“C’è un’altra battaglia che devo combattere (…). Sembra un paradosso ma la parte commerciale di Esselunga, alla fine degli anni ’80, è decisamente la più debole. Siamo forti nello sviluppo, nella logistica, nella gestione del fresco ma non nelle contrattazioni con i fornitori. In quegli anni, infatti, il mercato è cambiato e Bernardo non ha voluto rendersene conto: le negoziazioni non avvengono più sui margini dei prodotti. I fornitori, su richiesta delle catene francesi, hanno iniziato a erogare i contributi promozionali che danno ai supermercati per il raggiungimento degli obiettivi di vendita non sotto forma di sconti in fattura, ma durante o alla fine di ogni anno. Si tratta di somme importanti, che oggi sono arrivate a superare il 15 per cento del fatturato di una grande catena di distribuzione. (…). (p. 201).
“Comincio a mettere ordine, non solo negli scaffali (…). Un esempio è quello della Barilla, con cui i rapporti erano tesissimi. Tutto era iniziato nel 1984, quando mio padre aveva deciso di eliminare i prodotti dell’azienda di Parma dall’assortimento di Esselunga. Pietro Barilla pretendeva di imporre la sua politica commerciale, facendo prezzi più bassi negli ipermercati rispetto ai supermercati. Una fregatura, per noi, perché Esselunga all’epoca non aveva nemmeno i superstore, che sarebbero arrivati più tardi, figuriamoci gli ipermercati, che non abbiamo mai avuto. Mio padre reagì duramente, e aveva ragione di farlo. Il problema, però, era che in quegli anni Barilla faceva una politica commerciale molto efficace, con pubblicità martellanti di grande presa sul pubblico, dal Mulino Bianco alla pasta “dove c’è Barilla c’è casa”. Non averla sugli scaffali significava regalare clienti alla concorrenza: i consumatori, pur di aver i loro spaghetti, biscotti e merendine, cambiavano supermercato. Dopo un quinquennio di bando totale, durante il quale nei nostri supermercati non veniva venduto alcun prodotto Barilla, mio padre pian piano aveva iniziato ad allentare un po’ le maglie, accogliendone nuovamente qualcuno. Ma su Barilla, ahimè, continuavamo a fatturare poco e sui loro prodotti perdevamo soldi. Faccio pace dopo più di dieci anni di litigi. Non è un cambiamento immediato. Il primo passo è un incontro in sede a Limito tra me e Luca Barilla. In seguito, a margine di un grande convegno internazionale a Boston, avviene un ulteriore contatto casuale tra Bernardo e il compianto direttore vendite di Barilla, Manuel Gonzalez Valdeolivas, durante il quale faccio di tutto per stemperare i toni incandescenti di nostro padre. Lui ne ha fatta una questione personale, Bernardo Caprotti contro Pietro Barilla. Poi riesco a riallacciare un normale rapporto commerciale, facendo leva proprio sui benefici che la nuova politica sui contributi promozionali genera per entrambi. Tra il 1997 e il 1999 il fatturato delle vendite sui prodotti Barilla nei nostri supermercati passa da 50,2 a 79,4 miliardi di lire. Soprattutto, però, raddoppiano i contributi promozionali, da 5,4 a 10,6 miliardi di lire. Risultato: nel 1999 – per la prima volta da tempo immemore – vendendo i biscotti e la pasta Barilla non perdiamo soldi, ma guadagniamo 2,1 miliardi di lire, quando nel 1997 avevamo perso 1,9 miliardi. Un’inversione di rotta eccezionale (più 458 per cento in due anni) in tempi così ristretti e considerando che si tratta di un fornitore con cui eravamo in difficoltà da anni e con cui ho dovuto praticamente ricostruire i rapporti.” (pp. 202 -203).
“Alla fine degli anni ’90 è (…) la volta della Coca-Cola, che viene denunciata dalla PepsiCo per abuso di posizione dominante. Più o meno contemporaneamente, la dirigenza di Coca-Cola si presenta da noi con delle condizioni commerciali assolutamente inaccettabili. Su suggerimento di un amico, l’avvocato Filippo Donati, contattiamo Aldo Frignani, specialista di Antitrust. In una riunione, a Torino, chiedo a Frignani: “Quante sono le possibilità di vincere?”. Mi risponde: “Il 50 per cento”. Decido di andare avanti. Una bella scommessa, che ci consente di finire sulla prima pagina del “Wall Street Journal”. Mio padre sembra contento, gli piace questa lotta da Davide contro Golia e in quella fase trova varie occasioni per mostrarmi l’apprezzamento che nutre per il lavoro sto facendo (…). Alla fine l’Antitrust ci dà ragione e l’azienda americana viene condannata a pagare una multa di 30,6 miliardi di lire, pari a circa 15 milioni di euro. Il presidente e il direttore commerciale della filiale italiana vengono sostituiti. Coca-Cola fa ricorso prima al Tar, poi al Consiglio di Stato, ma viene nuovamente sconfitta (…). Ovviamente per Coca-Cola i 30 miliardi di lire della multa sono una somma risibile ma allo stesso tempo di fronte all’opinione pubblica, e al mondo del largo consumo in generale, non rappresentano certo una medaglia da appuntarsi al petto. Per noi il successo genera maggiore rispetto: riusciamo a far passare il messaggio che con Esselunga non si scherza. Da quel momento in poi altri fornitori, prima di fare mosse che ci potrebbero danneggiare, ci contattano per capire quale potrà essere la nostra reazione.”. (p. 181 – 184).
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