La UE ha emanato una nuova direttiva sulla “difesa integrata obbligatoria” ma c’è chi, in Francia, decide di andare oltre e di aggregarsi per produrre in modo diverso…
Dal primo gennaio 2014 , gli agricoltori italiani, come i loro colleghi degli altri paesi dell’Unione Europea, devono applicare la “difesa integrata obbligatoria”.
Una locuzione tecnica che, tradotta in pratica, obbligherebbe gli agricoltori a utilizzare ogni tecnica possibile per proteggere le proprie colture prima di ricorrere all’aiuto chimico.
Prima dei fitofarmaci, quindi, ci sarebbero la rotazione delle colture, il monitoraggio dalle previsioni metereologiche, la semina di cultivar resistenti, la prevenzione dalla diffusione di organismi nocivi, la salvaguardia di organismi utili, i metodi di lotta alternativi come per esempio l’uso di insetti per limitare l’utilizzo di agrofarmaci.
La chimica, quindi, da oggi in poi, dovrebbe essere l’ultima chance per l’agricoltore perché l’obiettivo della direttiva è quello di «ridurre i rischi e l’impatto sulla salute umana, sull’ambiente e sulla biodiversità».
Il condizionale è d’obbligo perché gli obblighi pratici andranno a regime più avanti:
il controllo obbligatorio delle macchine che spargono i fitofarmaci andranno in vigore dal 26 novembre 2016, mentre l’obbligatorietà del patentino per tutti coloro che acquistano fitofarmaci (oggi basta che ne sia provvisto il titolare dell’azienda) e la figura del consulente che non potrà avere legami con le aziende produttrici e distributrici di agrofarmaci dal 26 novembre 2015.
A oggi l’unico obbligo per gli agricoltori è quello di informarsi attraverso bollettini territoriali che ogni Regione, o chi demandato dalla stessa Regione in sua vece, deve emettere a cadenza regolare, dati meteo, materiale informativo e manuali».
Sono obblighi che vanno ad aggiungersi alla redazione del cosiddetto “Quaderno di campagna”, in cui ogni agricoltore che destina alla vendita i suoi prodotti deve compilare indicando tutti i dati (semina, trapianto, fioritura e raccolta) e tutti i trattamenti effettuati.
Gli agricoltori (ed i politici) italiani farebbero bene a prendere ad esempio gli agricoltori e gli allevatori francesi che si stanno organizzando in tanti “gruppi d’interesse economico” (groupement d’interet economique) o GIE.
Questi GIE sono costituiti da agricoltori che si raggruppano per riciclare scarti che servono a produrre metano e concimi, o per convertirsi al biologico.
E’ il caso del GIE, soprannominato DAD, nella regione dell’Ardèche, dove 52 agricoltori, che coprono una superficie coltivabile di 1’850 ettari e producono 6 milioni di litri di latte si sono raggruppati e hanno ottenuto da Danone un premio di conversione al bio di 100 € per tonnellata di latte.
Grazie a questo ammontare e alla crescita numerica delle mucche, la conversione al biologico è potuta andare a buon fine.
Un bell’esempio di alleanza tra agricoltori, una grande marca come Danone e il potere politico, che ha favorito – attraverso il ministro dell’Agricoltura, Stéphane Le Foll- questi GIE (il DAD non è l’unico..), che in alcuni casi possono ricevere finanziamenti pubblici.
Da notare che Danone segue un cammino intrapreso molti anni fa (v. in proposito A Scuola di Cibo).
In effetti nel 1997 Danone, che oggi raccoglie il 4,5% del latte francese, ha dato il via ad un piano “qualità, sicurezza e tutela dell’ambiente” che vede impegnate 150 persone che, in azienda, si occupano della raccolta del latte.
In seno a questo gruppo , 23 tecnici si occupano di dare consigli tecnici a 3’300 allevatori, situati in 5 regioni francesi, in un raggio massimo di 56 km. (*) dai siti produttivi.
Gli yogurt bio di Danone
Questo esempio, uno dei tanti in Francia, prova che la sostenibilità dell’agricoltura non è solo una parola alla moda ma che può diventare realtà.
(*) la distanza relativamente breve aumenta la freschezza e quindi la qualità del latte
fonti: www.wise.it, Danone e Le Monde del febbraio 2014