Articolo del 2010, aggiornato il 25 marzo del 2018, partendo da uno stimolo di Flavia Capudi Schenone e da un grido d’allarme – pasquale – del consorzio dell’agnello sardo IGP.
Per la lista dei prodotti vedi Dop e IGP su Wikipedia.
Molto spesso nel momento della scelta di un prodotto siamo portati a dare la preferenza a quelli che portano un marchio “di qualità”, a fronte del quale siamo anche disposti a spendere quel qualcosa in più.
Ma quando ci affidiamo a un marchio DOP (Denominazione di Origine Protetta) o IGP (Indicazione Geografica Protetta), sappiamo cosa stiamo comprando?
Entrambi i marchi – DOP (Denominazione di Origine Protetta) e IGP (Indicazione Geografica Protetta) – derivano dall’applicazione del regolamento CEE 2081/92 promosso dalla Comunità Europea, con lo scopo di tutelare quelle produzioni agro-alimentari tradizionali legate a un particolare territorio geografico, a garanzia del consumatore.
Ma anche se questi due marchi appaiono identici tra loro, se non fosse per la diversa scritta che li caratterizza, in effetti celano situazioni produttive molto diverse che è bene conoscere e valutare.
La differenza tra i due è quindi sostanziale e, prendendo spunto dagli ultimi fatti di cronaca, permette di capire come mai alla nostra bresaola – prodotta utilizzando pressoché solo carne brasiliana o argentina – possa venir attribuito il marchio IGP ma non quello DOP.
Per i dati aggiornati vedi la fine dell’articolo: manteniamo anche i dati “vecchi” (2008) per permettere un raffronto.
DOP e IGP, qualche cifra tra luci e ombre:
il fatturato alla vendita è stimato a 9,4 miliardi di €, di cui 7,5 sul mercato nazionale
All’incremento dei riconoscimenti del marchio (+ 15,4% nel 2009, contro una media europea del +7,4%), che portano l’Italia ad una leadership in Europa con 213 prodotti iscritti contro i 176 francesi e i 140 spagnoli, nella maggior parte dei casi ai prodotti DOP o IGP non corrispondono fatturati interessanti.
L’80% del giro d’affari deriva da una decina di grandi marchi che sono poi gli stessi prodotti blasonati che varcano i confini nazionali.
In ordine decrescente per valore di produzione del 2008 nelle vendite primeggiano:
- Grana padano
- Parmigiano reggiano
- Prosciutto di parma
- Prosciutto di San Daniele
- Mozzarella di bufala campana
- Mortadella
- Gorgonzola
Con quasi 4 miliardi di € (a cui vanno quindi aggiunti i margini dei rispettivi prodotti per arrivare ai prezzi al consumo).
In Italia il peso della GD, come canale di vendita dei prodotti alimentari, è passato dal 50,2% del 1996 al 70,8% nel 2009.
I prodotti DOP e IGP sono entrati nella spesa di tutti i giorni visto che il 29,1% delle famiglie dichiara di comprarli.
Purtroppo nel contesto globale dei consumi DOP e IGP nella GD, cala il peso dei supermercati (-1,3%) e del dettaglio tradizionale (-14%) a netto favore degli ipermercati (+11%) e, soprattutto, dei discount (+18%).
Questa dinamica sembra andare contro la necessità di adottare politiche di valorizzazione e smarcamento dalla competizione sul fattore prezzo che dovrebbe contrassegnare queste produzioni.
Esistono inoltre svariate “zone d’ombra” sulla provenienza dei prodotti a marchio e sugli alimentari in generale, ecco alcuni esempi:
1) difficilmente vedrete nei ristoranti, bar, negozi o supermercati la dicitura “prosciutto estero” ma 2/3 delle cosce di suini lavorati in Italia provengono da maiali allevati in Spagna e in Nord Europa
2) il 40% del grano duro presente nella pasta prodotta in Italia proviene dal Canada, dal Messico o dagli Stati Uniti ma pochi consumatori lo sanno
3) trovandosi di fronte ad una bottiglia di aceto balsamico IGP da uve da agricoltura biologica con la dicitura “prodotto in Italia” pochi consumatori saranno in grado di distinguere tra origine della materia prima e luogo di produzione. Molti penseranno che si tratti di aceto prodotto con uva italiana, nella nostra penisola.
Così non è.
Personalmente penso che solo la Dop dovrebbe potersi fregiarsi del nome aceto balsamico.
Ben venga quindi un’etichettatura più chiara per la quale si stanno battendo il governo e alcuni consorzi (significativa la campagna attuale dei produttori del San Daniele vedi sotto) anche perchè tutto il comparto agricolo sta soffrendo – come dimostrano i dati qui sotto – e potrebbe trarre ampi benefici da una migliore valorizzazione de propri marchi.
Ciò deve avvenire a maggior ragione ora che con il calo della superficie agricola coltivata progrediscono le costruzioni e il nostro paese diventa sempre meno bello e attraente, anche per i 44 milioni di turisti che vi soggiornano ogni anno.
Fonti: Ismea, Nomisma, Coldiretti, Censis- Swg
Dati dell’ anno 2016 ( pubblicati da Ismea nel 2017)
Il fatturato, dal 2008 al 2016, è quindi salito del 36, 4%, che significa + 4,5% – in media – ogni anno. Molto di più di quanto abbiano, ad esempio, espresso le vendite di prodotti alimentari sul mercato italiano
La difesa e la valorizzazione dei prodotti DOP e IGP è quindi importantissima per l’agricoltura italiana, e non solo.
Vediamo ancora troppi casi nei quali la bandiera italiana viene usata a sproposito:
un po’ più di trasparenza e di cultura gioverebbero al “sistema Italia”, consumatori inclusi.
bresaola “della Valtellina” prodotta con carne brasiliana o argentina


