Jasper Johns, American Flag.
Prima stesura: 24 giugno 2015, ultimo aggiornamento del 25 ottobre 2015
La rivista Fortune del mese di giugno definisce i grandi produttori americani di cibo “melting icebergs“, ovverosia gli iceberg che si stanno sciogliendo.
I fenomeni che portano a questa affermazione sono di varia natura:
1) il junk food ma anche il semplice cibo tradizionale, confezionato e a lunga conservazione , perde quota di mercato:
le zuppe Campbell , ad esempio, hanno registrato un decremento del 18% a cena e del 7% a pranzo negli ultimi dieci anni
Il mercato americano del cibo confezionato vale 1000 miliardi di $ e l’anno scorso ha perso 4 miliardi di $ a favore di prodotti più salutari e/o biologici.
Poca roba?
Se si sommano le cifre, il mercato del cibo confezionato tradizionale, dal 2009, ha perso complessivamente 18 miliardi :
i consumatori evitano sempre di più le corsie centrali dei supermercati, quelle piene di prodotti conservati.
Si parla di una disaffezione, a favore anche dei prodotti freschi, che varrebbe l’1% del fatturato.
E il biologico, nel 2014, ha proseguito nella sua crescita, attestandosi a 35, 9 miliardi di $, con un incremento dell’11% rispetto al 2013.
Per il biologico vedi anche Dove va il bio? In Italia, in Francia e nel mondo
2) il biologico comincia a trovarsi un po’ ovunque, non solo da Whole Foods ma anche nelle catene tradizionali come Walmart o Kroger o on- line (Amazon).
Kroger, che è la seconda catena di supermercati del paese dopo Walmart, ha creato due anni fa la sua linea di prodotti “naturali” che fattura ormai 1,2 miliardi di $.
Sarà un caso ma Walmart è cresciuta del 2% mentre Kroger ha avuto una crescita del 10,3%, con un fatturato pari a 108, 4 miliardi di $.
3) la ricerca di cibi biologici è seconda solo alla richiesta di cibi senza glutine
4) l’85,5% del pubblico americano è favorevole all’etichettatura che segnali la presenza di ingredienti ogm
Gmo labeling should be required = vogliamo capire in etichetta se ci sono gli ogm… che era la filosofia di Esselunga, alla fine degli anni ’90 (v. Gli ogm, la GD e l’ufficio stampa di Esselunga)
5) il 68% dei consumatori vorrebbe avere un’etichetta chiara dei prodotti alimentari, con il minor numero possibile di ingredienti: le parole d’ordine sono Less (meno) e Simplicity (semplicità)
6) i messaggi dietetici (basse calorie, pochi grassi) e il cibo surgelato , considerato poco sano, sono “out”.
I cibi “light”, secondo Nielsen sono scesi dell’11% nel 2013 e le unità di cibo surgelato hanno segnato un – 2,5% negli ultimi 12 mesi.
Come stanno reagendo le aziende americane?
In due modi:
– comprando aziende che producono alimenti bio e/salutari
– riformulando i propri prodotti:
abbiamo già visto le modifiche effettuate da Kraft (In Il consumo di cibo spazzatura o junk food indietreggia negli Stati Uniti) ma segnaliamo che Nestlè nella sua linea di prodotti surgelati Lean Cuisine sta trasformando i prodotti da “light” a bio, senza glutine, veg, etc.
Il colosso elvetico sta inoltre investendo 50 milioni di $ in un centro di ricerca e sviluppo in Ohio proprio per implementare la linea di prodotti surgelati più “naturali e bio”.
Gli incrementi dei claim (affermazioni) sui nuovi prodotti dal 2011 al 2015: senza glutine e organic ( bio) sono decisamente in testa.
General Mills (cereali) e Hershey (cioccolata) hanno fatto scelte impensabili fino a poco tempo fa per grosse aziende americane, eliminando gli ingredienti che contengono gli ogm.
Si tratta essenzialmente del dolcificante a base di mais, usato ovunque nell’industria americana.
Non si è trattato di una scelta semplice poiché negli USA è quasi impossibile trovarne…
Hershey, inoltre , ha escluso dai suoi prodotti il latte di mucche trattate con l’ormone rBST e ha eliminato l’emulsificatore PGPR. Al suo posto ha aggiunto burro di cacao.
Ha anche deciso di non far pagare questi cambiamenti ai consumatori, mantenendo gli stessi prezzi dei suoi cioccolattini.
A fine anno varerà un’etichetta chiara, con ingredienti comprensibili (es.: latte, zucchero, vaniglia, etc.) per chiunque compri i suoi articoli.
Negli USA , nel cibo, come dice il capo di Nestlè Paul Grimwood “change is happening at a pace we’ve probably never seen before” (il cambiamento sta avvenendo ad una velocità mai vista prima) .
Si parla addirittura di una legge che permetterebbe, su base volontaria, di indicare gli ogm sull’etichetta dei prodotti alimentari.
Ciò avverrebbe a causa di iniziative dei singoli stati (es.: in Vermont, dal 2016, sarà obbligatorio dichiarare gli ogm in etichetta, v. Ogm sì, ogm no) e di varie lobbies come Label It.
La sua volontarietà rischierebbe però di far perdere quote alle grandi marche, tacciate di essere poco trasparenti e ormai poco affidabili.
Il solo fatto che si sia istaurato un dibattito su questo possibile cambiamento è però un fatto nuovo, molto importante, che non deve farci perdere di vista le possibili insidie dell’etichettatura poco chiara in Europa e soprattutto in Italia v. The Extraordinary Italian Taste, un marchio utile per il made in Italy? e del possibile trattato Ue- Usa (TTIP) v. Cibo: le possibili insidie targate USA.
Da segnalare che in Italia, facendo leva sul prezzo, le grandi marche, dopo tanti anni di calo, stanno riprendendo quota di mercato v. :
L’Industria di marca riprende quota in Italia e il fatto che le marche vadano verso la vendita diretta al pubblico. Lindt ma anche Nestlè, Ferrero…
la tendenza alla riduzione delle calorie (-9% dal 2004 al 2012) viene segnalata anche dal Corriere della Sera del 28 luglio 2015 che basa le sue affermazioni su uno studio dell’Università della Carolina del Nord
Il Corriere Economia del 7 settembre 2015 evidenzia le tendenze già enunciate mettendo l’accento sulle acquisizioni e le fusioni delle multinazionali del cibo confezionato
sul fatto che le multinazionali stiano tendendo alla riduzione dei loro portafogli, come già evidenziato in :
Procter and Gamble vuole vendere 100 marche
Unilever va contro corrente e razionalizza il suo assortimento
Henkel decide di ridurre i marchi nel suo portafoglio
e sulla crescita delle nicchie, come ad esempio quella della birra artigianale o del prosecco, v. Alcool: consumi in calo, con le dovute eccezioni, anche italiane
D di Repubblica del 24 ottobre 2015
Sul cibo negli USA vedi anche:
Stati Uniti, la distribuzione del cibo, e non, 25 anni dopo. Aggiornato il 14 settembre 2015
Le immense dimensioni del mercato biologico negli USA. Aggiornato il 14 settembre 2015
il caffè biologico (organic: bio) di Safeway (USA)
Un alimentazione sbagliata porta a malattie: il Fruttosio causa il diabete
La disaffezione dei consumatori americani per il junk food è confermata dai recenti problemi di Coca- Cola e di Mc Donald’s.
E che “piccolo sia più bello” viene confermato da The Economist de 14 novembre 2015: la metà degli americani si fida di più delle aziende più piccole, contro il 36% che ha fiducia in quelle grandi.
Il risultato concreto è stato che a luglio di quest’anno, secondo le rilevazioni di Catalina, 90 delle prime 100 aziende del largo consumo confezionato hanno perso quota di mercato negli USA
Persino in Cina le “grandi marche” straniere stanno perdendo peso in 18 categorie su 26 prese in considerazione da Bain…
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