Milano, il 6 gennaio 2014 , aggiornato il 3 marzo 2014
Riassunto delle precedenti “puntate”:
1) dopo il cambiamento d’idea di Bernardo Caprotti sul suo ritiro (2002)
2) dopo le modifiche agli statuti (2004), messe in atto per scongiurare ogni tipo di dissenso possibile…
3) dopo le due presunte “congiure” (del figlio nel 2004 e della figlia nel 2010) con il conseguente cambiamento di opinione sui due,
4) dopo le vere e proprie “virate” di opinione sul management, vedi a tal proposito:
a) nel 2007 viene pubblicato Falce e Carrello, e Bernardo qualifica persone che ha scelto di persona e che hanno pranzato in mensa con lui per 11 anni, come una “gang”
b) nel 2010 viene estromesso, dopo 48 anni in Esselunga, il suo braccio destro Paolo De Gennis (sotto tra Bernardo e Giuseppe, nella cantina di Ca’del Bosco nel 2003),“colpevole di cospirazione” (da quel che si capisce da un’intervista di Bernardo al Corriere)
n.b.: dal 2003 in poi , il management ha perso circa 160 persone, tra dirigenti, quadri e impiegati…
Dopo tutti questi cambiamenti di rotta vediamo le modifiche degli assetti azionari del 2011.
E anche quel che “si dice” sul futuro di Esselunga…
ripercorriamo, seguendo tre estratti di articoli di giornale pubblicati a dicembre, alcuni concetti
1) La faida Caprotti non finisce più Esselunga rischia un padrone straniero
03 dicembre 2013 di SARA BENNEWITZ / La Repubblica
MILANO — Caprotti contro Caprotti. Da una parte Bernardo fondatore e patron dell’Esselunga, dall’altra i figli del primo matrimonio Giuseppe e Violetta. In discussione c’è la titolarità di un pacchetto pari a due terzi del colosso della grande distribuzione. I figli sostengono che il padre ha loro «dato le azioni e poi se l’è riprese»; Bernardo parla di «assegnazione» e di un ripensamento «previsto dal contratto, fatto per il bene dell’azienda ». Il lodo arbitrale e la sentenza di primo grado per ora danno ragione al padre. Oggi si terrà l’udienza dell’appello, ma la causa andrà — con tutta probabilità — fino in Cassazione, perché le parti non si accordano. Il patron di Esselunga non ammette ripensamenti.
E infatti le offerte per un riavvicinamento, che ho formulato per mezzo dei giornali La Repubblica e Oggi e anche privatamente, non hanno trovato una risposta positiva. Ma la speranza è l’ultima a morire
Mio padre aggiungeva nell’intervista :
«They have gone too far (si sono spinti troppo in là ) — dice — ma lo sa che hanno chiesto il sequestro delle mie azioni? ».
La mia impressione è che per cercare di farlo “ragionare” non potessimo far a meno di usare la forza.
In effetti se a fine 2010 ci scriveva questa lettera, nella quale ci definiva “soci”…
N.B.: “Quando ognuno avesse la piena titolarità…” significa, secondo me, che avevamo una titolarità parziale, overossia fiduciaria.
Fiduciaria è la parola che Bernardo ha usato, a dicembre 2013, in una lettera al sito Dagospia.
Ma la frase più interessante è sicuramente:
“Oggi si può … trarre La Villata fuori dalla Supermarkets Italiani e porre in capo a ciascun socio la stessa quota che detiene attraverso la ‘capogruppo’ “.
La Villata era la società nella quale avrebbero dovuto confluire gli immobili dei supermercati e La Supermarkets Italiani era ed è la holding che tuttora controlla Esselunga, le cui quote sono l’oggetto delle attuali dispute giudiziarie.
Dire che che avremmo potuto avere le quote de La Villata pariteticamente a quelle della Supermarkets It., definendoci “soci” e “detentori” della ‘capogruppo’ era fondamentale ma anche naturale per noi, all’epoca.
La trattativa con Violetta e il Blitz sulle azioni:
due mesi dopo, l’8 febbraio 2011 Bernardo Caprotti si “riprendeva” le azioni della holding che controlla Esselunga, senza dirci nulla.
Cosa era successo nel frattempo? Nel 2010 Bernardo aveva proposto a Violetta di ricevere gli immobili contenuti nell’immobiliare La Villata in cambio della sua quota della Supermarkets Italian, holding che controlla Esselunga.
Io sarei finito in minoranza sia nella Supermarkets Italiani, che ne La Villata.
Ma Violetta rifiutava lo scambio e il 16 dicembre 2010 litigava pesantemente con il padre , allontanandosene.
E infatti venivamo a sapere di questo blitz solo agli inizi dell’estate 2011, perchè Unione Fiduciaria non ci aveva mandato la sua fattura annuale.
Attoniti, cercavamo di capire cosa era successo e , visto che io ero avevo iniziato ad essere vittima di stalking, Violetta si occupava di chiedere conto direttamente al padre di questa situazione.
Violetta mi convinceva ad andare ad un ultimo consiglio di amministrazione l’11 ottobre 2011 dal quale, vista l’atmosfera assolutamente ostile, uscivo decidendo che mai avrei più partecipato a simili riunioni.
Pochi giorni dopo, il 31 ottobre 2011 (vedi sotto), dimentico di quanto aveva scritto meno di 11 mesi prima ai tre figli, rispondeva alle richieste di Violetta, dicendole – in estrema sintesi – che le quote non erano mai state sue!
Visto questo ennesimo cambiamento di rotta la disputa giudiziaria diventava, purtroppo, inevitabile.
Ma tornando ai quotidiani, Bernardo, su Repubblica, aggiungeva poi :“Tutti possono ereditare un’azienda, che è cosa diversa da saperla gestire…”
Sorvolando sulle allusioni sulle nostre presunte incapacità, non abbiamo mai detto che la vorremmo gestire, come ha giustamente sottolineato Violetta nella sua intervista al Corriere del 5 gennaio 2014.
Forse, dopo tanto tempo e dopo tanti fastidi (per usare un eufemismo) non ne vogliamo sapere di gestirla direttamente!
Giuseppe e Violetta a Chicago, nel 1987. Con loro alcuni dirigenti. Foto di Bernardo Caprotti
2) Esselunga, Bernardo Caprotti lascia l’azienda, ma non passerà ai figli: “C’è un testamento, è tutto sigillato”
L’Huffington Post | Di Luigi Dell’Olio
Pubblicato: 22/12/2013 18:32
…Di sicuro la gestione dell’azienda non passerà nelle mani dei figli Violetta e Giuseppe, con i quali ha da tempo avviato un contenzioso proprio per il controllo della catena di supermercati.
… Se i familiari succederanno, infatti, nel controllo del capitale, ma senza avere poteri effettivi, potrebbero essere tentati dalla volontà di aprire il capitale al mercato, in modo da poter monetizzare almeno una parte delle loro quote.
Bernardo, Violetta e Giuseppe, al 70° compleanno di Bernardo, nella vecchia mensa di Limito, nel 1995.
L’anno successivo ricevevamo le azioni della holding Supermarkets Italiani, che controlla Esselunga.
Che Bernardo non se ne sarebbe andato lo sapevamo in molti.
Sappiamo altrettanto bene che farà di tutto per non lasciare l’azienda a me e a Violetta.
L’obiettivo attuale sarebbe , da quanto si dice negli studi dei professionisti di Milano, quello di scorporare Esselunga per poi lasciarla “ai manager”.
Per farlo si dovrebbe abbassare il valore di Esselunga , rispetto agli immobili dei supermercati , agli stabilimenti produttivi e ai magazzini di spedizione della merce.
La parte commerciale (e cioè Esselunga) del patrimonio di Bernardo Caprotti dovrebbe pesare il 25% in modo che sia pari alla disponibile, da poter lasciare liberamente “ai manager”, che potrebbero corrispondere – così si mormora – alla terza famiglia , ( già segnalata su Repubblica del 3 dicembre 2013 )
overossia i parenti (6 nipoti), gli amici ed i dirigenti legati a Germana Chiodi, segretaria di Bernardo Caprotti
(v. in proposito l’intervista a Violetta del 5 gennaio 2014 o Oggi del 4 dicembre 2013 ma anche L’Espresso sulle sorti di Esselunga)
Il resto verrebbe alla prima e alla seconda famiglia.
L’atra ipotesi, come dice l’articolo dell’ Huffington Post, è far sì che mia sorella ed io riceviamo azioni (*) in nuda proprietà, senza diritti di voto.
(*) ammettendo che non ci vengano rese prossimamente, a seguito delle ns. iniziative legali
… Ma dal 1996 al 2011 abbiamo avuto anche un cospicua quota di azioni in piena proprietà.
All’incirca la metà del pacchetto.
Occorre rammentarlo, viste le possibili dimenticanze, vedi l’articolo sotto del Corriere Economia
3) Capoazienda: i passaggi troppo difficili
Con la giornata di oggi Bernardo Caprotti «va in pensione». Lascia le deleghe operative in Esselunga, i poteri di firma e i compensi. E smetterà di essere dipendente della sua azienda. Dopo 62 anni di lavoro ininterrotto.
Aveva provato a fare il passaggio del testimone ai figli, Caprotti: non ha funzionato. Senza entrare nel merito di una questione che è assai complessa, si può però prendere il caso Esselunga come esempio di quello che è uno dei grandi temi dell’imprenditoria familiare italiana: l’età dei capo famiglia e la loro permanenza alla guida delle imprese. Secondo i dati dell’Osservatorio Aub, più di un’impresa familiare su 5 ha al proprio vertice un ultrasettantenne. Ora, in Italia molte imprese rilevanti per la nostra economia si trovano proprio in questa situazione. Ma è sempre l’Aub ad avvertire che «si assiste a un sensibile peggioramento delle performance a partire dai 60 anni, e in modo particolare oltre i 70. Tali risultati si amplificano per i fondatori, sia in termini si resistenza alla crescita, che di redditività del capitale netto». Pensando alla necessità di uscire dalla crisi questo dev’essere certamente un punto su cui fermare la propria attenzione nel 2014 che si avvicina.
C’è, poi, la modalità con cui avviene il passaggio generazionale. In Italia è stato massicciamente usato lo strumento del trasferimento della nuda proprietà ai figli con il mantenimento dell’usufrutto ai genitori. Un modo per «stare a metà»: ti dò, ma continuo a tenere io le fila dell’azienda. È ancora il caso Caprotti, ma ancora più la delicata situazione di Indesit (dove il capostipite Vittorio, malato, non può più prendere decisioni) a dire che anche su questo servirà una svolta
Maria Silvia Sacchi , 23 dicembre 2013
La nuda proprietà mi ricorda un pò il trust che mio padre voleva che costituissi nel 2005.
In quel trust, i cui beneficiari sarebbero stati miei figli, mio padre avrebbe voluto che io, al momento dello spin- off immobiliare, conferissi la mia quota di immobili.
N.B.: per chi non ne conosce i meccanismi, il trust sarebbe servito a togliermi la gestione diretta della mia quota della società immobiliare.
E non mi sorprenderebbe più di tanto che Bernardo pensasse ad un trust anche per le azioni della holding, oggetto di dispute giudiziarie.
Bisognerà vedere se, a seguito delle decisioni dei giudici, potrà costituirlo.
In Italia Piero Antinori l’ha fatto per l’azienda di famiglia, la quale però non conosceva conflitti di sorta.
E soprattutto non mi risulta che Piero Antinori avesse dato le azioni alle tre figlie e se le fosse poi riprese, prima di costituire il trust.
Non meraviglia più di tanto neanche l’accenno in una nota interna di Bernardo Caprotti del 20 dicembre alla “gente fortissima” di Esselunga .
Se l’eccellenza del personale della rete dei negozi (addetti, responsabili, direttori, ispettori, etc.) e di qualche eccezione nella sede non si discute, il rafforzativo potrebbe servire a coprire alcune lacune, soprattutto nella “terza famiglia”.
La quale potrebbe beneficiare delle nostre divisioni, qualora non riuscissimo a riappacificarci.
Speriamo che i rappresentanti della “seconda famiglia” – Giuliana Albera e Marina Caprotti– inizino ad aprire gli occhi sull’int
Il seguito naturale di questo articolo lo trovate in : L’Espresso sulle sorti di Esselunga.



