Redatto il 2 novembre 2021 ed aggiornato il 5 marzo 2022
Per capire cosa significa leggi “lo screening dei siti web rivela che la metà delle affermazioni ecologiche (*) è priva di fondamento”.
(*) ma anche sulle affermazioni relative all’ “etica” ci sarebbe molto da ridire.
L’articolo sotto è sulla finanza. Trovate le mie considerazioni sugli altri settori alla fine.
Legittimo interesse
Andrea Resti- AF 27 settembre
Se le norme Ue alimentano il greenwashing dei fondi
Secondo Morningstar, una società specializzata in analisi sui fondi comuni, alla fine di giugno il mercato mondiale dei fondi Esg (che privilegiano investimenti compatibili con l’ambiente, la giustizia sociale e il buon governo societario) superava i 2.200 miliardi di dollari di attivi finanziari gestiti.
Di questi, oltre l’80% fa capo all’Europa, dove i flussi di nuova raccolta, nei primi sei mesi dell’anno, hanno superato 1,5 miliardi al giorno, quasi la metà del mercato totale.
Questa rincorsa verso gli investimenti sostenibili pone le premesse per un mondo migliore, se non per l’umanità quanto meno per le società di gestione del risparmio. Tanto più che i fondi Esg sono prevalentemente prodotti attivi, che non si limitano a replicare un paniere di titoli predefiniti, ma richiedono un continuo (e ben remunerato) intervento del gestore. Per limitare il rischio di comportamenti opportunistici, I’Ue è recentemente intervenuta con un regolamento che disciplina le informazioni fornite dai fondi al mercato, individuando due categorie di prodotti Esg che prendono il nome, rispettivamente, dagli articoli 8 e 9 di tale normativa.
I fondi articolo 8 (in gergo, verde chiaro) devono promuovere, tra l’altro, anche “caratteristiche ambientali o sociali”; quelli articolo 9 (verde scuro) hanno come obiettivo investimenti sostenibili.
È lo stesso gestore a decidere se un prodotto si qualifica in una delle due categorie, impegnandosi a fornire informazioni al cliente. A mostrare che il re è nudo (o comunque un po’ discinto) ci hanno pensato esperti e giornalisti.
Risk.net, un sito-bibbia per gli esperti di gestione dei rischi finanziari, ha scovato un fondo articolo 8 che investe il 91% delle risorse in società petrolifere e del gas.
Per i clienti è stato come inviare un vaglia a Greenpeace e ricevere i ringraziamenti di Gazprom. Non è un caso isolato: petrolio e gas rappresentano infatti più del 20% degli investimenti effettuati da alcuni fondi verde chiaro proposti da grandi gestori come Amundi, Bnp e Credit Suisse.
La stessa Morningstar, del resto, colloca il 15% dei fondi articolo 8 (ma anche il 7% degli articolo 9) nelle fasce medio-basse del proprio indice di sostenibilità, assegnato guardando alle caratteristiche delle imprese in cui il gestore investe.
La ragione di questi paradossi è che il regolamento Ue adotta criteri troppo vaghi, consentendo a un fondo di dichiararsi verde chiaro solo perché non prende a schiaffi i panda. Basta, ad esempio, che la composizione sia meglio della media, o che le società beneficiarie degli investimenti si impegnino a tagliare le emissioni in futuro.
Una normativa pensata per arginare il far west è diventata un formidabile strumento di greenwashing, con tanto di timbro dell’Ue; così si è espressa, tra gli altri, anche Julia Linares del Wwf, una che di panda se ne intende.
La cronaca recente mostra che presentarsi al mercato come Esg può comportare qualche rischio. Ha fatto rumore la storia di Desirée Fixler, responsabile della sostenibilità per Dws (Deutsche Bank), che a febbraio ha denunciato al Cda la scarsa integrazione dei criteri Esg nelle prassi di gestione della società e a marzo si è ritrovata senza lavoro. Paladina della verità o ex in cerca di rivincite? Nel dubbio le autorità di vigilanza tedesche e americane hanno aperto un’indagine e Dws è caduta in Borsa.
Nell’attesa che la Ue provveda a stringere le maglie del suo generoso regolamento, la speranza è che questi episodi inducano alla cautela i produttori, o almeno i consumatori. Chi di verde si veste, dice mia mamma, troppo di sua beltà si fida: locuzione pensata per corpulente signore di mezza età ammantate come il prato di San Siro, ma che potrà far riflettere anche qualche asset manager.

Mie considerazioni:
quando Greta parla di “bla, bla” ha perfettamente ragione.
La prova del nove la fornisce il mondo delle energie fossili.
Ma anche la PAC (politica agricola comune) non scherza per niente, perchè aggraverà il cambiamento climatico.
Come “non scherzano” grandi aziende come Ferrero, Nestlè, Unilever Kellog’s, Pepsi.
Ma anche Coca-Cola, Danone, Procter and Gamble, Mondelez, Mars e Colgate- Palmolive.
O, nella carne, la brasiliana JBS, proprietaria dell’italiana Rigamonti.
Da notare che la moda ha gli stessi problemi : La fast fashion di Shein: il suo sito è più visto di Amazon ma i metodi sono discutibili

Affrontare il cambiamento climatico è costoso, troppo, secondo istituzioni ed aziende : il greenwashing è più facile ed è molto alla moda.
E personalmente sono convinto come Angelo Bonelli che : ” G20: impegni sul clima senza tempi, come non averli presi”.
Ma c’è chi, per fortuna, rimane ottimista come Stefano Mancuso. Per capire il suo pensiero leggi prima:
Clima : perchè si tratta di un investimento necessario, non di un’ “opportunità economica”.
E soprattutto il titolo di Repubblica del 2 novembre sotto sui mille miliardi alberi che i grandi del G20 si sono impegnati a piantare.



