Economia 13/02/2013 – retroscena
Quando Caprotti tentò la pace coi figli
La lite fece saltare
l’accordo con Wal-Mart
Francesco Spini – La Stampa
Milano
Due anni fa, l’8 febbraio del 2011, Bernardo Caprotti – vulcanico e geniale fondatore dell’Esselunga -, con una mossa a sorpresa revocava, davanti al notaio milanese Carlo Marchetti, i mandati fiduciari con cui nel 1996 aveva girato ai figli (parte in nuda, parte in piena proprietà) in qualità di «fiducianti» il 100% della holding Supermarkets Italiani. Scatenando così una delle guerre familiari più dure tra le grandi dinastie imprenditoriali italiane.
La contesa giudiziaria è in corso. Al termine dell’udienza di ieri, in ricorso all’arbitrato che ha dato ragione al patron, la Corte d’Appello ha fissato il 3 dicembre la prossima udienza, la sentenza arriverà presumibilmente tra l’estate e l’autunno dell’anno prossimo.
Ma tra gli atti spunta una lettera di pochi mesi prima, datata 26 novembre 2010, in cui il fondatore parla in altri toni ai figli, confermando la validità delle decisioni prese 14 anni prima. «Miei cari – si rivolge il patriarca a Giuseppe, Violetta e Marina, l’ultimogenita nata dalla seconda unione con Giuliana Albera e rimasta fuori dalla contesa -, il giro di boa degli 85 anni, un’estate tormentata, un problema risolto/non risolto… bisogna pur dare un po’ di attenzione ai segnali della Divina Provvidenza!». Toni che mal si conciliano con lo scontro che ruota intorno a una domanda: di chi sono le azioni oggetto del mandato fiduciario del ’96? Secondo Bernardo non certo dei figli. Anche perché, sostiene nei due procedimenti in corso (uno in Tribunale, uno in Corte d’Appello), l’atto del ’96 – che pure comprendeva all’articolo 7 un sindacato di blocco – era una simulazione, «con i figli in veste di interposti», di «fiducianti apparenti», mentre l’effettivo era il padre, il quale aveva espresso – si legge negli atti dell’epoca – «il proprio interesse a non comparire direttamente quale intestatario» in vista di un programma di acquisizioni e fusioni dell’allora Bellefin.
Il lodo arbitrale ha stabilito – dopo che il tribunale già aveva rifiutato un sequestro chiesto da Giuseppe e Violetta – la «proprietà piena ed esclusiva» di Bernardo Caprotti delle azioni oggetto del mandato nonché la «validità, efficacia e legittimità» dell’estinzione del mandato fiduciario. Manca però la prova, scrive il collegio arbitrale, «di un accordo simulatorio trilaterale» che coinvolga insomma anche la fiduciaria, in questo caso Unione Fiduciaria. C’è poi un arbitro (dei tre) dissenziente. È Natalino Irti, il quale parla di «un disegno di carattere successorio» emerso col tempo dietro gli atti del ’96.
Ed ecco cosa scrive Bernardo Caprotti in quella fine del 2010: «Le cose predisposte nel ’96 quando la “successione” ed il “capital gain” avrebbero pesato per l’80%, sono rimaste invariate e sono sempre valide». Con una novità, lo scorporo de La Villata, la scatola in cui sono stati conferiti gli 82 immobili per 420 mila metri quadri, per un valore che supera agilmente il miliardo di euro. «Oggi si può, con una scissione parziale proporzionale, trarre La Villata fuori dalla Supermarkets Italiani e porre in capo a ciascun socio la stessa quota che oggi detiene attraverso la capogruppo», scrive in quel novembre Caprotti. Secondo cui quella scissione è «il compimento di quanto pianificato nel 2005».
Rispetto all’origine, quando Giuseppe, il primogenito ed ex ad di Esselunga – a cui nel 2004 vengono revocate le deleghe dopo la famosa scena da film, con le quattro mercedes con autista che portano via dal parcheggio del quartier generale di Pioltello tre manager di prima linea a cui era stato dato il benservito – aveva il 36%, con Marina e Violetta entrambe al 32% (ma Bernardo aveva il 60,2% dei diritti di voto, Giuseppe il 14,3%, le sue sorelle il 12,7% ciascuna), il piano prevedeva la donazione da parte dei figli dell’8,43% al padre (in parti uguali), più la scissione degli immobili e la costituzione dei trust. Scopo del piano: la vendita, per cui esisteva già uno schema di suddivisione. Nella missiva il patron sembra voler mettere tutti i tasselli al proprio posto.
«Qualsiasi sia il destino dell’impresa operativa», ossia di Esselunga, «l’immobiliare sarà la cassaforte di famiglia per almeno un paio di generazioni, la tranquillità, la sicurezza». Il destino dell’impresa, scrive invece, «è altra cosa, e non starà più a me decidere alcunché». Per chiudere così: «Altre disposizioni minori spero di poterle prendere prossimamente, essendo le cose importanti ormai definite».
Esselunga, almeno nel 2010, era in vendita? Indiscrezioni riportano di fitti contatti con la spagnola Mercadona, con cui già nel 2008 si sarebbe giunti a un passo dall’accordo e con cui i canali non si sarebbero mai chiusi. Ma già altre volte voci del genere sono state smentite. Anche sull’americana Wal- Mart, con cui le trattative – reali, visto che sono agli atti dei processi in corso – sono saltate. In quell’occasione tutto sembra filare liscio. La prima parte del piano si compie. I figli donano al padre l’8,43% di SI, ma Giuseppe rifiuta di conferire a Bernardo una procura generale.
E probabilmente il diniego causa il nulla di fatto con Wal-Mart. Ma nell’atto di donazione, controfirmato da papà, il donante – ovvero Giuseppe – davanti al notaio Giovanni Ripamonti il 29 giugno del 2005 dichiara che le azioni oggetto della donazione «sono di sua piena proprietà e in libera disponibilità». Proprio quanto il padre oggi contesta ai figli.
Il titolo non è appropriato : mio padre non ha mai cercato di far pace con noi.
Sotto : la lettera citata da Francesco Spini
N.B. : la differenza tra Wal- Mart e Mercadona è che la prima è quotata, la seconda no. Wal- Mart nel 2005 voleva una mia procura nuova, non vecchia di 15 anni.
Probabilmente il signor Juan Roig, proprietario di Mercadona, avrebbe tranquillamente fatto a meno di questa “nuova procura”. Wal- Mart no.
Sotto da sinistra a destra si riconoscono : Bernardo Caprotti, Juan Roig Alfonso, Violetta caprotti e Carlo Salza, nel 2008.



