“SE ALTO ADIGE O SUDTIROLO… La questione Alto Adige sta di nuovo sulle prime pagine dei giornali. Ripresa di attentati che sembravano assurdi dopo il famoso pacchetto, incidenti quasi diplomatici a livello di Presidenza della Repubblica, manifestazioni tra folklorismo e nazionalismo da una parte e dall’altra, elezioni impendenti nel novembre ormai più che prossimo, per eleggere la «Dieta» pardon il «Consiglio» regionale. Che di poteri reali ne ha pochissimi (ormai l’autonomia si gioca a livello provinciale, sia a Bolzano che a Trento); tutto insomma sembra contribuire a far rimbalzare sui mass media la «questione tirolese», come sembra, almeno stando a un recentissimo studio sul comportamento della stampa in questi argomenti preparato da Gianni Faustini, ormai ci si sia abituati a chiamarla, mettendo un po’ in sordina le espressioni «Alto Adige» e «Trentino», che alla questione Tirolo sono pur sempre aggrovigliate. Una mezza dozzina di anni fa il sociologo Sabino Acquaviva dedicò alla questione, anche allora più arroventata che calda, un libretto stilato a due mani con Gottfried Eisermann, titolare della parallela cattedra di sociologia all’università di Bonn. Libretto che fece sussultare molti, fossero o meno sostenitori convinti della famosa «italianità» (almeno politica) dell’Alto Adige-Sud Tirolo. Un titolo provocatorio: «Spartizione subito?». Acquaviva (Sabino, non Gennaro, per carità) è tornato sul discorso anche recentemente, con una nota sul «Corriere» in cui proponeva, fatti alcuni ritocchi di frontiera (le «mineurs rectifications» richieste da Gruber prima di siglare gli accordi famosi con De Gasperi?) di pensare a una zona della «grande Ladinia», felice (?) abitacolo dei tre gruppi etnici, magari in un particolare quadro CEE.
Ora è appena uscito un altro libro da sussulti: si intitola «Alto-Adige o Sud Tirolo» di Giuseppe Caprotti (Franco Angeli editore): uno sguardo ai giochi delle diplomazie post-’45 e uno al complicarsi della questione fino a renderla quasi senza sbocco (rispetto all’accordo De Gasperi Gruber).”
di Giovanni Gozzer – Civiltà Postindustriale novembre 1988


