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Il suicidio di centinaia di trichechi, su Netflix la strage dovuta al cambiamento climatico.
Un documentario di Netflix intitolato “Our Planet”, in italiano “Il nostro pianeta”, mostra un fenomeno terribile. Centinaia di trichechi finiscono per gettarsi dalla scogliera schiantandosi sulle rocce sottostanti. Il gesto è dovuto alla scarsa vista degli animali fuori dall’acqua che, disorientati dalla mancanza di ghiaccio, li spinge ad arrampicarsi verso l’alto. Quando vogliono tornare verso il branco sottostante, però, si lanciano e invece di scivolare sul ghiaccio come loro solito finiscono per perdere la vita sulle pietre prima di raggiungere l’acqua. Le serie di Netflix in otto puntate raccontata dal naturalista David Attenborough punta a sensibilizzare le persone sugli effetti del cambiamento climatico in corso sulla Terra.
Foto di un tricheco suicida di Netflix

Detto ciò il Mare Glaciale non riesce più a ghiacciare e vi consiglio anche questa lettura:
Il Mare Glaciale Artico non riesce più a ghiacciare: perché succede e gli effetti
il Sole 24 Ore – Bussole
Non era mai successo. L’ondata di caldo che ha prodotto incendi in Siberia prosegue e coinvolge tutta la regione, con il riscaldamento delle acque
Servizio di Elena Comelli – 28 novembre 2020
Gli orsi polari senza ghiacci saranno i primi a scomparire, entro la fine di questo secolo, perchè non riusciranno a nutrirsi.
Il Mare di Laptev, incastonato tra la costa settentrionale della Siberia e le isole di Ljachov, è noto come la culla della calotta artica. Ogni anno, l’acqua si ghiaccia lungo le sue coste in autunno e man mano che avanza la stagione la crosta di ghiaccio si allarga verso Ovest attraverso il Mar Glaciale Artico fino alla Groenlandia e all’arcipelago norvegese delle Svalbard, dove si scioglie in primavera.
Ogni anno, fino ad oggi. Per la prima volta da quando è cominciato il monitoraggio, a fine Ottocento, il Mare di Laptev non ha iniziato a congelarsi entro la fine di ottobre. È l’ultimo sintomo della “febbre climatica”, che nell’Artico sale molto più rapidamente rispetto alle latitudini più basse: qui le temperature aumentano a una velocità tripla rispetto alle medie del resto del globo e negli ultimi 50 anni sono già salite di 2,3 gradi centigradi.
Il congelamento ritardato della calotta artica è il risultato di un’ondata di caldo autunnale senza precedenti, che oltre a mandare a fuoco un’area delle dimensioni della Grecia in Siberia, ha riscaldato le acque marine di oltre 5°C rispetto alle medie stagionali.
Quel calore non si è ancora dissipato, impedendo al Mare di Laptev di congelarsi nei tempi previsti. Le temperature anomale di settembre e ottobre si sono prolungate fino alla scorsa settimana.
Correnti anomale
Una cintura di aria calda si estende dalla Groenlandia settentrionale attraverso il Polo Nord fino ai mari di Laptev e della Siberia orientale. Il 21 novembre il Climate Change Institute dell’Università del Maine ha segnalato temperature di 10-12 gradi centigradi più alte delle medie stagionali. In ottobre, gli arcipelaghi siberiani hanno registrato temperature mediamente più alte di 6-8°C e nelle prime tre settimane di novembre di 6°C
rispetto alle medie stagionali.
Questo clima eccezionale non è una coincidenza. Secondo il progetto World Weather Attribution, un team di scienziati che analizza i possibili collegamenti tra l’emergenza climatica e gli eventi meteorologici estremi, le temperature torride della Siberia sono strettamente legate al surriscaldamento di tutti gli altri mari, comprese le correnti atlantiche che lambiscono l’Europa occidentale.
La crisi del clima sta infatti spingendo verso l’Artico le correnti più miti dell’Atlantico, interrompendo la normale stratificazione tra acque profonde più calde e quelle superficiali più fredde. Ciò rende ancora più difficile la formazione del ghiaccio.
«Il forte ritardo nel congelamento delle acque non ha precedenti nella regione artica siberiana», spiega Zachary Labe, ricercatore della Colorado State University, che fa parte del team.
Ma il fenomeno non stupisce, dato l’andamento complessivo dell’emergenza climatica e la costante crescita della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera, che crea l’effetto serra. «Il 2020 è un altro anno coerente con un Artico in rapida evoluzione. Senza una riduzione sistematica dei gas serra, tra pochi anni avremo la nostra prima estate completamente senza ghiaccio», precisa Labe.

VARIAZIONE DELLA TEMPERATURA TERRESTRE
Incremento mensile, in gradi, della temperatura della superficie terrestre ed oceanica,
rispetto alla temperatura media del 20esimo secolo. Dati dal 1880 a oggi
Artico in trasformazione
Concorda Stefan Hendricks, uno specialista in fisica del ghiaccio marino presso l’Istituto Alfred Wegener di Potsdam: «Questa evoluzione è frustrante, ma non sorprendente. Siamo di fronte a una serie di circostanze che si alimentano da sole, man mano che il clima cambia».
I guai attuali del mare di Laptev fanno parte di una più ampia trasformazione della regione. Negli ultimi 40 anni, la quantità del cosiddetto ghiaccio pluriennale – il ghiaccio marino che sopravvive ai mesi più caldi – nell’Artico si è ridotta alla metà e gli scienziati si aspettano che presto la crosta di ghiaccio perenne possa sparire del tutto.
Quello che sta accadendo nel mare di Laptev ne è un cupo presagio. Negli anni ’80 il ghiaccio pluriennale copriva i due terzi del Mar Glaciale Artico, mentre ai giorni nostri il mare resta quasi del tutto sgombro per mesi, innescando un circolo vizioso che fa aumentare ulteriormente la temperatura dell’acqua, poiché il mare aperto, di colore scuro, trattiene più calore del ghiaccio bianco.

Lo scioglimento della calotta artica 1984-2019
Gli ultimi 14 anni, dal 2007 al 2020, «sono i 14 anni con l’estensione di ghiaccio più ridotta a partire dal 1979 – spiega Wegener -. Gran parte del ghiaccio più antico e più spesso nell’Artico sta scomparendo, lasciando solo il ghiaccio stagionale più sottile. Nel complesso lo spessore medio è la metà di quello degli anni ’80».
Più mare aperto significa anche più turbolenza nello strato superiore del Mar Glaciale Artico, che così fa salire più acqua calda dalle profondità. I dati previsionali suggeriscono che il ghiaccio sparirà del tutto tra il 2030 e il 2040.
A rischio estinzione
Questa rapida trasformazione colpisce tutti gli abitanti delle regioni artiche, causando una morie anomale tra gli uccelli marini e gli altri animali, oltre a una serie di disastri per gli umani. Gli orsi polari, secondo le previsioni degli scienziati, saranno i primi a scomparire, entro la fine di questo secolo, perchè hanno bisogno dei lastroni ghiaccio per catturare le foche, di cui si nutrono. I trichechi seguiranno. Anche i narvali e i candidi beluga sono minacciati dalla scomparsa dei ghiacci e dalle conseguenti migrazioni dei pesci di cui si nutrono.
Sulla terraferma, il caldo vertiginoso porta a violenti incendi, diventati comuni nelle parti più aride dell’Artico. Nelle ultime estati, i roghi hanno devastato la tundra in Svezia, Alaska e Russia, distruggendo la vegetazione autoctona e togliendo il cibo a milioni di renne e caribù che mangiano muschi, licheni ed erba.
Anche le tempeste anomale di pioggia invernale sono sempre più frequenti e bloccano il foraggio nel ghiaccio: tra il 2013 e il 2014, circa 61.000 animali sono morti di fame nella penisola russa di Yamal, per colpa delle piogge invernali. Nel complesso, la popolazione mondiale di renne e caribù è diminuita del 56% negli ultimi 20 anni.
Queste perdite hanno devastato le popolazioni indigene, la cui cultura e i cui mezzi di sussistenza sono intrecciati con la difficile situazione delle renne e dei caribù. Gli Inuit usano tutte le parti del caribù: i tendini come filo, la pelle per gli indumenti, le corna per gli attrezzi e la carne per il cibo.
In Europa e in Russia, il popolo Sami alleva migliaia di renne attraverso la tundra. Gli inverni sempre più caldi hanno costretto molti di loro a spostarsi. Negli avamposti nell’Artico canadese e siberiano, il permafrost si sta scongelando 70 anni prima del previsto.
Per approfondire
Cosa insegna la Siberia sul climate change
In Siberia, crateri giganti si aprono nella tundra man mano che le temperature salgono, fino al livello record di 38°C nella città di Verkhoyansk lo scorso luglio. Le strade cedono, le case affondano. Questa primavera, lo scioglimento del permafrost ha fatto crollare il serbatoio di carburante di una centrale elettrica russa, causando lo sversamento di 21.000 tonnellate di gasolio nei corsi d’acqua vicini.
Nel Nord dell’Alaska, dove il disgelo del permafrost sta erodendo il terreno, il villaggio Yupik di Newtok dovrà essere trasferito entro il 2023.
Il disgelo del permafrost, intanto, rilascia in atmosfera due potenti gas serra, anidride carbonica e metano, che aggravano l’effetto serra.
E il circolo vizioso si avvita su se stesso.
Leggi anche : Sami, il popolo della Lapponia minacciato dal climate change
Sul fenomeno crescente delle ondate di calore leggi qui.



