Redatto nel 2011, aggiornato l’8 novembre 2022
Sul Marchio della Manifattura Caprotti (sopra), creato da Max Huber puoi leggere qui e anche questo articolo, dove si parla anche dell’invenzione del marchio Esselunga.
Negli anni cruciali che videro l’unificazione politica della Penisola, fra il 1848 e il 1861, la Manifattura Caprotti visse anch’essa momenti di espansione e di criticità, e forse di patriottica esaltazione.
I loro stessi proprietari, infatti, parteciparono con entusiasmo all’atmosfera risorgimentale, Giuseppe 2 arruolandosi, nel 1859, nella Guardia nazionale albiatese e, l’anno successivo, militando nella Guardia nazionale monzese, e il fratello Carlo 1 militando negli Ussari. Entrambi però, come si vedrà poi, come tutti i Caprotti di cui abbiamo testimonianza, non furono mai dei patrioti da romanzo, animati da roboante spirito combattente: da solidi lombardi, gli eccessi idealistici non erano cosa per loro. Ricordano molto la storiella del nonno Ricoeu il quale, a un nipote che s’era fatto garibaldino e, nelle notti di Calabria, scriveva con nostalgia a casa, rispondeva e ti varda i camin che fumen, per testimoniare il suo scontento a quello scriteriato il quale, per seguir fantasie bislacche, toglieva da casa utili braccia.
L’Unità infatti, per la piccola azienda brianzola, significò anzitutto espansione dei mercati. La zona tradizionale e privilegiata del suo commercio interessava il nord est della Lombardia (Milano, Como, Bergamo, Brescia e Varese), e le zone venete, dove aveva pochi ma ottimi contatti. Dopo la Terza guerra d’indipendenza (1866), e negli anni successivi, quando l’economia italiana, dopo stentati e difficili anni, conobbe una felice espansione, il raggio d’azione della ditta s’ampliò fino al sud dell’Italia, pur con notevoli difficoltà, almeno i primi tempi, a causa della mancanza d’un mercato nazionale.
La divisione in tanti stati e staterelli, infatti, significava anche spiccate particolarità regionali nei gusti, ivi compresi quelli nel vestiario e nella moda: le stoffe, le fantasie e le fogge che potevano piacere nel settentrione, infatti, non è detto piacessero anche al centro e al sud, e ci volle diverso tempo perché l’unificazione territoriale e del mercato interno portasse anche, inevitabilmente, a una “nazionalizzazione” e uniformizzazione del gusto.
La Manifattura seguì quest’espansione espandendo anche se stessa: gli stabilimenti s’allargarono, i Caprotti li dotarono dei macchinari più moderni e all’avanguardia che portarono i loro tessuti, il cotone sgargiante fatto non per il lusso, ma per la gente, fino a espandersi sulle piazze sudamericane e africane.
L’Unità, tutto sommato, portò bene ai solidi, concreti Caprotti [1].
[1] Per una panoramica di quanto sopra detto, oltre ai successivi contributi, si veda il volume di R. Romano, I Caprotti. L’avventura economica e umana di una dinastia industriale della Brianza, Milano, 1980 (rist. 2008), in particolare il capitolo 6.
Sotto : etichetta per tessuto della Manifattura Caprotti , la Bernardo Caprotti di Giuseppe (1830- 1907) , in cui si vede che i miei avi sapevano essere autoironici.