Le commissioni alle società di consegna pesano come un macigno sul mondo della ristorazione, che sta cercando quasi disperatamente di ideare un nuovo modello di business per il delivery. Così com’è impostato oggi, il sistema non regge. Lo dice a chiare lettere Vincenzo Ferrieri, imprenditore a capo di CioccolatItaliani e presidente di Ubri, l’Unione brand della ristorazione nata all’indomani del lockdown e alla quale hanno aderito le principali società che sviluppano format di ristorazione (messi assieme, gli 11 soci fondatori contano 400 locali e occupano 3.300 dipendenti).
“Il delivery è esploso – riconosce Ferrieri – ma quasi tutti stiamo girando a margine zero. Le commissioni versate alle società di gestione sono aumentate dal 25 al 35% nel giro di poco tempo e se va avanti così, rischiamo di trovarci a pagare il 40%, una quota che non ci permette di guadagnare e di fare investimenti”.
Il paradosso del delivery è che la ristorazione non lo ama, ma al tempo stesso non può più farne a meno. La percentuale degli incassi derivante dalle consegne a domicilio è in costante aumento. Come evidenziato nell’ultimo numero di Pambianco Magazine Wine&/Food, l’incidenza sul fatturato complessivo delle maggiori catene ha raggiunto quote ingenti: si parla di un 50% per Zushi, di un 25% per Temakinho e per Pizzium, 15% per Fratelli La Bufala. Con punte stimate del 50-60% sulla piazza di Milano per prodotti particolarmente adatti a essere consumati in casa come ad esempio il pokè, che si è imposto come leader di categoria precedendo gli hamburger. I gruppi di ristorazione più organizzati stanno sviluppando dark kitchen dedicate, in modo da non ostacolare le operazioni della cucina con conseguente impatto sul livello del servizio in sala, ma i ristoranti più piccoli non hanno questa possibilità. Si tratta di un nuovo modello di business, in buona parte ancora da perfezionare, e servirà tempo per arrivare a un livello di maturità del sistema.
Nel frattempo, la sfida è quella di restare in piedi, utilizzando il delivery come occasione per intercettare la ripresa. Ma diversi ristoratori hanno preferito la gestione diretta delle consegne, bypassando le app principali che operano nel mercato, per ragioni di controllo del delivery o semplicemente per non dover pagare commissioni giudicate troppo alte. Un esempio è quello di Langosteria, che ha sviluppato il servizio con staff e risorse interne. Ma anche in questo caso, non si tratta di un modello possibile per tutti, perché la gestione diretta richiede forze dedicate. Un’alternativa la sta testando Panino Giusto con Birò, che hanno avviato da qualche mese una partnership dedicata per le consegne più voluminose.
“Occorre trovare soluzioni nuove, che ci permettano di traghettare il settore attraverso le difficoltà della pandemia”, afferma Ferrieri. Sul tavolo ci sono diverse ipotesi, che saranno discusse in tempi brevi.