunicazione ha portato i suoi frutti. “Abbiamo conquistato l’engagement di un milione di utenti”, rivela Elena Secchi, marketing operation lead di Syngenta Italia e responsabile comunicazione de iLcamone… (da questo articolo)
- Per un altro esempio, che conferma la “regola”, leggi Grano: il marketing di Syngenta
Pomodoro: come si distrugge l’eccellenza del Made in Italy
– di Milena Gabanelli e Francesco Tortora
Possibile che l’Italia, da Paese di riferimento mondiale per la produzione e lavorazione del pomodoro, perda ogni anno posizioni? Se guardiamo ai numeri del 2020 si vede che è stata un’annata record per il settore delle conserve, dove l’Italia si conferma leader con 5,1 milioni di tonnellate di pomodoro trasformato, una quota di produzione mondiale del 13% e un fatturato di 3,5 miliardi di euro. Fanno meglio gli Stati Uniti: oltre 10,2 milioni di tonnellate trasformate grazie alla California, che è la prima area produttiva al mondo. Ma il secondo posto ci è è appena stato scippato dalla Cina, con 5,8 milioni di tonnellate.
Crescono le vendite
Certamente siamo leader nella produzione ed esportazione di derivati del pomodoro destinati al consumatore finale. Parliamo di frutti raccolti qui, trasformati, e venduti in scatola o in bottiglia sotto forma di pelati, passate o polpe. Le aree di coltivazione e trasformazione sono due: — il distretto Nord — guidato dalle province di Piacenza, Ferrara, Parma e Mantova – e quello Sud dove la coltivazione si concentra nelle aree di Foggia, Caserta e Potenza, mentre le fabbriche di conserve si trovano nell’Agro nocerino-sarnese in Campania. Le vendite al dettaglio hanno registrato un incremento del 7% su base annua e le esportazioni del +8%. Nei primi due mesi del 2021 le vendite al dettaglio sono cresciute del 5% e si prevede che la stagione si chiuda con l’azzeramento degli stock in magazzino. Ma dietro ai numeri positivi c’è una filiera sempre più in difficoltà.
Prezzi bassi e meno superfici coltivate
Per gli oltre 8 mila produttori i guadagni sono troppo scarsi, in cinque anni le superfici coltivate si sono ridotte di quasi 8.000 ettari passando dai 73.240 del 2015 ai 65.600 del 2020. Il prezzo del pomodoro, fissato per la campagna 2021 nel Nord Italia a 92 euro a tonnellata (+1,25% rispetto all’anno precedente), non pareggia l’aumento dei costi di produzione sostenuti dagli agricoltori nell’anno del Covid. Al Sud invece i prezzi di riferimento sono rimasti uguali al 2020 (105 euro a tonnellata per il pomodoro tondo, e 115 per quello lungo) ma potrebbero variare appena inizia la campagna stagionale in estate.
Il raccolto
La manodopera nei campi è via via sostituita dalla raccolta meccanica (l’85% del totale), ma al sud continua ad essere schiavizzata, nonostante la legge contro il caporalato del 2016. Nella raccolta a mano vengono impiegati gli immigrati, africani, bulgari, romeni. Chi ha un regolare contratto guadagna circa 45 euro al giorno. Il grosso però lavora a cottimo e in nero: 4 euro per ogni cassone da 3 quintali. Se riesci a riempirne 20 puoi anche arrivare a 80 euro, ma poi devi dare al caporale dai 2 ai 5 euro per trasporto ai campi, dai 20 ai 50 centesimi per ogni cassone raccolto.
Vedi anche : Morto a 27 anni di caldo e sfruttamento: Camara lavorava nei campi per 6 euro all’ora
Chi ci guadagna sempre
È la grande distribuzione a svolgere un ruolo centrale nella compressione dei prezzi, sia dei prodotti trasformati sia della materia prima: attraverso gare al ribasso, stabilisce il valore dei pomodori già prima della stagione di produzione, quindi senza conoscere quantità e qualità del raccolto.
La maggioranza delle 115 aziende conserviere (erano 178 nel 2010) si trova al Centro-Sud, dà lavoro a 10 mila dipendenti (i lavoratori fissi erano il doppio dieci anni fa) e a 20 mila stagionali: per stare sul mercato vende a prezzi più bassi di quelli di produzione. Un meccanismo che si ripercuote su tutta la filiera. «Avendo pre-venduto a prezzi bassissimi — denuncia il Terzo Rapporto della Campagna Filiera Sporca — l’imprenditore dovrà rifarsi sul produttore, imponendogli prezzi d’acquisto sempre più bassi e cercando appena possibile di svincolarsi dagli obblighi contrattuali che già prevedono condizioni al limite della sussistenza per gli agricoltori».
Cosa si vende sul mercato interno ed estero
Gli italiani consumano circa 30 kg a testa all’anno di derivati del pomodoro. Nel 2020 il prodotto più venduto sui nostri scaffali è stata la passata (54%), seguita da polpe (21%), pelati (11%) e sughi pronti (10%). Le aziende di trasformazione compensano la scarsa redditività interna con il mercato estero dove il marchio «Made in Italy »è il più venduto: i pelati (39%), seguiti dalle passate (37%) e dai concentrati con 12-30% di sostanza secca (20%). Più del 60% della produzione totale infatti finisce oltreconfine: le conserve nel 2020 sono state i prodotti agroalimentari con il miglior saldo della bilancia commerciale e un attivo di 1,7 miliardi di euro.
Le frodi: aumentano i sequestri
L’industria conserviera è stata colpita negli ultimi due mesi da una scia di sequestri da parte dei Carabinieri del Reparto Tutela Agroalimentare che hanno coinvolto aziende importanti, come il gruppo toscano Petti e il campano Attianese. Al primo sono state confiscate 4 mila tonnellate di conserve e semilavorati realizzati con pomodoro cinese e pronti ad essere venduti come «100% italiano». Al secondo 821 tonnellate di concentrato contaminato da alti livelli di pesticidi e proveniente dall’Egitto. In entrambi i casi il pomodoro sarebbe stato commercializzato sul mercato italiano ed estero. Un ulteriore sequestro è avvenuto a metà giugno in un deposito a San Marzano sul Sarno, patria dell’omonima varietà di pelato Dop, con la confisca di 270 tonnellate di conserve di dubbia provenienza. La legge impone di indicare in etichetta l’origine dei derivati del pomodoro destinati al mercato italiano. Ma per i prodotti venduti fuori dai confini, per scrivere «Made in Italy» è sufficiente che sia fatta in Italia la lavorazione finale.
Boom di importazioni dalla Cina
Negli ultimi anni — dichiara Coldiretti — è cresciuto il giro d’affari di derivati che arrivano dall’estero, quasi metà dalla Cina: la maggior parte in fusti industriali da 200 chili di concentrato da rilavorare e confezionare. Molte delle fabbriche cinesi coinvolte si trovano nello Xinjiang, la regione abitata dalla minoranza perseguitata degli uiguri, che secondo il libro «Rosso marcio» di Jean-Baptiste Malet sono impiegati anche nella raccolta come lavoratori forzati stagionali.
In 30 anni Pechino, che ha costi di produzione enormemente bassi, è diventata il secondo player mondiale. Tra 2018 e 2020 le importazioni dalla Cina sono passate da 35.200 a 68.600 tonnellate, trasformando il Paese asiatico nel primo fornitore dell’Italia. E quest’anno i volumi aumenteranno ancora: già a febbraio sono entrate 18.500 tonnellate di prodotti (erano 13.400 nello stesso periodo dell’anno scorso).
La scomparsa del San Marzano
L’industria conserviera, che resta un settore strategico dell’economia italiana, ha problemi strutturali che prima o poi dovrà affrontare. Tra questi c’è la grave crisi del pelato: cresce esclusivamente al Sud e rappresenta la massima eccellenza del pomodoro italiano. La produzione sta calando drasticamente anno dopo anno, e secondo imprese e agricoltori è dovuto al fatto che i consumatori preferiscono passate e sughi pronti. È evidente che sul lungo periodo il pelato italiano rischia di scomparire. È già accaduto al San Marzano, messo in ginocchio prima dall’espansione edilizia nell’Agro nocerino-sarnese che ha cancellato la maggior parte dei campi coltivati, e poi distrutto a fine anni ’80 da una virosi. La celebre qualità di pelato è rinata solo grazie alla scienza che ha recuperato in laboratorio il seme originario, ma è da tempo un prodotto di nicchia che non si presta alle produzioni di massa richieste dal mercato.
Alla fine il tanto apprezzato pomodoro italiano, unico al mondo per qualità e biodiversità, rischia di trasformarsi in una merce standardizzata, uguale a quella prodotta in Spagna o California. Il boom delle importazioni, soprattutto dalla Cina, mostra l’incapacità del settore di essere autosufficiente. Calano i prezzi, crescono i volumi, crescono le frodi, e cala la reputazione di un marchio insieme a quella dell’intera filiera.
Per approfondire : Pomodoro : tra origine del prodotto tolta e concentrato cinese.
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