Redatto il 20 febbraio, aggiornato il 25 febbraio 2024
A NOVARA Giuseppe Caprotti, ex ad di Esselunga, al Circolo dei lettori «Ho concluso il mio viaggio di perdono»
Sui morti di Firenze: «Avvenimenti molto dolorosi ma ormai io sono fuori»
«Non ho ruoli [operativi o ] istituzionali in azienda e perciò non posso rispondere a domande su avvenimenti contemporanei molto dolorosi se non da privato cittadino. Ho ormai chiuso questo viaggio, un viaggio di perdono, e certe cose non mi riguardano più»: questo il pensiero che Giuseppe Caprotti, ex amministratore delegato di Esselunga, oggi presidente della Fondazione Guido Venosta e consigliere di Messaggerie Italiane, dedica al grave incidente sul lavoro avvenuto venerdì scorso a Firenze nel cantiere in cui è in costruzione un nuovo supermercato Esselunga: pesante il bilancio, cinque i morti. E proprio venerdì Caprotti è stato ospite del Circolo dei lettori di Novara, nella Sala delle Vetrate del Castello, per presentare il suo libro “Le ossa dei Caprotti. Una storia italiana” (Feltrinelli) in dialogo con l’amico Paolo Fregosi. «Un incontro speciale e particolare che merita attenzione perché è una pagina di storia del nostro Paese», l’introduzione di Paola Turchelli, responsabile del Circolo. «È un libro di storia e si vede la metodologia dello storico, essendo l’ambito di formazione dell’autore – spiega Fregosi -. È un libro di storia economica, non solo dell’Esselunga. È un libro in cui si può conoscere il rapporto tra Giuseppe Caprotti e il padre Bernardo (scomparso nel 2016, ndr), una relazione di odi e amori». Una storia di famiglia: dalla terra all’industria e al carrello. «Una storia lunga 330 anni – precisa l’autore – ed è stato uno shock scoprire che la mia famiglia non è solo Caprotti e non è solo distribuzione». L’origine della famiglia è nella terra, poi la rivoluzione industriale in Italia porta la famiglia ad aprire una azienda tessile. Con il passare del tempo tra odi e amori l’azienda si centralizza ed è Giuseppe detto Peppino, il nonno dell’autore, a prendere in mano la situazione e rilanciarla dopo la Seconda Guerra Mondiale grazie ai finanziamenti del Piano Marshall, fortuna della famiglia. «Si parla poco delle donne: la storia della mia famiglia ha sempre avuto a che fare con un mito che ha occupato la scena, ma bisogna dare meriti anche ad altri»: la nonna, imprenditrice, è stata fondamentale dal momento che un cugino, entrato nello staff del presidente Truman, era stato in grado di far ottenere i fondi alla famiglia Caprotti. «Un ricordo va anche a mia mamma Giorgina Venosta: si separò da Bernardo quando ero ancora piccolo e il divorzio non esisteva, perciò i genitori e il marito le tolsero i viveri e così iniziò a lavorare sodo per 35 anni». Come modella per Emilio Pucci, poi nel gruppo La Rinascente, dirigente per Christie’s e infine imprenditrice con la fondazione di Consulenza d’Arte.
UNA NASCITA QUASI ROMANZESCA
«Nel 1947 viene varato il Piano Marshall, l’anno seguente vengono erogati i fondi e Rockefeller decide di creare la sua impresa: l’azienda Esselunga verrà fondata poi nel 1957». Caprotti si concentra sulla figura dell’americano Nelson Rockefeller, repubblicano che negli anni ‘30 ha una precisa visione, dar da mangiare a basso costo agli europei per contrastare il comunismo: abbassare i prezzi tramite l’agricoltura e i supermercati, nati in ambiente statunitense nei primi anni Trenta. L’Italia è nel radar di Rockefeller: «Ci sono molte spie e funzionari anticomunisti, così come James Hugh Angleton, membro dell’OSS, la futura Cia, durante la Seconda Guerra Mondiale e dopo presidente dell’Italian Chamber of Commerce. Rockefeller deve trovare soci italiani affidabili e chiede ad Angleton di reperirli». Da qui l’incontro con Marco Brunelli, cofondatore della catena di supermercati, e nel 1957 la fondazione. L’autore racconta com’è nata l’idea del libro: in possesso dell’archivio, scopre una serie di incongruenze nelle storie dei miti e decide di indagare chiedendo a Brunelli la genesi di Esselunga. La risposta è «lo scoop da cui nasce l’idea», “Angleton” [è il nome che Brunelli mi da quando gli chiedo, nel 2019, come è nata la catena]. Giuseppe Caprotti fa esperienza all’estero: quella americana è la più importante. Tante le innovazioni che importa, dalla contabilità al superstore, dalla campagna pubblicitaria al non food. «L’impronta americana, legata anche alla famiglia di parte materna per l’organizzazione della Magneti Marelli, ha aperto le porte a numerosi progetti» come quello del superstore con prodotti diversi dal cibo: a superfici più grandi non potevano corrispondere scorte di cibo più elevate, sarebbero andate a male. Ma non tutto è rose e fiori poiché Giuseppe e Bernardo iniziano ad avere visioni manageriali diverse.
IL RAPPORTO CON IL PADRE BERNARDO
Il rapporto con il padre è stato difficile e doloroso. «Perché era geloso», commenta l’autore molto sommessamente. Un esempio: le pubblicità di Armando Testa facevano parte del progetto di passaggio dal prezzo alla qualità, ideato dalla sorella di Giuseppe, Violetta, convinta che potessero essere ovunque. Ma il padre non voleva perché «non l’aveva fatto lui e [nonostante Violetta fosse la preferita] Violetta era la preferita. Nella mia testa lui era il numero uno – chiarisce Giuseppe – e io non sono mai stato intenzionato a scalzarlo, al massimo a convincerlo, cosa ben diversa». Passa poi a confutare quella falsa notizia secondo cui aveva cercato di vendere l’azienda: Giuseppe è stato decisivo nel bloccare la vendita a una nota multinazionale statunitense [Walmart]. Ma i rapporti erano difficili anche con alcuni collaboratori, così discordi da organizzare controriunioni e dar vita a un vero e proprio «governo ombra molto potente». È appena uscita per Marsilio la riedizione di “Falce e carrello”, il libro scritto da Bernardo Caprotti. «Nel 2007 l’ho considerato diffamatorio – commenta il figlio -, ma all’epoca il mio penalista, assieme ad altre persone, decisero di passare dall’altra parte. Ormai ho fatto pace con quel libro».
Con un episodio decide di raccontare la sua esautorazione da Esselunga. Nel 2004, dopo varie vicissitudini, ricevette una telefonata per la convocazione di una riunione urgente a sua insaputa: «Sarei dovuto essere amministratore delegato. Mi presento in sede e prima di entrare vedo quattro Mercedes nere, chiedo alla guardia se è una “delegazione sovietica”. Nessuna risposta». Non c’è nessuna riunione: il padre gli chiede di recarsi da lui e lo informa del licenziamento di tre dirigenti. «Gli uffici si affacciano sui parcheggi e lo spettacolo è servito: i tre vengono messi sulle auto e mandati via, ma una parte vuota. Così chiedo a mio padre se fosse stata per me». La risposta provoca un turbinio di sentimenti contrastanti in Giuseppe: «Non ancora». Da lì arriva a spiegare come venne mandato via: gli fu consigliato di prendersi una vacanza di quindici giorni, ma al suo ritorno viene “esiliato” dalla sede [della centrale di acquisti di ESD] a Limito di Pioltello. Sui giornali scoprirà di aver perso le deroghe [deleghe] e di essere stato cacciato. L’autore conclude chiarendo il rapporto con il padre. Con lui avrebbe certo voluto un rapporto diverso, ma così è andata. Sottolinea che hanno fatto pace e che egli, personalmente, ha concluso quel viaggio di perdono nei confronti di una figura instradata su binari diversi, ma pur sempre paterna. Filippo Porzio



