“Nel 1917, quando l’Europa era nell’incubo della Grande Guerra e [Peppino] frequentava il ginnasio, era stato chiamato sotto le armi. Venne destinato al plotone telegrafisti di un reggimento del Genio militare, a Parma. Era un ragazzo entusiasta e battagliero, un po’ per l’età, un po’ probabilmente per abitudini familiari (…). Il mattatoio del fronte distava qualche centinaio di chilometri da Parma e lui scalpitava per essere ammesso a una scuola ufficiali in zona di guerra. Quando la sua domanda venne respinta, nel maggio del 1918, inviò a suo padre una lettera colma di delusione: ‘Maledico il giorno che accondiscesi a entrare in questo reggimento, maledico me stesso e chi approfittando della mia stima e del mio onore fece di me un vile’, scriveva.
Il padre, nostro bisnonno Bernardo, sembrava comprendere la disperazione del figlio e mosse tutte le pedine possibili per accontentarlo (…). La giovane età di Peppino, tuttavia, lo tenne al riparo dal peggio e la domanda venne accettata soltanto dopo la fine del conflitto. Nell’aprile del 1919 fu assegnato a un reggimento alpini di Torino e poi, ottenuto il grado di sottotenente dopo aver frequentato la Scuola allievi ufficiali di complemento a Caserta, venne mandato in Albania. Ci rimase qualche mese, poi si prese la malaria e stette così male da venir congedato.” (pp. 36 – 37).