Redatto il 6 aprile 2022 ed aggiornato il 29 gennaio 2022
Leggo e trascrivo da Il Sole 24 ore del 10 febbraio 2021 ( ho modificato solo il titolo sopra):
Piano Nestlè per azzerare le emissioni
Agricoltura rigenerativa, aziende lattiero-casearie a zero emissioni, cacao e caffè di origine sostenibile.
Sono le strategie messe in campo da Nestlè in Europa, Medio Oriente e Nord Africa per raggiungere l’obiettivo climatico zero emissioni entro il 2050.
La multinazionale del food ha annunciato le strategie dichiarando che quasi due terzi delle sue emissioni totali sono legate all’agricoltura.
Per ridurre queste emissioni, l’azienda elvetica concorderà con tutti i propri fornitori nuove pratiche agricole di tipo rigenerativo, con l’obiettivo, tra l’altro, di migliorare anche i redditi degli agricoltori, il tutto a beneficio della natura.
In effetti forse Nestlè ha qualcosa da “farsi perdonare” : se si clicca su Google cocoa slavery o chocolate slavery ( slavery = schiavitù) si trova molto, anche su fonti importanti come l’autorevole New York Times.
Il problema del lavoro minorile non riguarda solo la multinazionale di Vevey (CH) ma anche Mars e Ferrero.
Ne avevamo già parlato a proposito delle nocciole comprate da Ferrero in Turchia.
E comunque in un mercato da oltre 100 miliardi di $ di vendite di cioccolato, ai paesi produttori (*) rimane appena il 6 % di questa cifra (Financial Times).
Siamo curiosi di vedere come procederà Nestlè , e come reagiranno i suoi concorrenti, in un mondo dove si prospettano forti rincari delle materie prime
Sul lavoro minorile Nestlé ha dichiarato a FoodNavigator che “il lavoro minorile all’interno dell’industria del cacao esiste e, in Nestlé, stiamo lavorando da anni per aiutare ad affrontarlo”.
L’italiana Ferrero afferma di approvvigionarsi di cacao 100% sostenibile e 100% tracciabile fino al campo così da “identificare e affrontare problemi in maniera mirata” ma anche che “il lavoro minorile nelle regioni di coltivazione del cacao resta una sfida condivisa per l’industria, di cui nessuno è esente e che nessuno può risolvere da solo”.
Un’amara considerazione a cui fa eco Mars ammettendo che “questa è una sfida complessa per l’industria”. Fonte: Il Fatto Alimentare.
(*) I lavoratori della Costa d’Avorio e del Ghana raccolgono il 60% del cacao mondiale.

La verità è che per coprire i costi de lavoro ben retribuito bisognerebbe aumentare i prezzi della cioccolata.
In molti casi, il consumatore o non se ne accorgerebbe, o sarebbe disposto a pagare di più tavolette o snacks, che non sono bisogni primari della dieta quotidiana.
Rimarrebbe però il problema di chi si alimenta di alcuni di questi beni quotidianamente, ad esempio per la prima colazione (ma, abbiamo visto recentemente che se il prodotto piace, come nel caso dei pancake della Barilla, i consumatori sono disposti a pagare i prodotti molto di più della media…).
Ma il quesito è di più ampia portata: i produttori sarebbero disposti ad aumentare il prezzo dei loro prodotti?
Guardando l’esempio americano mi è permesso di dubitarne (**) : tutti i produttori vogliono proporre cibo poco costoso ai consumatori.
In quel pezzo, parlando della lotta all”obesità, Massimo Gaggi , del Corriere della Sera infatti affermava :
“…Col cibo niente da fare: quello industriale, con più zucchero, sale e grassi, costa meno , è ovunque e spesso ha un sapore accattivante. Chi ha proposto limiti, agevolando , invece, vegetali e prodotti freschi è stato bollato dalla destra liberista come fautore dello Stato- balia o addirittura food nazi, nazista del cibo..”.
E quindi guai a parlare di ritocco all’insù del prezzo delle tavolette o delle barrette di cioccolato!
Ma anche ammettendo che queste multinazionali volessero alzare il prezzo di questi alimenti, probabilmente non potrebbero farlo senza incappare in sanzioni delle varie autorità antitrust : mettersi d’accordo, tra leader di settore, sui prezzi è inconcepibile, figuriamoci su un rialzo dei prezzi.
Servirebbe un leader esemplare, seguito poi dagli altri “big”.
Tra Nestlè, Mars e Ferrero questi ultimi due avrebbero meno vincoli non essendo quotati (vedi il caso di Danone, dove i fondi che hanno quote minori richiedono buone performances borsistiche e, prima, sono riusciti a ridimensionare i poteri del capo operativo della multinazionale per poi liberarsene.
Alla gestione attuale di Danone si rinfaccia infatti che il titolo è salito appena del 3% dal 2014, mentre Nestlè, Unilever e Procter and Gamble hanno visto il valore delle loro azioni salire tra il 43 e il 54%.
Uscire da questo rompicapo sembra praticamente impossibile.
A meno che i consumatori, come nel caso Barilla grano 100% italiano, siano informati e inizino a “votare” con il loro portafoglio. Allora, ne sono certo, anche le grandi multinazionali quotate, cercherebbero di “rimediare”.
p.s. : lo stesso identico problema del cacao si pone nelle piantagioni di olio di palma , dove la certificazione RSPO, usata ad esempio da Ferrero, può essere definita come greenwashing (***).
Fonte: Associated Press.
Trovate la traduzione del servizio della grande agenzia americana qui.
(**) E infatti in Nestlè annuncia che affronterà il lavoro minorile il 28 gennaio 2022, il produttore Tony’s Chocolonely’s chiede quando salirà il prezzo del cacao.
(***) la pratica seguita dalle imprese che dichiarano di fare per l’ambiente più di quanto fanno in realtà.
Il certificatore RSPO oltre a fare dichiarazioni Greenwashing non sarebbe in grado di controllare l’eventuale lavoro minorile.
Per un aggiornamento su Ferrero leggi :
- Ferrero: tracciabilità garantita della filiera del cacao
- Ferrero spinge sul cacao tracciato per garantire la sostenibilità delle filiere?
- Ferrero sarà sostenibile nel 2023
Sotto il cioccolato biologico equo e solidale della Coop svizzera. Scritto a Febbraio 2021 Aggiornato il 6 aprile 2021



