I mesi più bui e delicati per l’Alto Adige, quelli poco prima e poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, attraverso la lente degli archivi francesi. Per scoprire che Parigi strizzava l’occhio a Innsbruck e accusava Roma di ordire trame…
“Apriti archivio. Della vicenda politico-diplomatica altoatesina dal 1945 ai giorni nostri non resta ormai molto da scoprire, anche se questo non ha giovato finora a rendere più agevole e spedito il cammino verso la chiusura della controversia. Ampiamente nota la posizione italiana con la storia diplomatica di Mario Toscano, approfonditi i documenti dell’Inghilterra, degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica, restava in sospeso, anche se probabilmente non è l’ultimo, l’archivio diplomatico francese. Una lacuna non da poco, anche se è sempre stata nota, (anzi proprio per questo), la posizione iniziale dei cugini transalpini apertamente filoaustriaca e filo-tirolese; un atteggiamento ritenuto non scevro da passionalità seguita all’entusiasmo per la vittoria delle democrazie. L’«approccio sentimentale comuque non era una spiegazione certo sufficiente e men che meno soddisfacente per gli storici alla ricerca di ben altri elementi e interrelazioni per chiarire il dispiegarsi di una certa diplomazia.
A gettare un fascio di luce determinante ci ha pensato Giuseppe Caprotti, giovanissimo studioso milanese di studi svizzeri e francesi, con laurea alla Sorbona in storia contemporanea. Autonomismi, indipendentismi, movimenti separatisti, sembrano stimolare particolarmente l’interesse di Caprotti, se è vero che dopo il tempestivo intervento sugli incartamenti d’archivio del Quai d’Orsay concernenti l’Haut-Adige o Tyrol du Sud, ha rivolto la sua attenzione all’ indipendentismo siciliano. «Alto Adige o Südtirol?» è il titolo della sua opera da poco in libreria, frutto di un lavoro condotto sotto la guida di un luminare della Sorbona quale Jacques Bariety, che arriva fino alle cronache ancora fresche d’inchiostro del 1985. L’autore avverte di essersi avvalso anche della disponibilità di Indro Montanelli e del contributo alla conoscenza della realtà altoatesina concessogli dal giornalista Federico Guiglia de «Il Giornale», autore di un feroce pamphlet anti-pacchetto molto vicino alle tesi nazionaliste, il che non sembra aver affatto influito comunque su un indirizzo improntato a interpretazioni estremamente realistiche e imparziali, non prive di osservazioni corrosive nei confronti dell’una e dell’altra parte in causa e di protagonisti entrati ormai nelle agiografie ufficiali, De Gasperi compreso. Nel capitolo dedicato alle posizioni di italiani, sudtirolesi, Austria e Quattro Grandi sulla questione, dove l’autore illustra le tesi contrappposte dei due contendenti e gli attegiamenti variegati dei vincitori, l’autore ricorda il progetto autonomistico di De Gasperi che prevedva la soppressione delle due Provincie di Bolzano e Trento, la creazione di un’unica regione con capoluogo a Trento, una Giunta di sette membri dei quali quattro obbligatoriamente italiani e maggioranza parimenti garantita al gruppo italliano (400 mila nel Trentino, 81.000 in Alto Adige contro 266.000 sudtirolesi, secondo i dati del ’39). «Erano solamente progetti – osserva il Caprotti, ma mostravano chiaramente le intenzioni di De Gasperi: sotto una parvenza di regionalismo democratico si trattava di controllare con ogni mezzo i sudtirolesi e di evitare ogni tentativo separatista». Un piccolo salto ed eccoci alla visione dei sudtirolesi e dell’Austria, più precisamente della SVP, autrice di «un appello a favore della libertà». Citando il paragrafo dedicato alla «Dominazione italiana – promesse e delusion» l’Autore così postilla: «Da queste parole emerge chiaramente l’idea che i sudtirolesi si facevano degli italiani. Questi ultimi non erano che traditori dal momento che dopo il 1919 non avevano mantenuto le loro promesse. Non vi era alcuna differenza fra l’Italia del ’19, quella dell’ottobre del ’22 e quella del ’45. Non va dimenticato pure che gli italiani avevano «tradito» il Reich nel 1943, anche se questo non veniva affermato nel testo. Questa affermazione era a nostro avviso semplicistica e insultante. Nè il governo Nitti, nè quello di Giolitti ebbero mai un piano di «italianizzazione»; mentre il Sudtirolo non aveva avuto mai modo e tempo di mettere alla prova l’Italia democratica, conclude l’Autore. Ma uno dei paragrafi più stimolanti è senza dubbio quello dedicato alla Francia e all’evoluzione del suo atteggiamento verso il Sudtirolo. Non c’era dubbio che esso dovesse tornare all’Austria poichè la regione era stata comunque un’acquisizione temporanea da usarsi come merce di scambio per rettifiche di confini o altre rivendicazioni. La cessione del Brennero nel 1919 non erano valse altro – sempre secondo l’interpretazione della Francia – ad alimentare mire anche sui Grigioni che Mussolini considerava terra italiana, su Lugano e su Poschiavo, senza contare Nizza, Corsica e Savoia. Si faceva anche l’ipotesi che mettendo in gioco il mantenimento del Sudtirolo all’Italia, la Francia potesse farne a sua volta merce di scambio con la val d’Aosta. Diplomatici e ufficiali francesi dunque non facevano mistero della loro simpatia per la causa tirolese, durante il periodo in cui la Francia teneva la proprie truppe d’occupazione nella fascia del Nordtirolo e Vorarlberg. Ne scaturirono violentissime reazioni italiane attraverso la stampa, dalla quale uscirono spesso ipotesi degne di un intrigo internazionele. «Il Tempo» di Roma scrisse di missioni francesi penetrate clandestinamente in Alto Adige per mettersi in contatto con elementi della SVP per fare propaganda anti-italiana, distribuendo milioni e avvicinando elementi fra i più estremisti dell’associazione «Heimat». «I sospetti italiani – scrive il Caprotti – trovano ora conferma in fonti francesi attuali che parlano di un capitano Clairval dei servizi speciali in missione a Bolzano per appoggiare gli irredentisti sudtirolesi…. mentre realmente la Francia cercava di infiltrarsi in Val d’Aosta, la cui popolazione era considerata, secondo un’espressione di De Gaulle «un ramo della nostra razza». Si citano anche contatti fra francesi e quella che per l’Italia era una banda di stupratori, il famoso gruppo Egarter, considerato invece da Parigi come nucleo della resistenza sudtirolese. Insomma i documenti d’archivio forniscono elementi per un singolare «giallo» internazionale imperniato su Bolzano, finchè il tutto non si stemperò quando l’atteggiamento francese si avviò verso una revisione girando di parecchi gradi: quando cioè il governo di Parigi intuì che il futuro dell’Austria era molto precario per consentire un ruolo influente alla Francia, che anzi, data l’occupazione russa, consegnare il Sudtirolo all’Austria avrebbe significato offrire all’ Orso una terra affacciata addirittura sulla pianura padana, dalla quale esercitare la sua influenza tramite il forte Pc italiano; in sostanza era più conveniente e meno aleatorio tenersi buona alleata l’Italia. E la causa dei sudtirolesi perse così un prezioso e forse decisivo alleato. A questo punto merita forse aggiungere una testimonianza diretta, quella di Enrico Serra, Capo del servizio storico e documentazione del ministero degli Esteri italiano, che nel recensire il libro sulle colonne della Stampa del 18 novembre scorso ricorda di essere stato inviato da Ferruccio Parri a Bolzano quando era ancora sotto occupazione nazista, apprendendo delle manovre francesi per la creazione di uno stato tedesco del sud mediate l’unione di tutto il Tirolo con Baviera e Baden-Württenberg, più o meno il programma del maresciallo Foch nel 1918. «Raccolsi tessere e documenti – scrive Serra – che i francesi distribuivano largamente e che più tardi consegnai a Salvemini. Mi incontrai clandestinamente e ripetutamente con Erich Amonn, di sentimenti antinazisti e futuro presidente della Svp: non riuscii mai a convincerlo a partecipare ad azioni comuni contro gli occupanti nazisti…“
Di Giancarlo Ansaloni – Alto Adige 8 dicembre 1988


