Redatto il 28 giugno, aggiornato il 18 luglio 2024
Codice a barre, 22 multinazionali lo sostituiranno con il QR code standard GS1
di Caterina Maconi
Il passaggio, che vorrebbero fungesse da apripista, avverrà entro la fine del 2027. Dalle informazioni nutrizionali a quelle sulla sostenibilità: le novità dello strumento
Codici 2D di nuova generazione che possono contenere una grande quantità di informazioni sui prodotti e renderle facilmente accessibili tramite smartphone. Sono 22 le multinazionali del largo consumo ad aver firmato una dichiarazione congiunta per chiedere che retailer e produttori adottino, entro dicembre 2027, i QR code standard GS1 al posto dei codici a barre tradizionali. A differenza di questi ultimi, i QR code possono collegare i consumatori a una mole di dettagli tecnici sulla referenza che si sta acquistando, come istruzioni per l’uso e il riciclo, indicazioni sulla sicurezza, informazioni nutrizionali e certificazioni. Potrebbero migliorare poi la tracciabilità e promuovere l’efficienza attraverso la catena di fornitura, consentendo allo stesso tempo la scansione alla cassa.
La proposta arriva esattamente 50 anni dopo il 26 giugno 1974, giorno in cui il codice a barre passava per la prima volta dalla cassa di un supermercato nella città di Troy, in Ohio, sulla confezione di chewing-gum Wrigley’s al gusto juicy fruit. Da Barilla a L’Oréal, da Mondelez a Nestlé, da 7-Eleven a Carrefour, e poi Lidl, Metro, Migros fino ad Alibaba.com, le aziende che si sono impegnate nel progetto QR code – insieme hanno un valore di mercato di oltre 1,5 trilioni di dollari e operano il 160 Paesi – dovranno valutare tecnologia e processi interni per sfruttare le potenzialità dei nuovi codici, aggiungere informazioni più dettagliate sul prodotto, anche in modo graduale per consentire di pianificare le modifiche. Necessario anche uno sforzo coordinato tra produttori e distributori: i produttori dovranno iniziare a implementare i QR code standard GS1 sulle confezioni dei loro prodotti, mentre i retailer dovranno assicurarsi che gli scanner delle casse nei loro punti vendita siano attrezzati per leggerli.
In Italia si contano oltre 350mila prodotti di largo consumo confezionato dotati di codice a barre GS1, che vengono passati 32,4 miliardi di volte l’anno alle casse di supermercati, ipermercati e punti vendita a libero servizio per un totale di 2,7 miliardi di scontrini emessi. Con il passaggio a un nuovo standard, gli attori coinvolti sperano di favorire scelte più consapevoli e smart, potendo superare – per dare informazioni – il limite dello spazio disponibile sul packaging dei prodotti, migliorando l’esperienza del consumatore collegandolo a informazioni aggiuntive sul web, come video tutorial, consigli d’uso, ricette. Sarebbe, dicono, un veicolo per meglio comunicare la sostenibilità, ovvero la provenienza di un prodotto, i suoi componenti, l’impronta di carbonio e indicazioni sul riciclo o il riutilizzo degli imballaggi. E per dare informazioni normative, consigli su allergie e date di scadenza, consentendo di respingere alla cassa gli alimenti scaduti e di vendere quelli prossimi alla scadenza a prezzi ridotti, con conseguente riduzione degli sprechi alimentari.
Nota bene che c’è una parte del Paese che è ferma ancora prima del codice a barre, questa bottiglia, che ho acquistato recentemente in Toscana, è prezzata come lo facevo io da Carrefour, nel 1979, ben prima che entrassi a lavorare in Esselunga.
L’Italia ha decisamente bisogno di una spinta tecnologica che colmi il divario creatosi negli ultimi anni nei confronti soprattutto degli Stati Uniti.