Nel 2013 le api erano finite sulla copertina dell’autorevole rivista americana Time, che denunciava la drammaticità della loro situazione e le conseguenze della loro forte diminuzione anche per l’agricoltura.
Se non volete registrarvi a Time potete leggerlo qui, in inglese.
Una sola azienda della distribuzione (Whole Foods, che adesso appartiene ad Amazon) si era mossa in difesa delle api.
Della probabile estinzione delle api (– 75% rispetto al 1989) ho parlato a più riprese su questo sito.
E a questo fatto dobbiamo aggiungere che gli insetti si estinguono ad una velocità 8 volte superiore a quella, per esempio, dei vertebrati.

Ora, per fortuna, ci pensa anche Repubblica, con questo articolo “Api, a rischio il 70 per cento della produzione agricola mondiale” del 4 dicembre 2019, ispirato dalla Confederazione italiana agricoltori (CIA).
“Negli ultimi cinque anni sono scomparsi 10 milioni di alveari nel mondo, quasi 2 milioni l’anno, oltre 200.000 solo in Italia.
I cambiamenti climatici, con l’aumento delle temperature e la diffusione di nuovi parassiti, stanno mettendo a rischio salute e sopravvivenza delle api, con effetti drammatici sulla sicurezza alimentare globale…

Perché dal loro ruolo essenziale di impollinatori dipende il 70% della produzione agricola mondiale, quindi del cibo che portiamo a tavola.
Questo l’allarme lanciato dall’Assemblea nazionale de la Spesa in Campagna, l’associazione per la vendita diretta di Cia-Agricoltori Italiani, dal titolo “Api, agricoltura e cambiamenti climatici. Come cambia la spesa delle famiglie italiane”.
Una delle conseguenze peggiori del riscaldamento globale è proprio la diminuzione drastica del numero di api.
Se non si interviene subito e in maniera integrata, presto le varietà di miele, così come ortaggi e frutta, saranno sempre più scarsi, o non disponibili, in primis nei mercati contadini dove gli agricoltori portano ogni giorno tipicità e biodiversità -ha spiegato il presidente nazionale de la Spesa in Campagna, Matteo Antonelli.
Bisognerà comprare a prezzi più alti per avere prodotti di qualità e stare sempre più attenti alla provenienza.
Ecco perché, ancora di più oggi, all’apicoltura deve essere riconosciuta la funzione fondamentale di base del sistema agricolo, considerato che dal servizio di impollinazione di questi insetti provengono 90 delle 115 principali coltivazioni mondiali.
Non solo miele, insomma:
dal lavoro delle api dipendono prodotti come mele, pere, ciliegie, albicocche, meloni, pomodori, zucchine, carote, cipolle, ma anche foraggi per gli allevamenti.

Un ruolo insostituibile, insomma, ma minacciato dai cambiamenti climatici.
Prima di tutto, il rialzo della temperatura del pianeta costringe le api a cambiare habitat e spostarsi di continuo alla ricerca di areali più freschi. Altri contraccolpi arrivano dallo stravolgimento delle stagioni con primavere anticipate e freddo fuori periodo:
vuol dire avere polline e nettare sui fiori a disposizione delle api quando ancora non sono pronte a raccoglierlo e, invece, fioriture vuote quando dovrebbero alimentarsi, con effetti sulla capacità produttiva e riproduttiva, ma pure sulla resistenza alle malattie.
Che è poi un altro risultato del climate change. Il riscaldamento globale, infatti, facilita la proliferazione dei cosiddetti “parassiti dell’alveare”, dalla Varroa alla Vespa Vellutina all’Aethina tumida, micidiali per le nostre api.
Per tutti questi motivi, solo nel 2019 la produzione nazionale di miele di acacia e agrumi ha fatto registrare una contrazione del 41%, con una perdita in termini economici di circa 73 milioni di euro.
E questo nonostante gli oltre 50.000 apicoltori italiani che curano 1,1 milione di alveari sparsi nelle campagne nostrane hanno concentrato i loro sforzi per salvare le api, attraverso la nutrizione artificiale con sciroppo di zucchero e canditi proteici.
Senza il loro intervento – ha evidenziato Antonelli –le api morirebbero di fame.
Continuando questo trend, sarà inevitabile che alcune varietà di mieli locali diventeranno sempre più scarse.
Una ricerca dell’Università di Milano sulla correlazione tra fenomeni climatici e ambientali e moria delle api ipotizza che, in assenza di interventi, la produzione di miele potrebbe addirittura scomparire da qui a 100 anni…”.
Mi sono permesso di tagliare l’ultima parte dell’articolo che trovate comunque su Repubblica.

Note e pensieri del sottoscritto:
Un bel pezzo, sicuramente.
Peccato però non si faccia neanche un accenno ai danni causati dall’utilizzo dei pesticidi in agricoltura (i principali accusati per la moria delle api sono i neonicotinoidi).
La Cia- Agricoltori ha un grande “rispetto” per Federchimica?
Oppure si tratta di un altro caso di lobbismo perfetto?
Fatto sta che Repubblica si adegua e tace sull’effetto negativo dei pesticidi.
Sulla lobby dei pesticidi puoi leggere anche questo articolo, sui danni provocati dai pesticidi in agricoltura puoi leggere anche qui (Ansa) e su Bayer Monsanto e il glifosato puoi leggere qui.
Sotto: impollinazione manuale in Cina, dal documentario “more than honey”. L’impollinazione umana avrebbe dei costi miliardari e soprattutto darebbe frutta e verdura di minor qualità.
Oltre al miele e alla frutta e verdura a rischio anche cioccolato e caffè (da Presadiretta, RAI3, 3 febbraio 2020).

Le ricadute economiche e politiche dei problemi ambientali sono già visibili :
nel Mediterraneo, con le ripercussioni sul turismo e sulle migrazioni.
nel mondo della pesca , con il pesce pescato in modo non sostenibile (anche il prezzo del pesce salirà perchè – oltre a scendere le quantità – scompaiono le specie. Era già così quando lavoravo in Esselunga, più di 15 anni fà)
sulle nostre montagne ed il turismo a rischio.
con lo scioglimento dei ghiacciai .
con lo stato delle nostre piante e la loro estinzione.

Immagini pubblicitarie ideate dall’Armando Testa, per Esselunga, volute e seguite da Violetta e Giuseppe Caprotti.
Anche il marchio Esselunga bio fù voluto da Violetta e Giuseppe Caprotti e venne ideato da Giò Rossi.
Redatto il 26 dicembre 2019, aggiornato il 6 febbraio 2020



